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Tortura: manca una legge da 27 anni

Poco più di un anno fa, le speranze che entro il 26 giugno – Giornata internazionale per le vittime della tortura – il parlamento italiano potesse approvare l’introduzione del reato di tortura nel codice penale erano elevate. E invece negli ultimi 12 mesi non se n’è più parlato.

Sono passati oltre 27 anni da quando, all’inizio del 1989, la Gazzetta ufficiale pubblicò la legge di ratifica della Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite. Ed è passato un quarto di secolo da quando il Parlamento ha cominciato a discutere della definizione del reato di tortura. Un tempo trascorso invano, nel corso del quale l’Italia è stata tanto rimproverata dagli organi di controllo dell’Onu quanto, soprattutto, condannata sia per atti di tortura che per la mancata sanzione degli stessi da parte della Corte europea dei diritti umani.

Come in precedenza, nell’attuale legislatura i due rami del parlamento hanno dato luogo a una sorta di “ping-pong” istituzionale, anziché trovare l’accordo su un testo condiviso. E, in continuità col passato, hanno perpetuato l’equivoco che l’introduzione di un reato specifico di tortura possa andare contro gli interessi delle forze di polizia (e non essere, invece, anche nel loro interesse).

Non è mancata neanche quella inaccettabile tendenza a proporre e a volte approvare emendamenti (come quello per cui si può parlare di tortura solo in caso di “reiterazione”, ossia se compiuta più di una volta) in profondo contrasto con gli obblighi previsti dalla Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite.

Nel frattempo, processi per fatti di tortura si sono conclusi senza che i responsabili venissero puniti: per limitarci ai più remoti nel tempo, i paracadutisti della Folgore riconosciuti colpevoli di avere praticato la tortura in Somalia nel 1993; gli autori delle brutalità commesse a Genova nel 2001; gli agenti di polizia penitenziaria che praticarono la tortura nel carcere di Asti nel 2004. Più tutti i casi dell’ultimo decennio, il cui elenco è tragicamente lungo.

Fin dove arriva la lacuna dell’assenza del reato di tortura lo dimostra la mancata estradizione in Argentina di un cappellano militare, attualmente in Italia, accusato di avere preso parte a sessioni di tortura in quel paese.

L’introduzione di un reato di tortura, descritto in modo coerente con la Convenzione delle Nazioni Unite e sanzionato con pene adeguate alla gravità del reato e che preveda un termine di prescrizione ampio perché la tortura possa essere, oltre che accertata, anche punita, resta l’obiettivo primario delle organizzazioni per i diritti umani.

Ci sarebbe persino il tempo per raggiungerlo, quell’obiettivo, in questa Legislatura. Sempre che lo si voglia, naturalmente. L’impunità garantita ai responsabili di atti di tortura, che continua a caratterizzare il nostro ordinamento giuridico, è una situazione inaccettabile per un paese che dice che avere a cuore i diritti umani.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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