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Un circolo vizioso. Nel cuore della guerra civile centrafricana con Donatella Rovera

Donatella Rovera, senior crisis response adviser del Segretariato Internazionale di Amnesty International, organizzazione per la quale lavora da oltre vent’anni, è specializzata in rapporti sulle zone di conflitto in medioriente. Oggi facciamo con lei il punto della situazione nella Repubblica centrafricana.

In questi giorni Repubblica titolava: “Repubblica centrafricana, l’ultimo genocidio”. Che sta succedendo?

La situazione è estremamente grave ma non userei questo termine. Il genocidio è stato evitato, ma soltanto obbligando i musulmani a fuggire in massa per mettersi in salvo oltre i confini della Repubblica centrafricana. Ciò che sta succedendo è una “epurazione (pulizia) etnica” della popolazione musulmana (nella regione ovest del paese, inclusa la capitale).

Stiamo parlando di una guerra civile, religiosa, etnica… o che altro?

Si tratta di violenze e vendette settarie, tra comunità che si manifestano in termini etnici o religiosi – gli anti-balaka dicono apertamente di voler uccider i musulmani, che essi considerano “stranieri” – ma che comportano anche altri elementi.

Si accosta questo massacro a quello del Ruanda di 20 anni fa. Quali somiglianze vi sono realmente? E quali differenze?

Ogni situazione ha le sue specificità, le sue dinamiche, che bisogna cercare di conoscere e capire. Non vedo l’utilità di un paragone tra le situazioni nel Ruanda di vent’anni fa e la RCA di oggi.

Quanti e quali moventi economici contribuiscono ad alimentare questo conflitto?

Gli attacchi delle milizie anti-balaka contro le comunità musulmane sono sistematicamente seguiti da saccheggi delle loro case e botteghe, ai quali regolarmente partecipano anche civili che sembrano associarsi agli anti-balaka più a scopo di lucro che per ragioni ideologiche. Si tenga presente che i musulmani erano per lo più commercianti e allevatori (di bestiame), quindi mediamente più benestanti dei cristiani: questo sembrerebbe l’elemento che ha maggiormente scatenato rancore e invidia.

I cristiani, che sembrerebbero star avendo la meglio, incolpano i musulmani di aver cominciato per primi. Come sono cominciate le ostilità?

È sempre difficile decidere quando o cosa sia stato l’inizio. In questo caso bisogna tornare indietro almeno alla fine 2012, quando i gruppi armati islamisti Seleka hanno cominciato a cercare di prendere il potere con la forza. A partire da quel momento – e soprattutto dopo che riuscirono a prenderlo effettivamente, nel marzo 2013 – i Seleka commisero gravi e frequenti abusi contro la popolazione civile, essenzialmente contro i non-musulmani; abusi che culminarono nei massacri di Bangui tra il 6 e l' 8 dicembre 2013, dove furono uccisi un migliaio di civili cristiani innocenti (come rappresaglia per l’uccisione di un generale della Seleka da parte delle milizie anti-balaka).

Com’è possibile che cristiani e musulmani - tanto a lungo convissuti pacificamente in quella zona - si siano determinati a questo sterminio?

L’arrivo al potere dei Seleka ha introdotto una nuova dinamica: per la prima volta dei musulmani, una minoranza relativamente piccola nel Paese, si sono trovati al potere, insieme a dei musulmani stranieri (provenienti dal Ciad, dal Sudan ecc). Purtroppo questa novità ha recato con sé un ingiustificato uso della violenza contro la popolazione civile cristiana; è chiaro che ciò non poteva far altro che innescare una reazione a catena. Con il solito perverso meccanismo dell’“etichettamento reciproco”: per i Seleka tutti i crisitiani sono degli anti-balaka; viceversa per i cristiani tutti i musulmani sono dei “Seleka” (cioè degli “stranieri”).

Che ruolo e che forza hanno i ribelli Seleka, questi mercenari musulmani provenienti dal Ciad e dal Sudan? Come può una piccola banda come quella scatenare una guerra di queste proporzioni?

Come abbiamo detto prima, i musulmani nel Paese sono sempre stati una minoranza. E quasi sempre le minoranze si sentono in qualche modo e in qualche misura messe al margine della società, in perenne attesa di un riscatto sociale. Ecco quindi che non si è trattato di un’iniziativa militare messa improvvisamente in campo dai mercenari stranieri; sono state le milizie musulmane centrafricane ad approfittare del loro sostegno per prendere il potere. Dopodiché, le atrocità che hanno commesso hanno scatenato le ritorsioni dei cristiani, e tutto ciò ha dato luogo al circolo vizioso cui assistiamo e dal quale sarà molto complicato venir fuori.

Com’è la situazione per i civili? C’è la speranza che si possa - se non smettere in breve tempo - almeno passare a una forma di conflitto rispettosa dei diritti umani?

Per il momento siamo ancora in una fase acuta del conflitto. La situazione per i civili musulmani nella capitale e in tutta la parte ovest del paese (le regioni più popolose) è gravissima; hanno essenzialmente due opzioni: venir uccisi o fuggire dal paese, perdendo tutto quello che hanno e diventando rifugiati nullatenenti nei paesi vicini. Ma perfino questa seconda opzione non è facile per loro: le milizie anti-balaka attaccano i civili musulmani dappertutto, spingendoli ad andar via; eppure, anche quando sono in fuga, continuano a perseguitarli. Molti civili musulmani sono stati uccisi o feriti mentre cercavano di scappare. Le milizie anti-balaka controllano tutte le strade; hanno posti di blocco ovunque. Le milizie anti-balaka non hanno la minima intenzione di rispettare i diritti umani, al contrario dicono apertamente voler far piazza pulita di tutti i musulmani.

Che fine fanno le migliaia di sfollati? E come sono le loro condizioni?

Decine e decine di migliaia di musulmani hanno già lasciato il Paese. La maggioranza ha attraversato i confini con il Ciad e il Camerun (i due paesi che confinano con la parte ovest della RCA). Lì si trovano in condizioni pessime. Ci vorrà del tempo prima che le organizzazioni umanitarie possano provvedere anche solo ai servizi di prima necessità per questi rifugiati. Per il momento nuovi rifugiati arrivano in Ciad e in Camerun ogni giorno e - data l’enorme quantità - le organizzazioni umanitarie internazionali non riescono nemmeno a tenere il conto degli arrivi. Poi ci sono ancora migliaia di musulmani in due quartieri della capitale (PK5 e PK12) e in alcune altre città nell’ovest del Paese, in attesa di mezzi di trasporto per poter fuggire. La loro situazione è disperata. Sono minacciati di morte e vengono attaccati quotidianamente dalle milizie anti-balaka, ogni giorno ci sono morti. Alcuni sono rifugiati in moschee o in chiese cattoliche, molti preti cattolici si sono prodigati e continuano a operare con generosità e coraggio e malgrado le minacce delle milizie anti-balaka, per proteggere i musulmani, in attesa che questi vengano evacuati.

Che speranze concrete hanno le forze internazionali (in specie francesi) di ripristinare l’ordine nella regione?

Per il momento le forze internazionali, i Sangaris francesi e il MISCA dell’Unione Africana, sono i soli ad avere la capacità di proteggere la popolazione civile (è questo il loro mandato) e ripristinare l’ordine, perché non ci sone forze di sicurezza (cioè: forze armate) della RCA che possano essere all’altezza di questo compito. Ma finora i risultati delle forze internazionali lasciano molto a desiderare; troppo spesso esse non sono state presenti là dove c’era bisogno, in particolare dove ci sono stati massacri di civili. E anche dove sono stati presenti, spesso sono stati poco efficaci e non hanno saputo proteggere le popolazioni a rischio. Finora non sono riusciti a garantire alla popolazione musulmana che una protezione temporanea, in attesa dell’evacuazione. Uno dei loro errori principali è stato permettere agli anti-balaka di imporsi come veri e propri “Signori della Guerra” a Bangui e in tutto l’ovest del Paese.

La minoranza musulmana è dunque davvero a rischio di pulizia etnica? Cosa potrebbe fare la comunità internazionale per scongiurare questo rischio?

Si, nella capitale e in tutto l’ovest la più parte dei musulmani è già stata costretta ad abbandonare il paese sotto minaccia di morte. In molte città - dove alcune settimane fa avevo ancora trovato migliaia di musulmani - oggi non ne rimane nemmeno uno. Quelli che rimangono aspettano solo di poter fuggire perché non c’è altra opzione per loro, solo ieri ho parlato con alcuni musulmani nei due quartieri della capitale e tutti mi dicono che vogliono andarsene dal paese perché hanno paura e non c’è nessuno capace di garantire loro la sicurezza. La comunità internazionale deve fornire le risorse umane e i materiali alle forze di pace internazionali affinché queste possano compiere il loro dovere: proteggere i civili.

Ha dichiarato ai giornali che “oramai è troppo tardi”. Cosa intendeva dire? Soprattutto, cosa prevede per lo sventurato Centrafrica?

Per le centinaia e centinaia di morti e per le decine di migliaia che sono state obbligate a lasciare la RCA è già troppo tardi. Nell’arco di questi ultimi due mesi la popolazione musulmana di tutto l’ovest del Paese è stata cacciata e i pochi che rimangono stanno solo aspettando l’occasione per poter scappare e mettersi in salvo. Se non ci sarà un cambio repentino, tra poche settimane il processo di epurazione etnica in questa parte del Paese sarà stato completato. Al momento è difficile immaginare che queste popolazioni possano ritornare a breve scadenza. Inoltre c’è anche il rischio che la situazione degeneri nel resto del Paese, all’est della capitale, dove c’è una ancora una forte presenza dei gruppi Seleka e dove le tensioni tra le comunità sono in aumento in alcune regioni.

Quali azioni sta intraprendendo Amnesty?

Amnesty International agisce a due livelli: da un lato, continuando a investigare e a documentare i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità (e altre violazioni dei diritti umani), affinché i responsabili possano un giorno essere condotti a rispondere delle loro azioni. Dall’altro, facendo pressione sulle parti interessate – attori locali e comunità internazionale – perché venga messa fine alle violazioni e perché le azioni necessarie vengano intraprese per garantire protezione, assistenza e giustizia alle vittime, profughi e rifugiati.

(«Pagina3», 2 marzo 2014)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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