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Tra musica e sesso: l’ultimo romanzo di Cappelli

Canzoni della giovinezza perduta” è l’ultimo romanzo di Gaetano Cappelli: una raccolta di 10 racconti nei quali si intravede un microcosmo sociale riflesso di provincia, della nostra provincia. I personaggi, tutti disegnati con estrema precisione, si raccontano e riflettono sulle proprie cose, ordinarie e straordinarie, avvicinandosi a un sentire comune: l’universo mondo maschile. Sono storie che appaiono prima separate e che poi si uniscono in parentele o amicizie componendo una trama dalle mille sfaccettature. Insomma Cappelli riesce a vedere le cose e le persone da tante prospettive controllando attentamente i punti di fuga.

“Bisogna avere una provincia da raccontare” diceva Scott Fitzgerald e ovviamente è necessario saperlo fare eppure sono tantissime le persone che si tuffano nella scrittura. Cosa bisogna avere o sapere per diventare scrittore?

Prima di tutto il talento. E, purtroppo, è una dote naturale. Come la bellezza o l’intelligenza che non coincide necessariamente col talento. Anzi, a volte, gli è d’impedimento. Balzac diceva che per essere buoni narratori bisogna essere un po’ bete – bestia! Poi ci vogliono tenacia disciplina passione. Altrimenti rimani un talento irrealizzato. Infine bisogna sperare che il talento, proprio come per esempio la bellezza, non ti abbandoni. Ci sono tanti scrittori che dopo qualche opera entusiasmante producono solo robaccia.

Qual è stata l’ispirazione, il riferimento, che ti ha portato a scrivere il tuo primo romanzo.

Mah, la consapevolezza che c’era il bisogno di tornare a raccontare storie. Gli anni 70 che sono stati disastrosi in tutto, lo sono stati anche per la letteratura. Io, come un buon numero di scrittori allora giovincelli, sentivo la necessità di liberarmi di quell’universo appiattito sugli slogan. Di tornare a scrivere e leggere romanzi. La musica, ecco quella è stata molto importante. All’epoca – verso la metà degli anni 80, erano di gran moda i videoclip. Piccoli romanzi addensati. Io sono partito un po’ da quelli e dal grande Raymond Chandler e ho scritto una spy-story che era anche un romanzo generazionale. Si chiamava “Floppy disk” – cazzititol!

Eppure negli anni ’70 nascono le radio libere attraverso le quali si inizia a diffondere maggiormente la musica e il movimento del 1977 è senz’altro il motore ispiratore di tutto ciò che di creativo si svilupperà poi negli anni successivi.

Mannò, mannò. Ma gli anni 70 sono stati la negazione stessa della creatività in ogni campo. Ti viene in mente un romanzo che non sia “Porci con le ali”? La musica migliore è solo sopravvissuta al fanatismo di quegli anni, quando si interrompevano i concerti di musicisti come Chet Baker o Lou Reed perché si drogavano – figurati - o di John McLaughlin perché era buddista. Roba da talebani. Il 77 è stato importante ma non certo per il movimento degli studenti. In quell’anno è uscito infatti “La febbre del sabato sera”. E molti di quelli che pensavano fosse molto alla moda fare la guerriglia si sono ritrovati invece in discoteca. Almeno si sono divertiti senza ammazzare nessuno, no?

Forse pochi sanno che in gioventù hai scritto su “Re Nudo” e che hai pubblicato anche un saggio, oramai introvabile, “Minimal trance music ed elettronica incolta”. Cosa resta oggi di quella passione?

Be’, vedi l’ho appena detto. Resta la musica! Sono un melomane cronico. Non posso fare a meno di una vibrazione di sottofondo. Anche quando scrivo. Molte mie cose vengono spinte, sollecitate da questa “vibrazione”. E’ come un’onda che manda al largo una barchina.

“Canzoni della giovinezza perduta”, il tuo ultimo libro, si compone di 10 racconti scritti tra il 1991 e il 2000: cosa li tiene insieme? Qual è il filo conduttore?

Be’ la musica della giovinezza perduta effettivamente. Eppoi il racconto di quella particolare stagione della nostra vita che coincide con il nostro ingresso nel mondo del lavoro, le storie sentimentali che in quella situazione possono nascere. Le avventure sessuali anche. C’è molto sesso. A quell’età è tutto un palleggiar di ormoni!

Guido, lo scrittore che nel racconto “Toccati” sogna di scrivere “Il grande Gatsby”, a me è sembrato abbastanza autobiografico.

Massì, un po’ sì. Ma in tutti i personaggi c’è una parte di me… ma spero anche di te, dei lettori delle lettrici. Sennò non funzionerebbe l’immedesimazione.

I personaggi dei tuoi libri oltre che essere ispezionati “dal di dentro” sono visti anche da tante prospettive diverse, come se le storie fossero un caleidoscopio attraverso il quale si riesce a guardare, in modo complesso, la nudità o l’essenza stessa dei personaggi.

Bella annotazione! E’ quello che ho cercato di fare facendo girovagare i personaggi da un racconto all’altro, e certo nello stesso racconto. Farli apparire non solo in veste di protagonisti che si raccontano. Ma anche di personaggi che vengono raccontati.

Non hai mai pensato che un personaggio, ben riuscito e ben descritto, di qualche tuo racconto sarebbe potuto diventare il soggetto di una serie.

E’ stato un pensiero fugace. Dopo aver pubblicato “Febbre”, con gli stessi personaggi ho poi scritto “I due fratelli”, sempre un noir ma per ragazzi. Diomio, un noir per ragazzi! Poi fortunatamente ho lasciato perdere e ho iniziato a raccontare la commedia umana della nostra amata città! E regione, naturalmente!

Prima di farti questa intervista e dopo aver letto “Canzoni della giovinezza perduta” ho cercato di capire, tra gli amici, chi l’avesse letto e cosa ne pensasse e mi ha colpito il commento di una vecchia amica che mi ha mandato questa frase via e-mail: “Cappelli conosce alla perfezione l’universo maschile”.

Be’, vorrei tanto anche quello femminile, ma vista l’età si tratta ormai di un’aspirazione irrealizzabile ahahaa

Cosa significa “essere leggeri” nella scrittura?

Ho il sospetto di non esserlo poi tanto, leggero. O meglio i mie temi sono leggeri, da commedia o tragicommedia almeno. Ma il mio stile può essere anche molto complicato.

Puoi anticiparci l’idea a cui stai lavorando oggi?

E’ la storia di uno che viene messo al mondo perché diventi l’erede del grande pianista Arturo Benedetti Michelangeli – il grande maestro appare più volte in sogno alla madre del suddetto uno – e che invece farà lo scrittore. Sarà anche candidato al Nobel, suggerito alla giuria da una critica che ha degli strani gusti sessuali… anche questa volta come in “Parenti lontani” la storia parte da un piccolo paese della Basilicata. Poi si sposta in un grande albergo di Ravello, dove il protagonista almeno sfrutta i suoi studi musicali come pianista di piano bar e dove farà due incontri fatali. Il resto per bel numero di pagine che potrete leggere non prima di un anno. 

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