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Un anno di "Primavera araba"

Mohamed Bouazizi era un venditore ambulate, un giorno (il 17 dicembre del 2010) la polizia confisca le merci, alcuni dicono perché trovato privo di regolare permesso di vendita, altri sostengono senza alcuna ragione anzi, è stato anche picchiato dalle forze dell'ordine. Lo stesso giorno, nel pomeriggio, Mohamed si da fuoco, per protesta, davanti al palazzo del Governatore locale.

Suicidio e autolesionismo, due pratiche tristemente famose all'alba delle primavere arabe: è stato il martirio di alcuni tunisini ed egiziani ha mettere in moto le rivolte che hanno cambiato gli assetti di diversi paesi africani.

Ricorre oggi l'anniversario della prima grande manifestazione in Egitto, al Cairo, in piazza Tahrir, convocata dall'opposizione e dalla società civile per denunciare le misure repressive di un governo dittatoriale, la corruzione di una classe dirigente ottusa e disinteressata ai problemi di un popolo (mancanza di lavoro, in primis).

La "Giornata della collera", questo il nome della manifestazione del 25 gennaio 2011, finì nei violenti scontri nel centro del Cairo: Mubarak qualche giorno dopo (il 29 gennaio) fu costretto a sciogliere il governo e a nominare Sulayman suo vice, di lì a dieci giorni il rais delegherà tutti i suoi poteri all'ex capo dell'inteligence egiziana, consegnandogli, di fatto, il paese.

Intanto le proteste aumentavano ed entrarono in gioco i media: si iniziò a parlare di "rivoluzione su facebook", migliaia di persone seguirono le dirette delle manifestazioni (che si erano ormai diffuse in tutto l'Egitto) via twitter e la rete divenne collante e linguaggio delle rivolte.

Collante perché la rete ha permesso (e permette) ai vari gruppi di manifestanti sparsi per l'Egitto, di coordinarsi e diffondere i loro ideali di libertà e le loro denuncie, linguaggio perché internet ci ha raccontato come la disobbedienza civile si sia trasformata in rivoluzione tout cour, una storia che difficilmente i media tradizionali avrebbero raccontato; almeno non nella forma diretta che il flusso dei tweet permette o la testimonianza "senza filtri" dei blogger in piazza, una narrazione "dal basso" e velocissima (in termini di diffusione).

Così, messo da parte Mubarak, il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha assunto ogni potere in Egitto: gli stessi che denunciavano Mubarak in piazza ed in rete hanno continuato a denunciare l'istituzione militare, ma se Mubarak era stato costretto alle dimissioni a causa, tra le molteplici, anche di un'opinione pubblica sempre più cosciente dell'entità (e le ragioni) della rivolta, l'esercito, sotto la guida di Sulayman, ha reagito ad ogni protesta con durissima repressione militare in piazza e carcere duro per i manifestanti. 

Consci del ruolo chiave giocato dal web nelle rivolte dei primi due mesi del 2011 stavolta il governo non si è fatto cogliere impreparato; vengono chiusi siti e blog che alimentavano le critiche (lucidissime, in alcuni casi) al Consiglio supremo ("abbiamo levato un dittatore per avere tanti piccoli Mubarak" era ed è uno degli slogan dei manifestanti egiziani) e vengono sbattuti in carcere blogger attivisti.

Così, a fine marzo 2011, veniva arrestato Maikel Nabil, blogger che criticava duramente il governo militare; dal carcere Maikel ha praticato lo sciopero della fame per mesi, le rarissime righe che riusciva a far pervenire al suo avvocato erano sempre di denuncia nei confronti di una dittatura falsa e liberticida.

Oggi, ad un'anno esatto degli scontri in piazza Tahrir che misero in moto la primavera, la rivolta, lungi dall'arrestarsi, ha ritrovato la voce di Maikel Nabil, finalmente libero.

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