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Turchia | La storia di un’insegnante che ha preso la parola contro la guerra, ora in carcere con la figlia

L’8 gennaio del 2016, Ayşe Çelik, si è collegata in diretta ad un programma televisivo. La giovane insegnante nel suo intervento ha provato attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sugli scontri in atto nel sud est della Turchia. Dopo questa telefonata la vita di Çelik è diventata un incubo.

di Murat Cinar

“Qui vengono uccisi i bambini e le madri. Voi artisti dovete essere sensibili in merito a quello che accade. Ci sono diverse persone che festeggiano l’uccisione delle persone. Sono un’insegnante e mi chiedo come faranno i colleghi che abbandonano la zona a guardare negli occhi dei loro allievi quando rientreranno sul posto di lavoro. Purtroppo i media non raccontano correttamente quello che succede qui. Dovete prestare più attenzione. La gente qui lotta contro la fame e non riesce a dormire a causa delle esplosioni. Vorrei che i bambini non morissero più e le madri non piangessero più.”

Sono le parole di Ayşe Çelik pronunciate durante lo storico Beyaz Show, diretto dal comico Beyazit Ozturk, un programma di intrattenimento in diretta sul canale turco Kanal D ogni venerdì sera.

Dopo l’intervento della giovane insegnante il presentatore Ozturk ha ringraziato gentilmente Celik e ha promesso che presterà più attenzione a quello che accade. Durante l’intervento della giovane donna non sono mancati in studio gli applausi da parte del pubblico.

Tuttavia il canale televisivo Kanal D non la pensava come il comico. In poche ore l’ufficio stampa della storica emittente ha diffuso un comunicato con queste parole: “Sin dai primi giorni della sua fondazione Kanal D ha sempre sostenuto le politiche dello Stato”. Va tenuto in considerazione che gli scontri in atto in numerose località si svolgevano tra le forze armate dello stato e quelle vicine/appartenenti al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), definito come un’organizzazione terroristica.

Nel giro di poche ore Kanal D e Beyazit Ozturk sono stati accusati di “dare spazio alla propaganda terroristica”. Era evidente che il potere politico/popolare non aveva nessuna voglia di sentire critiche su quello che accadeva in quei giorni nel sud est del paese. Così anche Ozturk si è presentato davanti alle telecamere pronunciando queste parole: “La mia posizione è risaputa, sono legato alla mia patria e alla mia bandiera. Pensavo che la signora fosse veramente un’insegnante. Conosco ciò che fa l’organizzazione terroristica e l’impegno della nostra polizia. Spero che Allah sia d’aiuto alle nostre forze armate in zona. Chiedo scusa a tutte le persone. Sono con il nostro popolo ed il nostro Stato”.

Mentre i media mainstream vicini al governo conducevano un’aggressiva campagna contro Kanal D, Beyazit Ozturk e l’insegnante che aveva preso la parola, il Procuratore della Repubblica della città di Diyarbakir ha denunciato Ayşe Çelik con l’accusa di “propaganda per il conto delle organizzazioni terroristiche”.

Il quotidiano nazionale Sabah, appartenente al gruppo edile Kalyon Holding, dove scrisse Berat Albayrak fino al 2015, il Ministro dell’Energia nonché il genero del Presidente della Repubblica, nel suo account ufficiale Twitter invitava l’Ente Superiore per le Trasmissioni Audiovisive a prendere le necessarie misure nei confronti del canale e dello showman in questione.

In quel momento il Ministero dell’Istruzione divulgava l’informazione secondo cui Ayşe Çelik non fosse un’insegnante statale ma un’insegnante impiegata in un centro di istruzione popolare (tipo dopo scuola). Quindi ormai il messaggio che passava era chiaro: “Una provocazione pianificata per fare propaganda al terrorismo”.

Il meccanismo attivato era così aggressivo che l’11 gennaio il Procuratore della Repubblica ha accettato la denuncia di un cittadino e ha aperto un’inchiesta con l’accusa di “propaganda al terrorismo” contro Beyazit Ozturk.

Ormai era chiaro: ascoltare, dare spazio, accogliere oppure discutere un messaggio su quello che accadeva era una cosa assolutamente inaccettabile. Mettere in discussione l’operato delle forze armate dello Stato era un atto di propaganda terroristica.

Il 16 gennaio un gruppo di studenti universitari appartenenti al collettivo Öğrenci Kolektifleri ha partecipato come spettatore al Beyaz Show, ha aperto uno striscione in diretta e ha gridato degli slogan solidali con l’insegnante Ayşe Çelik. La trasmissione è stata interrotta, i manifestanti sono stati portati fuori dallo studio e 3 di questi sono stati denunciati.

Dopo un lungo percorso giuridico, il primo marzo del 2017 Ayşe Çelik è stata condannata a 15 mesi di carcere, mentre i suoi sostenitori e Beyazit Ozturk sono stati assolti.

Il 20 aprile del 2018, tre giorni prima della Festa dei Bambini, la giovane insegnante si è consegnata alla polizia ed è stata portata nel carcere di Diyarbakir con sua bambina, Delan, che ha appena compiuto 6 mesi.

Si attende ancora il parere della Corte Costituzionale e Mahsuni Karaman, l’avvocato della giovane insegnante ha comunicato che farà la necessaria richiesta per la scarcerazione sotto condizionale.

Il caso di Ayşe Çelik ci a capire cosa significhi, nella Turchia di oggi, opporsi alle politiche dello Stato, parlare della vita dei bambini e difendere la vita delle persone.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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