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Tunisia, la nuova Costituzione tra luci e ombre

 
La Costituzione che i 217 membri dell’Assemblea costituente della Tunisia si apprestano a votare (la seconda dall’indipendenza dalla Francia del 1956, complessivamente 146 articoli) contiene molte norme in materia di diritti umani internazionalmente riconosciuti.

L’articolo 20 proclama l’uguaglianza tra uomini e donne e la non discriminazione di fronte alla legge di tutti i cittadini tunisini (non anche degli stranieri residenti in Tunisia) senza tuttavia esplicitare i motivi vietati di discriminazione. L’articolo 45 prevede che lo stato adotti “tutte le misure necessarie per eliminare la violenza contro le donne”.

Messa al bando la tortura (articolo 22), garantiti i diritti alla riservatezza e alla protezione dei dati personali (articolo 23), riconosciuto l’asilo politico e vietata l’estradizione dei richiedenti asilo (articolo 25), sancito il diritto al processo equo (articolo 26), rimane invece in vigore la pena di morte.

La prevede l’articolo 21, che recita: “Il diritto alla vita è sacro e non potrà essere violato, salvo in casi estremi regolati dalla legge”.

Un peccato, dato che l’ultima esecuzione risale a oltre un ventennio fa, esattamente al 1991. Invano la deputata Nadia Chaabbene del partito Almasar ha ricordato che durante il regime di Bourghiba la pena capitale era usata per punire il dissenso politico (le cronache ufficiali ci dicono che tra il 1956 e il 1987 vi furono 137 esecuzioni, 129 delle quali per reati politici).

È stata una discussione aspra e a tratti i toni duri hanno lasciato il posto alle minacce di morte. Come quelle ricevute il 5 gennaio da Mongi Rahoui, membro del Fronte popolare, dopo che il deputato di Ennahda Habib Ellouze lo aveva pubblicamente definito “nemico dell’Islam”.

Inevitabile che, sul piano della redazione del testo, questa tensione abbia prodotto alcune norme compromissorie e, a volte, contrastanti.

Secondo il testo dei primi due articoli della Costituzione, la Tunisia è una repubblica e uno stato civile governato dal primato della legge. L’Islam è la religione di stato.

Il tentativo dei partiti islamisti di fare del Corano e degli insegnamenti del profeta Maometto le fonti principali della legge è stato respinto. L’art. 6, però, vieta l’abbandono dell’Islam per un’altra religione. Contemporaneamente lo stesso articolo proibisce le scomuniche e le accuse di miscredenza (in buona sostanza, mette al bando la fatwa) e attribuisce allo stato il ruolo di “garante della neutralità dei luoghi di preghiera” e “della libertà di coscienza” e di “protettore dei luoghi sacri”.

Come sempre, sarà necessario aspettare di vedere se e come la Costituzione sarà attuata. L’applicazione, in particolare, delle norme sui diritti potrà finalmente rappresentare il momento di discontinuità col passato.

 

Foto: Giovanni Zuccaro/Flickr

 

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