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Ugo Dighero a teatro con lo spettacolo “Alle 5 da me”: “Grande divertimento e relax. Un bel momento”

“Alle 5 da me” è lo spettacolo che lo vede protagonista, insieme a Gaia De Laurentiis. Una commedia esilarante che sta ottenendo un grande successo di pubblico, che verrà riproposta fino al 15 dicembre, per poi riprendere a marzo.

 Eclettico, versatile e ironico, sono delle caratteristiche caratteriali che al meglio lo rappresentano agli occhi del pubblico. Una carriera di grandi successi, frutto del suo indiscusso talento. In questa intervista, Ugo Dighero ci parla dello spettacolo, della sua passione per il teatro, nata grazie al padre, attore di teatro dialettale genovese, delle sue esperienze televisive, come quella di Don Pino Puglisi, della possibilità, in futuro, di poter ritornare al cinema, senza dimenticare l'impegno e il talento che lo hanno portato a fare della sua passione il suo mestiere.

 

“Alle 5 da me” è una commedia esilarante che la vede protagonista al fianco di Gaia De Laurentiis, fino all’ultima data di quest’anno del 15 dicembre ad Albano Laziale, per poi proseguire il 14 e il 15 marzo ad Ascoli Piceno. Quali sono le sue sensazioni e le reazioni del pubblico?

“Lo spettacolo sta andando molto bene. Siamo molto contenti. È il secondo anno di tournée. Adesso, stiamo per andare a Trieste. Andiamo in scena fino al 15 dicembre. Poi, riprendiamo marzo e aprile. È uno spettacolo molto divertente. C’è grande affiatamento con Gaia De Laurentiis. È la seconda commedia consecutiva che facciamo insieme. Il quarto anno di lavoro consecutivo insieme. Si creano delle dinamiche molto interessanti che ci consentono di fare lo spettacolo con grande relax e divertimento. Insomma, è un ottimo momento.”

 

Si è formato professionalmente, frequentando i corsi della Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova, al fianco di grandi nomi come Giorgio Albertazzi, Eros Pagni, Gian Maria Volontè, Lina Volonghi, Egisto Marcucci, Marcello Bartoli, e tanti altri. Com’è maturata questa inclinazione artistica?

“Il teatro mi piaceva sin da ragazzo, in maniera molto particolare, perché mio papà era un attore di teatro dialettale. Ha recitato dall’età di dieci anni, fino a quando è vissuto. Ha sempre avuto questa passione per il teatro. A Genova, c’è una grandissima tradizione di teatro dialettale, come a Napoli, a Venezia. Da ragazzino, andavo a vedere le prove di mio padre. Al liceo, alcuni compagni di classe si erano iscritti alla Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova. Sono andato a curiosare. Sono rimasto fulminato e innamorato di questa cosa. Nel lontanissimo ‘79, ho cominciato questa avventura molto appassionante, difficile, complicata. Insomma, una bellissima avventura.”

 

Attore di cinema, di tv e di teatro, è stato protagonista in molte serie di successo, come “Un medico in famiglia”, “Ris – Delitti Imperfetti”, “Casa famiglia”, “Padri”, “Rossella 2”, “Il tredicesimo apostolo”, che l’ha vista calarsi in dei ruoli differenti. Che ricordi ha di queste esperienze e degli attori con cui ha lavorato?

“Sono state delle esperienze molto appassionanti. Girare un film è diverso, perché ha una grammatica diversa rispetto al teatro. È molto appassionante. Ho avuto la fortuna di avere qualche esperienza particolare, come quando ho girato il film sulla vita di Don Pino Puglisi, un personaggio realmente esistito. Ovviamente, si affronta con una responsabilità diversa un lavoro di questo genere, avendo come riferimento una persona leale, concreta, con la sua storia molto tosta. Bellissime esperienze. Ho incontrato grandi registi, Gianfranco Albano, nella fattispecie, per Don Pino Puglisi, e anche altri personaggi, attori. Insomma, un’esperienza appassionante che mi ha consentito di completarmi come attore, perché, il teatro, così come fiction e programmi televisivi come “Avanzi” e “Mai dire goal”, sono grammatiche diverse per un attore. È estremamente appassionante passare da un linguaggio all’altro. Tutte esperienze che mi hanno consentito a formarmi a 360 gradi.”

 

Nella sua carriera di teatro, spiccano innumerevoli rappresentazioni che portano la sua regia. Che effetto le fa addentrarsi in questo ruolo?

“In realtà, per quanto riguarda la regia, mi sono solo occupato di fare la regia di me stesso, quando ho fatto alcuni monologhi. Ho organizzato e diretto me stesso. È completamente diverso fare la regia rispetto a uno spettacolo che coinvolge più persone. Quella è un’esperienza che non ho ancora fatto come regista. Non so se ho lo spirito e il carattere. Bisogna avere caratteristiche personali, spiccate e particolari per fare da regista. Non so se è la mia strada. Non è escluso che, nel prossimo futuro, avvenga una condizione del genere. Non è una delle mie aspettative principali.”

 

Da genovese, ha deciso di rendere omaggio a un grande interprete della musica cantautorale italiana, Fabrizio De André, portando in scena “Spoon River”, l’antologia di Edgar Lee Masters. Che cosa ha provato interpretare un’opera da cui De André ha composto il concept album “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”?

“È stato un lavoro molto interessante. Giorgio Gallione, il regista, è un assemblatore degli spettacoli. Non nascono con un testo teatrale, ma hanno derivazioni letterarie. In questo caso, da scritture musicali, da canzoni. È molto bravo ad assemblare gli spettacoli, prendendo dal materiale vario. C’erano i ballerini, la musica. Era uno spettacolo composto in maniera molto varia. È stata una bellissima esperienza. Credo, il modo più corretto, più consono per dare l’atmosfera giusta alle canzoni meravigliose di De André. Insomma, è stato uno bellissimo spettacolo, anche dal punto di vista scenico, è stato realizzato in maniera molto particolare, perché l’azione avveniva dove generalmente si siede il pubblico. Questa volta, il pubblico era seduto sul palcoscenico. Era tutto al contrario. C’erano delle atmosfere molto particolari, con grandissima soddisfazione e passione di portare di nuovo al pubblico tutte le tematiche di Fabrizio De André, un personaggio straordinario.”

 

Teatro, cinema, televisione, radio, una carriera di successi, frutto del suo indiscusso talento. C’è qualche esperienza a cui è rimasto fortemente legato e che vorrebbe riproporre in futuro?

“La cosa che mi piacerebbe fare in futuro è il cinema che, in realtà, ho fatto pochissimo, perché i film che ho fatto sono nati per la televisione. Il cinema è il mondo che ho frequentato di meno. Mi piacerebbe avere qualche occasione per lavorarci di nuovo. Spero che, in futuro, possa accadere.”

 

Di tutte le esperienze che ha fatto, qual è il suo bilancio?

“Dal punto di vista personale, il bilancio è straordinariamente positivo, perché sono riuscito a fare di una passione un mestiere. Guadagnarmi da vivere con una cosa che mi piace fare. È una fortuna che non capita a tutti. Sono contentissimo, sotto mille punti di vista, di aver fatto questa carriera. Dall’altra parte, man mano che si va avanti nel lavoro, purtroppo, si capisce che, in questo paese, soprattutto, quando si parla di arte e di cultura, sono sempre note dolenti. Scopri che il talento, che io davo come elemento fondante e fondamentale per fare una carriera di questo tipo, pensavo che fosse una cosa importante. Poi, scopri che, invece, non è così importante. È una porzione minuscola del paese il fatto di avere delle capacità. Questa cosa accade nel mio mestiere, ma anche in tutti i campi. Le persone che hanno talento, che fanno quello che dicono, vengono messe da parte in questo paese, perché creano problemi a quelli che, invece, riescono ad andare avanti con altri mezzi, non sempre leciti. Più si va avanti, più si lavora, più ci si amareggia. È un paese che sta aggrappando il fondo della pentola. È una grandissima delusione. Dal punto di vista personale, sono contento, perché ho fatto quello che volevo fare e sono riuscito a farlo. Ho avuto anche fortuna, che è un ingrediente che serve in questo mestiere. Per cui, non mi posso di certo lamentare.”

 

In un ambiente come il teatro, quanto è importante per un attore far sì che il pubblico diventi parte integrante dello spettacolo?

“Il pubblico è, sempre, l’altro personaggio dello spettacolo. Finché non si va in scena, non si conoscono le reazioni del pubblico, rimane tutto un po' teorico. Finite le prove, si va in scena. Ricomincia un altro periodo di studio, in cui capisci quali sono le reazioni del pubblico che, ovviamente, non sono sempre uguali tutte le sere. Di città in città, ci sono pubblici con caratteristiche diverse. È importante, per un attore, avere sempre l’ascolto, perché, al variare del pubblico, variano i modi e i tempi dello spettacolo. Bisogna tenere conto di questo. È sempre interessante confrontarsi con nuovi pubblici per vedere come si riesce a variare lo spettacolo.”

 

 

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