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Un italiano, la Turchia e i nuovi turchi

Cristoforo Spinella è nato nel 1984 e scrive per diverse testate. Il giovane giornalista ha vissuto a Istanbul e Ankara e ha da poco pubblicato “Pezzi di turchi” (www.editoririuniti.net, 2013).

La società turca sta vivendo una grande trasformazione, però “la Turchia è un mosaico, che si regge solo se i pezzi ci sono tutti, e tutti insieme. Altrimenti, è un’altra cosa: quella che molti, da tutti i lati, cercano di immaginare e imporre quando sono abbastanza forti per farlo”. La nazione è divisa tra Europa e Asia e riunisce tre grandi identità: l’occidentale, l’orientale e l’islamica.

Infatti “la Turchia è l’unico Stato musulmano della Nato, cui aderì già nel 1952 e di cui oggi è il secondo esercito più numeroso, solo dopo gli Stati Uniti. Oppure è l’unico Stato musulmano con istituzioni nettamente laiche. E, soprattutto, è l’unica nazione musulmana a essere candidata a far parte dell’Unione Europea”. Inoltre c’è da considerare l’eredità culturale dell’Impero ottomano.

Nel 1993 la Turchia ha avuto un Primo Ministro donna, ben dodici anni prima della Germania e appena due anni dopo la Francia (è meglio non pensare che i soliti italiani non riescono nemmeno a immaginare un Presidente del Consiglio donna). Del resto nel 1934 le donne turche avevano già ottenuto il diritto di voto, più di dieci anni prima delle cittadine francesi e italiane.

Questi riferimenti storici possono aiutarci a capire l’enorme attivazione politica dei cittadini turchi e la famosa primavera turca con gli accadimenti del parco Gezi: più di ottomila feriti, sette morti, 130 mila cartucce di gas lacrimogeni sparati e quasi cinquemila fermati che hanno denunciato violenze, molestie sessuali e abusi di vario genere (i dati sono riferiti da Amnesty International).

La Turchia è anche “la nazione al mondo con il più alto numero di giornalisti in prigione. Più della Cina e dell’Iran. Quanti siano di preciso, nessuno può dirlo… La stima più aggiornata, quella del Committee to Protect Journalists (www.cpj.org, di base a New York), li fissa a quarantanove”.

Comunque l’aspetto più interessante del libro sono le interviste a figure molto significative del tessuto sociale turco: Safak, prima donna disabile eletta nel Parlamento turco, attivista per i diritti delle minoranze; Merve, studiosa dell’islam politico, prima donna velata eletta al Parlamento turco; Zeynep, prima e unica donna al mondo che ha progettato una moschea; Barbaros Sansal, stilista e attivista per i diritti Lgbt; Aris Nalci, giornalista, ex direttore del giornale turco-armeno Agos, dopo l’uccisione di Hrant Dink; Aynur Dogan, una cantante curda espatriata.

L’intervista a Sansal è sicuramente la più coinvolgente, la più sconvolgente e la più lucida. Il fashion designer omosessuale racconta le sue disavventure da pluriperseguitato e poi afferma: “se sei una persona comune, in Turchia non hai nessuna tutela. Oggi la guerra civile è tra ricchi e poveri. La gente si impoverisce, il 10 per cento è ricco e non c’è più una classe media… Nel 2012 il Pil è salito del 3 per cento, anche la Borsa è cresciuta, i profitti sono aumentati del 58 per cento. Ma la verità è che per l’80 per cento appartengono agli stranieri. Dieci anni fa i salari erano tre volte più bassi, è vero, ma il potere d’acquisto era dieci volte più alto. Il pane costava 25 centesimi, oggi una lira. All’epoca la scuola e la sanità erano gratuite, mentre oggi hai bisogno di un’assicurazione privata”.

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