• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Traffici in Africa. I rifiuti e il senso dell’Europa per la civiltà

Traffici in Africa. I rifiuti e il senso dell’Europa per la civiltà

C’è sempre uno strano senso di inversione nella storia. Spesso di cicli, sicuramente di rotte. Soffermandosi a guardare il Mediterraneo capovolgendo le prospettive e allungando lo sguardo oltre gli eventi odierni, tutto assume un contorno diverso. Eppure si preferisce dimenticare o semplicemente chiudere gli occhi o ancora più banalmente accontentarsi di leggere il presente come momento.

Un tempo la civiltà viaggiava seguendo rotte spesso contrarie a quelle che conosciamo. L’Oriente non era un anti Occidente, almeno fino a un certo punto della storia, quando le correnti umane, economiche e culturali care a Febvre viaggiavano nel Mediterraneo superando gli schemi e i pregiudizi e gli europei si spostavano altrove, spesso sui lidi africani, mossi dalla miseria e dalla precarietà. È una storia poco nota di mercanti e artigiani, di ingegneri, tecnici e vagabondi, di accoglienza, ma anche di mancate integrazioni. È la storia di pregiudizi che si rovesciano, quando il turco apre le porte del suo impero mentre i cristiani sigillano le proprie, dell’ortodosso che preferisce l’Impero ottomano al cattolico, dell’ebreo che vaga nel Mediterraneo e si stabilisce nei porti per commerciare. È una storia di emigrazione e anche di grande miseria e sofferenza, ma sembra un retaggio del passato. È anche una storia di colonialismi e imperialismi che si presentano sotto forme diverse e senza che la coscienza occidentale possa in qualche modo dirsi realmente provata. Slanci umanitari, aiuti economici in loco sempre più caldeggiati per fermare i flussi migratori africani, ma in realtà nessun segno concreto di cambiamento. E nessun mea culpa o lavaggio di coscienza che possa tenere.

Negli anni Novanta tonnellate di carne radioattiva proveniente dall’ex Unione Sovietica sono state sversate in Zambia e consumate dalle popolazioni locali, mentre all’inizio del nuovo millennio sono state inviate dalla Cecoslovacchia e seppellite sotto una colata di cemento. La gente ha continuato a scavare mossa dalla fame ed ha riesumato barattoli per sfamarsi. Ma la chiamiamo civiltà. Nel 2005 uno tsunami ha riportato alla luce carichi di immondizia tossica che le moderne navi pirate hanno abbandonato in mare, qualche anno dopo Greenpeace ha scoperto, grazie a un sistema di monitoraggio legato a un ricevitore Gps, che le multinazionali americane e asiatiche smaltiscono rifiuti tecnologici in Nigeria e in Ghana dove il riciclaggio ha persino il nome di solidarietà: regalare un televisore o altri oggetti alle popolazioni sottosviluppate. Materiali rotti e inutilizzabili, in realtà, che sono riciclati dai bambini attraverso operazioni pericolose che prevedono roghi per separare la plastica dagli altri elementi come l’alluminio e il rame. Discariche a cielo aperto dove sono depositate annualmente tonnellate di rifiuti tecnologici ma anche scorie di uranio radioattivo, cadmio, mercurio, acido nitrico, rifiuti chimici e industriali altamente tossici. Nell’indifferenza generale dei media tradizionali, si sono verificati episodi di intossicazione e spesso mortalità che hanno interessato le popolazioni locali: persone decedute per aver bevuto acqua da bidoni tossici, rifiuti nucleari bruciati, esplosioni e interramenti sospetti, aumento dei casi di tumore. E la pattumiera del mondo diventa il luogo metaforico dove si sono sedimentate le follie occidentali, mascherate da becero umanitarismo nel corso dei secoli.

Correnti di rifiuti che vanno, correnti di uomini trattati come rifiuti che vengono, le grandi e inaspettate vicende del Mediterraneo che preoccupano l’Occidente civile e civilizzatore, rovesciando per un solo attimo le prospettive. Traffico di uomini costretti a spostarsi dalle sponde africane per fuggire alle guerre che rientrano spesso nelle logiche dei sistemi occidentali e di cui l’Africa subisce le conseguenze; traffico di donne, costrette a prostituirsi sui litorali e lungo le strade della penisola; traffico di organi, spesso di bambini trovati seppelliti. Neocolonialismo? Effetti della globalizzazione? Uomini come merce, anzi come rifiuti? Ma noi continuiamo a chiamarla civiltà.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares