• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > Attualità > Tutti i numeri del Coronavirus in Lombardia

Tutti i numeri del Coronavirus in Lombardia

Grazie al lavoro di OnData, ora è possibile conoscere nel dettaglio l’evoluzione di casi e decessi in Lombardia.

di Lorenzo Ruffino

Dopo quasi due mesi dall’inizio dell’epidemia di Coronavirus, sono disponibili dati dettagliati sulle persone contagiate e decedute in Lombardia grazie al lavoro di OnData, che li ha estratti dalla dashboard della Regione (la quale, poco dopo, è stata sospesa). 

 

I veri numeri del contagio

La Regione Lombardia pubblica i dati sui casi retrodatando i tamponi positivi alla data di ricevimento in laboratorio, che si può ipotizzare essere vicina a quella del prelievo: questo consente di vedere i dati senza il lag dovuto ai tempi di analisi. Tuttavia, anche basandosi sulla media mobile a 5 giorni come nel grafico seguente, si nota una forte differenza tra i dati della Regione e quelli rilasciati dalla Protezione Civile: le due curve in alcuni momenti hanno anche direzioni diverse.

Se infatti in un primo momento si muovevano nella stessa direzione, dall’11 marzo in poi lo scollamento ha iniziato ad essere considerevole. In particolar modo la curva della Protezione Civile dà l’idea che intorno al 22-23 marzo si sia raggiunto un picco, mentre con la curva della Regione si ha più che altro una sorta di “pianoro” che va dal 24 marzo al 7 aprile con una punta il 4 aprile. Attualmente invece il calo dei casi è maggiore per la Regione rispetto alla Protezione Civile. 

La curva dei decessi mostra differenze ancora maggiori. Molte delle persone decedute infatti hanno avuto un tampone positivo nei primi giorni di marzo per arrivare a un picco il 23 marzo nella nostra media mobile e poi calare rapidamente dal 6 aprile. Nei dati della Protezione Civile invece si ha una lenta crescita, un picco il 30 marzo e poi un calo molto meno marcato. La differenza può risiedere in due fenomeni distinti: è stato fatto un tampone e poi la persona è deceduta o il tampone è stato fatto post-mortem e ci è voluto molto tempo per analizzarlo. Molto probabilmente il primo fenomeno è quello preponderante. 

 

I dati per età

I dati disponibili però ci consentono di analizzare anche la situazione per fasce d’età. Bisogna specificare però che questi dati sono soggetti a un forte bias: le notizie apparse in queste settimane ci dicono chiaramente che i tamponi sono stati fatti principalmente a persone che si presentavano in ospedale e già gravamente ammalate (quindi tendenzialmente anziane).

Considerando questo fattore si può vedere che la fascia con più casi in Lombardia è quella degli over 75: rappresentano il 34,4% dei casi. Dopo di loro c’è la fascia 50-64 anni con il 26,5% dei casi totali. Sotto i 18 anni ci sono invece appena 426 casi, pari allo 0,7%. Guardando ai decessi, si vede invece che il 68,2% delle morti è concentrato tra gli over 75 e che sotto i 18 anni ne sono avvenuti solo due.

Guardando ai tamponi positivi per fascia di età nel tempo, si nota che la percentuale di persone anziane sottoposte a test è iniziata ad aumentare dal 9-10 aprile. La crescita dei test per gli over 75 però è avvenuta principalmente a Milano e Brescia e non a Bergamo. Inoltre, ad essere testate negli ultimi giorni sono state in particolare le donne tra gli 80 e i 100 anni.

 

I casi per genere

Se si guarda al grafico con i casi per età di maschi e femmine, si può notare come questi salgano con l’avanzare dell’età. C’è però un’importanze differenza difficilmente spiegabile: i casi tra le donne tra i 58 e i 79 anni crollano e hanno un andamento molto diverso rispetto a quello dei maschi.

Inoltre, dagli 80 ai 90 anni tra gli uomini ci sono spesso, per ogni anno di età, più persone decedute per il virus rispetto ai contagiati ancora in vita. Vale anche la pena sottolineare come siano stati fatti i tamponi a molti neonati, probabilmente i figli di madri positive al virus. 

Guardando sempre ai dati per genere, si vede che le donne rappresentano il 47,8% dei contagi, ma solo il 33,4% dei decessi. Questa differenza era anche emersa dai dati Istat su 1698 comuni italiani dove la mortalità rispetto al 2019 saliva tra gli uomini del 125% e tra le donne dell’82%.

La maggior parte dei deceduti uomini è concentrata tra gli over 75: sono il 63,1% dei decessi totali, mentre tra i 65 e i 74 anni corrispondono al 25,9%. Anche tra le femmine vale in linea di massima questa proporzione, ma i decessi tra i 65 e i 74 anni sono decisamente di meno: in questa fascia di età ci sono 7.164 uomini contagiati e 5.041 donne, mentre tra gli over 75 ci sono 13.414 donne e 10.536 uomini.

Questi dati hanno anche un effetto sulla letalità apparente. Parliamo di letalità apparente perché il testare maggiormente le persone più gravi e anziane ha portato all’esclusione di asintomatici e giovani, facendo così salire a doppia cifra il tasso di letalità. Le nazioni che invece hanno deciso di fare tamponi a tutti hanno tassi di letalità minori.

Come si vede dalla tabella, il tasso di letalità apparente cresce con l’aumentare dell’età e il virus si rileva più mortale per gli uomini che per le donne. È infatti deceduto l’11,5% delle donne contagiate e il 23,6% degli uomini risultati positivi. Tra i maschi over 75 quasi la metà dei contagiati è deceduto.

Casi per nazionalità

Guardando alla nazionalità dei contagiati emerge che il 93,5% di chi ha avuto un tampone positivo ha la nazionalità italiana. Si sale al 98,8% guardando ai decessi.

Isolando invece gli stranieri, si può vedere che il 15,6% dei contagiati non italiani è peruviano, il 15,1% romeno e il 10% albanese. Tra i decessi degli stranieri, invece, il 16,1% è albanese, il 12,4% peruviano e l’8% romeno. Nel complesso, il 37,5% dei casi stranieri è europeo, il 30% centro o sudamericano, il 17,4% africano, il 15% asiatico e appena l0 0,05% dell’Oceania. 

 

Casi per provincia

I casi per provincia retrodatati alla data di ricevimento del tampone mostrano importanti differenze temporali. Ad esempio, utilizzando una media mobile a 5 giorni si vede come casi giornalieri nella provincia di Bergamo hanno una crescita repentina e poi rimangono alti per circa 20 giorni. Nella provincia di Lodi, da dove tutto è partito, non c’è invece un vero picco, probabilmente per via della zona rossa istituita a fine febbraio. Anche Brescia ha avuto un andamento simile a quello di Bergamo, seppur con ancora più variabilità: entrambe però hanno superato da diversi giorni il picco.

Cremona, invece, non ha avuto un vero e proprio picco, ma per un mese è stata oltre i cento casi giornalieri e solo adesso sta avendo un calo. Parlando di Milano, la crescita è continuata fino a una settimana fa e solo negli ultimi sette giorni è iniziata la discesa. Attualmente è ancora sopra i duecento casi giornalieri. Anche la provincia di Monza e della Brianza ha avuto il picco dopo Bergamo e Brescia, e adesso è in calo. 

Le altre province invece hanno sempre avuto minori casi giornalieri e sono tutte in fase discendente, per cui il picco sembrerebbe superato quasi ovunque nella Regione.

 
 

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità