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Ucraina: una crisi d’identità

Le ma­ni­fe­sta­zio­ni di piaz­za sfo­cia­te nel­la de­sti­tu­zio­ne del pre­si­den­te Vik­tor Ja­nu­ko­vyč, i mo­vi­men­ti di trup­pe rus­se, la pro­cla­ma­zio­ne del­l’in­di­pen­den­za da par­te del par­la­men­to cri­meo han­no at­ti­ra­to l’at­ten­zio­ne del mon­do in­te­ro sul­l’U­crai­na. Il ti­mo­re di una esca­la­tion è dif­fu­so ovun­que ed è an­che giu­sti­fi­ca­to dal dif­fon­der­si di at­teg­gia­men­ti sem­pre più de­ci­si, da una par­te e dal­l’al­tra.

baciacroce

Tante identità, anche religiose

Sem­bra qua­si di es­se­re ri­piom­ba­ti al­l’e­po­ca del­la guer­ra fred­da. In­fat­ti, qua­si tut­ti i mass me­dia sem­pli­fi­ca­no la con­te­sa pre­sen­tan­do un pae­se di­vi­so tra fi­lo­rus­si e fi­loc­ci­den­ta­li. La real­tà è nel con­tem­po an­co­ra più sem­pli­ce e as­sai più com­ples­sa. Gli ucrai­ni sono sla­vi orien­ta­li come i rus­si e la lin­gua ucrai­na è una sor­ta di via di mez­zo tra il po­lac­co e il rus­so: una cir­co­stan­za fi­glia del pas­sa­to, quan­do l’at­tua­le Ucrai­na era spar­ti­ta tra l’im­pe­ro za­ri­sta a est e la con­fe­de­ra­zio­ne po­lac­co-li­tua­na a ove­st. In Ucrai­na vi è una con­si­sten­te mi­no­ran­za rus­sa che par­la rus­so e che di­ven­ta mag­gio­ran­za in Cri­mea. Nel­la pe­ni­so­la si pos­so­no tro­va­re al­tre mi­no­ran­ze: come per esem­pio i ta­ta­ri, che co­sti­tui­va­no un tem­po la mag­gio­ran­za, il cui kha­na­to è sta­to in­di­pen­den­te fino a due se­co­li fa e che han­no alle spal­le an­che una sto­ria di de­por­ta­zio­ne. In Cri­mea c’è per­si­no una più che se­co­la­re pre­sen­za ita­lia­na.

Ogni mi­no­ran­za ha la sua iden­ti­tà e la sua re­li­gio­ne “sto­ri­ca”. An­che in que­sto caso sia­mo in pre­sen­za di dif­fe­ren­ze che a un os­ser­va­to­re ester­no non sem­bra­no cer­to enor­mi, in un qua­dro di ac­cen­tua­ta pol­ve­riz­za­zio­ne e di cre­scen­te se­co­la­riz­za­zio­ne. Un ter­zo del­la po­po­la­zio­ne ucrai­na non è cre­den­te, un al­tro ter­zo è cre­den­te – e non ra­ra­men­te an­che pra­ti­can­te – sen­za ap­par­te­ne­re a con­fes­sio­ni re­li­gio­se. Il ter­zo che ap­par­tie­ne si di­chia­ra qua­si sem­pre or­to­dos­so, ma at­ten­zio­ne: il 15% del­la po­po­la­zio­ne af­fe­ri­sce al Pa­triar­ca­to di Kiev, il 10% al Pa­triar­ca­to di Mo­sca, il 5% è gre­co-cat­to­li­co.

La pri­ma di­vi­sio­ne ri­sa­le ad­di­rit­tu­ra al 1596: con l’unio­ne di Bre­st al­cu­ne chie­se or­to­dos­se di rito gre­co, dif­fu­se in ter­ri­to­ri al­lo­ra sog­get­ti alla mo­nar­chia po­lac­co-li­tua­na, pur man­te­nen­do le loro spe­ci­fi­ci­tà ac­cet­ta­ro­no il pri­ma­to del papa e ora sono spre­gia­ti­va­men­te chia­ma­te “unia­te”. La se­con­do di­vi­sio­ne è suc­ces­si­va alla ca­du­ta del­l’Urss: alla se­ces­sio­ne po­li­ti­ca fece in­fat­ti se­gui­to la se­ces­sio­ne re­li­gio­sa e nac­que un Pa­triar­ca­to di Kiev – non ri­co­no­sciu­to da­gli sto­ri­ci pa­triar­ca­ti or­to­dos­si – a cui co­min­cia­ro­no a far capo mol­ti or­to­dos­si del­le re­gio­ni oc­ci­den­ta­li. A com­pli­ca­re il qua­dro ci sono al­tre due di­vi­sio­ni: par­te de­gli or­to­dos­si in­di­pen­den­ti da Mo­sca fan­no ri­fe­ri­men­to a una pic­co­la Chie­sa au­to­ce­fa­la e par­te dei cat­to­li­ci (l’e­si­gua mi­no­ran­za po­lac­ca) se­gue il rito ro­ma­no e non fa par­te del­le Chie­se unia­te.

Un con­te­sto con­flit­tua­le già pre­so in giro da Mi­chail Bul­ga­kov qua­si un se­co­lo fa, come ha ri­cor­da­to Lui­gi Ac­cat­to­li sul Cor­rie­re del­la Sera lo scor­so due mar­zo, che ge­ne­ra an­che si­tua­zio­ni cu­rio­se. Come quan­do, nel 2001, in una tor­na­ta di no­mi­ne già di per sé ec­cen­tri­ca (in quan­to di soli set­te gior­ni suc­ces­si­va alla pre­ce­den­te) Gio­van­ni Pao­lo II creò con­tem­po­ra­nea­men­te due car­di­na­li di Lviv, una cit­tà che si tro­va al­l’e­stre­mi­tà oc­ci­den­ta­le del­l’U­crai­na: era­no Lyu­bo­myr Hu­sar, ar­ci­ve­sco­vo de­gli or­to­dos­si cat­to­li­ci, e Ma­rian Ja­wor­ski, a capo dei cat­to­li­ci-cat­to­li­ci. Un even­to più uni­co che raro.

Tra l’al­tro, pro­prio la re­li­gio­ne fu il pre­te­sto per sca­te­na­re la (pri­ma?) guer­ra di Cri­mea. Va ri­co­no­sciu­to che, nel­le scor­se set­ti­ma­ne, i lea­der del­le tan­te co­mu­ni­tà di fede han­no dato vita a ma­ni­fe­sta­zio­ni ecu­me­ni­che, con fre­quen­ti in­vi­ti alla cal­ma e al dia­lo­go. L’at­teg­gia­men­to del­la “base” non è sta­to però al­tret­tan­to pa­ci­fi­co. I pope sono spun­ta­ti sia die­tro i na­zio­na­li­sti, sia die­tro i sol­da­ti rus­si in at­teg­gia­men­to be­ne­di­cen­te. E non è man­ca­to il ten­ta­ti­vo di giu­sti­zia som­ma­ria: un so­spet­to cec­chi­no è sta­to pic­chia­to da una tur­ba di ma­ni­fe­stan­ti a Kiev e co­stret­to in modo bru­ta­le a ba­cia­re una cro­ce cop­ta. Si è poi sco­per­to che non si trat­ta­va di un cec­chi­no, ma di Ro­sti­slav Va­sil­ko, se­gre­ta­rio del par­ti­to co­mu­ni­sta ucrai­no di Lviv, pre­le­va­to a casa sua da estre­mi­sti di de­stra e fi­ni­to al­l’o­spe­da­le con tre co­sto­le rot­te e il set­to na­sa­le fran­tu­ma­to.

Una convivenza è possibile?

La di­vi­sio­ne spi­ri­tua­le si so­vrap­po­ne dun­que alla di­vi­sio­ne et­no-lin­gui­sti­ca e a quel­la po­li­ti­ca, ed è an­che ben più am­pia di quan­to già de­scrit­to (per esem­pio, i ta­ta­ri sono mu­sul­ma­ni). E più cre­sco­no i mo­ti­vi di di­vi­sio­ne e più le iden­ti­tà sono for­ti, più le iden­ti­tà sono for­ti e più la coe­si­sten­za è dif­fi­ci­le. Ce­chi e slo­vac­chi si sono se­pa­ra­ti pa­ci­fi­ca­men­te, ma han­no una lin­gua qua­si ugua­le e la stes­sa con­fes­sio­ne sto­ri­ca pre­do­mi­nan­te. Su un iden­ti­co sce­na­rio di fon­do (co­mu­ni­smo e se­co­la­riz­za­zio­ne) ser­bi e croa­ti dif­fe­ri­va­no in­ve­ce, ol­tre che per l’al­fa­be­to uti­liz­za­to, per la con­fes­sio­ne cri­stia­na di ri­fe­ri­men­to. E si sa com’è fi­ni­ta.

Tut­ti co­lo­ro che gio­ca­no a far ri­vi­ve­re i miti del­le ori­gi­ni, a pro­muo­ve­re se­let­ti­va­men­te al­cu­ne “ra­di­ci” e a esal­ta­re le iden­ti­tà di grup­po (o per me­glio dire di bran­co) fi­ni­sco­no sem­pre per svi­li­re le in­di­vi­dua­li­tà in una lo­gi­ca co­mu­ni­ta­ria “o con noi o con­tro di noi”. Rin­fo­co­la­no an­ti­chi odi, scher­za­no col fuo­co e por­ta­no a gal­la il peg­gio (neo­na­zi­sti a Kiev, no­stal­gi­ci sta­li­ni­sti in Cri­mea). Lo sboc­co vio­len­to è sem­pre die­tro l’an­go­lo e a quel pun­to è du­ris­si­ma tor­na­re in­die­tro con sem­pli­ci di­chia­ra­zio­ni ecu­me­ni­che, per quan­to be­nin­ten­zio­na­te.

In Ucrai­na per for­tu­na non c’è an­co­ra una guer­ra e an­che se ci fos­se non sa­reb­be una guer­ra di re­li­gio­ne: le cau­se sono al­tre. Gli iden­ti­ta­ri­smi aiu­ta­no però a na­scon­der­le, a mi­me­tiz­zar­le, a “ven­de­re me­glio il con­flit­to”. E co­mun­que, no­no­stan­te tan­te bel­le af­fer­ma­zio­ni di prin­ci­pio, mai so­ste­nu­te da evi­den­ze em­pi­ri­che, la re­li­gio­ne non è però mai un ele­men­to di coe­sio­ne (sal­vo lad­do­ve ve ne è to­ta­li­ta­ria­men­te sol­tan­to una). E ogni at­tua­le mi­no­ran­za, di­ven­tan­do mag­gio­ran­za, sarà chia­ma­ta a vi­ve­re in un con­te­sto di con­vi­ven­za con al­tre mi­no­ran­ze. È un per­cor­so po­ten­zial­men­te in­fi­ni­to e solo l’u­gua­glian­za dei di­rit­ti, il ri­pu­dio di ogni iden­ti­ta­ri­smo, il lai­co ri­co­no­sci­men­to re­ci­pro­co e la va­lo­riz­za­zio­ne del­le li­be­re e con­sa­pe­vo­li scel­te in­di­vi­dua­li pos­so­no ga­ran­ti­re una con­vi­ven­za pa­ci­fi­ca.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.86) 13 marzo 2014 12:02

    A prescindere (perchè non ne ho le prove) se in Russia la violenza sia un comportamento normale (come ci scrivono nelle email-scam? alcune ragazze russe che cercano un marito in Europa); penso che questa situazione sia la conclusione di anni di tensione, fraintendimenti, campagne elettorali (tipo televendite) e forse elezioni truccate (Bush-Al Gore etc...=Guanatanamo -> +Grande Fratello+Stupri+torture legali?)... quindi se qualcuno ha tirato troppo la corda, adesso la corda si stà spezzando...

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