• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > Ubi Intesa, minor cessat

Ubi Intesa, minor cessat

Si suppone che io debba distillare qualche banalità sul tentativo (“non concordato ma amichevole”, ché “ostile” suona male) di Intesa Sanpaolo di mangiarsi Ubi, annunciata ieri l’altro sul far della notte dalla banca milanese con grattacielo torinese. E sia. Mi scuso sin d’ora se le mie riflessioni vi sembreranno inutili.

Le grandi evidenze di scenario, e le relative fallacie e forzature, le avrete già lette. Parte il consolidamento bancario italiano, dopo una stasi durata quanto la Grande Crisi; Intesa Sanpaolo si prende la polpa del sistema, e questo significa che da qui in avanti non avrà più interesse a prendersi in carico le parti malate del sistema, cioè a fare il Cavaliere Bianco dietro profumato compenso di soldi pubblici; nasce un campione italiano, l’Europa può attendere; oppure l’antitesi, nasce una entità nazionale sempre più ingombrante e sistemica.

Andiamo con ordine. Sul consolidamento, annunciato da tempo immemore e chiesto anche dalla Vigilanza europea, a mo’ di suggerimento, i banchieri replicano “sì, ma”, ed altre amenità. Il settore è eroso dalle fondamenta dai tassi negativi, dalla comparsa del Fintech (forse, vedremo), in misura minore dalla Mifid 2, che dovrebbe (condizionale d’obbligo assoluto) legare le mani a espedienti predatori nel risparmio gestito. Ho qualche dubbio ma lasciamo il punto.

Chi compra chi? In Italia abbiamo due grandi player. Il primo è una banca di sistema il cui capo azienda non disdegna assertive valutazioni sull’operato dei governi pro tempore, e che sin qui non ha bocciato l’era grillina, ritenendo di intravvedere qualcosa di buono nel versante sociale, che poi sarebbe il secondo core business di Intesa, con la filantropia. Attività di altissimo profilo e rilevanti risultati, che si alimenta della notevole redditività della banca, che agevola un ricco payout in dividendi.

Intesa Sanpaolo ha rilevato la polpa delle due banche venete defunte, con robusta dote di soldi dei contribuenti. Dovessero esservi ulteriori esigenze del genere, lo schema potrebbe ripetersi, quindi non vedo ostacoli anche in ipotesi di ingestione e digestione di Ubi, che peraltro con Intesa ha una sovrapposizione rilevante in aree ricche del paese, che sarà gestita.

Il secondo Big Player è Unicredit, guidato da un francese che pare in Italia non goda di ottima stampa, a differenza di Intesa. Forse perché la sua banca è meno coinvolta nel finanziamento di attività editoriali. Ma questo conta poco. Unicredit era da molto tempo in predicato di creare una aggregazione transfrontaliera (cross-border, per chi ha fatto il militare alla McKinsey), forte del fatto che essa stessa è già banca pressoché bicefala, tra Italia e Germania.

Ora quella prospettiva pare rientrata, con grande sollievo di ampia parte di politica e libera stampa italiane, terrorizzate all’idea che i risparmi degli italiani possano fare la fine dei turisti globali, cioè essere dirottati nella Valle della Loira. Mai dire mai (più), ma l’assenza di una unione dei capitali in Europa non aiuta le operazioni transfrontaliere. Forse si potrebbe pensare alla creazione di holding continentali, che controllano banche nazionali, anche per aggirare le criticità relative all’assenza di una assicurazione europea dei depositi, situazione che tende a segregare i rischi a livello nazionale. E non solo quello, diciamola tutta: alla fine, conta l’interesse nazionale, nel bene e nel male.

Altro interrogativo: Intesa Sanpaolo sta facendo un “errore”, ad assumere una tale dimensione domestica, quindi a mettere tutte le uova nello stesso paniere? Ottimo punto. Viviamo in un’era stolidamente sovranista, e tra i cascami di ciò vi è anche, in finanza, questo arroccamento con scavo di trincee, che porta a negare i benefici della diversificazione degli investimenti. Niente limiti all’home bias domestico sui titoli di Stato, che è l’elemento che impedisce al negoziato sull’assicurazione europea sui depositi di progredire. Anche gli assicuratori, che dovrebbero essere sensibili al tema quanto e più dei banchieri, hanno deciso che la diversificazione è un male.

Questo è un problema, oggettivamente. Soprattutto quando Messina manda a dire al MEF che è contrario a indurre la Compagnia di San Paolo a ridurre a limiti di sicurezza la sua partecipazione nella banca milanese-torinese. Evidentemente la triste storia della Fondazione MPS non ha insegnato nulla. So cosa obietterete: storia e numeri completamente differenti, e comunque Messina non è Mussari né i vertici della Compagnia sono il gruppo di villici che “guidava” la fondazione senese. Direi che le cose sono un po’ più complesse di così, ma contenti voi.

Intesa Sanpaolo diverrà ancora più sistemica, dopo questa acquisizione. Una vera “banca degli italiani”. A quel punto, in costanza di vibrazioni e scricchiolii sul rischio-Italia, rischierà di divenire il vero dominus del futuro del paese. O portandolo a picco con sé (e viceversa) oppure dettando alla politica imbelle come uscire dai guai. Un embrione di questa ascesa al ruolo demiurgico la si è avuta con il tratteggio da parte di Messina del famoso piano per compensare attivi e passivi patrimoniali del sistema-Italia. Per attuare il quale magari servirà pure marciare su Trieste, per riaffermare patriotticamente che è italiana. Ah, le vertigini della storia!

Riguardo al resto del sistema (che farà BancoBPM, a chi verrà data MPS, che accadrà alla Bcc di Vergate sul Membro eccetera), vedremo. Osservo che l’ecosistema si sta strutturando per benino, con vassalli, valvassini e valvassori disposti in catena alimentare per rilevare gli sportelli eccedentari dell’aggregazione. Io su questi tipi di operazione andrei molto cauto ma per fortuna non sono banchiere, e comunque i vertici di BPER hanno già detto che loro compreranno “clienti, non sportelli”. Dicono tutti così, da anni. Auguri.

Ah, una prece per l’antica tassonomia tutta italiana, quella di “finanza laica vs. finanza cattolica”, caduta in desuetudine (come direbbe un banchiere di Ravenna) moltissimo tempo addietro. Ma in Italia, si sa, il tempo si è fermato e c’è ancora in giro chi farfuglia del “miracolo economico” del Mesozoico tentando di capire come rivitalizzarlo senza sedute spiritiche.

Last but not least, un pensiero deferente a chi ha contribuito a rendere possibili queste evoluzioni di sistema, con relativa gestione degli esuberi di personale, destinati a divenire un fiume in piena: Quota 100, quella che doveva innescare la staffetta generazionale e produrre turnover di tre nuovi assunti per ogni prepensionato. Avremo, forse, uno per tre ed enormi costi per i contribuenti: attendiamo illustri luminari accademici prestati alla vita pubblica suggerire di assegnare azioni Intesa Sanpaolo ai contribuenti italiani. No?

Al momento, sulla vicenda Intesa-Ubi mi farei bastare questo tweet di pura essenza:

 
 

Manca ancora il 1° commento di consulente strategico che giudichi positivamente consolidare una leadership già ampia in un settore con margini e crescita povere, in un mercato che non crescerà e produrrà ancora NPL per anni
Perché le ragioni forse sono altrove#IntesaUBI

 
 
 
 

Ma sono talmente disperato (i.e., “chi, che ha perso la speranza”) sulla condizione italiana che quasi mi verrebbe da dire: bravo dottor Messina, lei ha visione: ora metta le mani sul volante di questo disgraziato paese e dica ai maggiordomi politici cosa devono fare. Ma me ne asterrò perché c’è un limite anche alla disperazione.


Lettura complementare consigliata, con un occhio agli aspetti finanziari dell’acquisizione: Massimo Famularo per Econopoly.

Foto: Uccio “Uccio2” D'Ago/wikimedia

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità