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Torna l’NBA. Lo speciale di Agoravox (2)

Ieri notte con la già imperdibile (quando gioca la NBA le giornate dovrebbero durare almeno 65 ore) Boston Celtics – Cleveland Cavaliers, parte la stagione NBA e noi siamo già pronti per seguirla con attenzione e passione. Per i lettori di Agoravox, ecco uno speciale in 3 parti nel quale andiamo ad indagare i roster delle diverse squadre, cercando di capire dove si anniderà lo spettacolo e quali atleti e squadre seguire con maggiore interesse.

- Atlanta Hawks: Ad Atlanta è successo quello che mai era accaduto. Nella storia i cestisti americani hanno comprato il biglietto per il volo transoceanico o quando erano troppo giovani e desiderosi di guadagnarsi un po’ più di pagnotta dell’ABA e leghe varie oppure quando erano agli sgoccioli, facendo spesso cadere stille di grande basket al di qua. Josh Childress, uomo semi-franchigia degli Hawks 2007 (onore e onere da dividere almeno con Mike Bibby) se n’è andato all’Olimpiakos per 20 milioni di euro per tre anni. Senza Childress alla squadra non manca solo il capello ’70, ma anche penetrazione e dinamicità. Sono arrivati due grandi delusioni degli scorsi anni come Randolph Morris e Thomas Gardner e se la squadra girerà compatta come lo scorso anno, ad Est può anche rientrare (magari subito perdente) ai playoff.

 

- Miami Heat: Pat Riley s’è nascosto dietro la scrivania lasciando il timone al delfino Erik Spoelstra. L’avrà fatto forse perché questa squadra può essere di nuovo la peggiore della Lega come l’anno scorso. Al giocatore in più della squadra americana ad Olimpia, Dwyane Wade, è stato aggiunto pochino, nella speranza che Shawn Marion torni quello del 2006 e Markus Banks ragioni quando decide di fare qualsiasi cosa. Per me Wade tra due anni fa le valigie.

 

- Charlotte Bobcats: Squadra di prospettiva con ottimi gregari come Okafor e Jason Richardson. Questi due li vorrebbero tutti i top team attuali (il bello della NBA è che le squadra hanno cicli e tutti hanno anni di gloria – vedi campionato italiano di calcio), per cui i Bobcats possono entrare anche in un lotto playoff. Basta che il centrone di origini ghanesi Nazr Mohammed inizi a menare di brutto sotto canestro e la squadra ha anche una difesa all’altezza.

 

- Orlando Magic: Io, uno come Arroyo non lo manderei mai a far vedere i sorci verdi al Maccabi Tel Aviv. Però non tutti hanno il gusto della scaltrezza. Ad Orlando più che di scaltrezza si gioca di ramazza, ma una ramazza di gran classe. Ala piccola addirittura Turkoglu, che abbina perfettamente le due cose, ala grande Rashard Lewis e centro l’apollo d’ebano Dwight Howard. Per battere i Pistons ai playoff quest’anno serve grande concentrazione (capito Nelson… è il play che ogni tanto si addormenta e la partita se la frega Billups).

 

- Washington Wizards: Ma voi li avreste dati 111 milioni di dollari in 6 anni ad un giocatore che forse quest’anno non calcherà nemmeno il parquet per colpa di un ginocchio sfilacciato? I dirigenti Wizards lo hanno fatto con Gilbert Arenas, forse perché perdere la stella avrebbe ridimensionato l’intera baracca, ma portarsi dietro un punto interrogativo di questo peso economico è un bell’azzardo. Solita squadra leggera che però ha in Antwan Jamison e Caron Butler due carogne difficili da spolpare.

 

- Minnesota Timberwolves: L’anno zero del dopo Garnett scappato ai celtici è passato. Adesso la vetta della montagna è più d’appresso (I Wolves scatenano dantesche reminiscenze, lo fanno sempre) e con il talento di tabella di Al Jefferson e il gioco vintage di Kevin Love tutto è possibile. Ottimi gli arrivi dei gladiatori Mike Miller e Rodney Carney.

 

- Denver Nuggets: Perché? Perché far scricchiolare una squadra che nei prossimi due anni poteva trovare la quadratura del cerchio e iniziare a tirare giù “carocchie” (alias bastonate) a tutti anche ad Ovest. Perché mandare in trade Marcus Camby che era un portaborracce di qualità e difendeva le pecche dei tre gioielli (Allen Iverson, Carmelo Anthony e Kenyon Martin)? Perché disfarsi così senza un perché (e allora che me lo chiedo a fare?) di un Eduardo Najera che nel momento del bisogno sia difensivo che offensivo rispondeva sempre: “Si padron!”? Perché creare l’ipotesi che come centro deve giocare Nenè? Perché? Lo smottamento del monte ingaggi per tentare di costruire un big three non regge.

 

- Oklahoma City Thunders: Il 2 luglio 2008 è stato raggiunto un accordo tra le autorità della città di Seattle e Clay Bennett, proprietario della franchigia che fino alla stagione 2007-08 ha militato nell’NBA con il nome di Seattle SuperSonics, per spostare la squadra nella immaginifica (nel senso che ti immagini chissà cosa a sentirla nominare) Oklahoma City. Quindi niente leggendari Sonics per quest’anno (Shawn Kemp a Montegranaro. Ma dai che veniva a pascolare le capre) e questa squadretta che lotterà per evitare il collasso. Dei vecchi Sonics sono partiti soprattutto Ridnour e Griffin (anche lui a Milwakee, davvero bella squadra) e sono rimasti Jeff Green e il rookie dell’anno Kevin Durant. Durant è un grande prospetto, ma in questa squadra si annoia.

 

- Portland Trail Blazers: Questa è la squadra per cui tiferò (lo so che le fisime dei cronisti non piacciono, ma fanno colore e dolore). Tutti giovani, belli e forti. Speriamo non muoiano. Alla geniale semplicità di Brandon Roy e alle funambolica fisicità di La Marcus Aldrige è stato aggiunta la cattiveria fantasiosa di Rudy Fernandez e il più pronosticabile rookie dell’anno: Greg Oden. La palla schizzerà veloce a Portland e scommetto che molti campioni qui suderanno freddo.

 

- Utah Jazz: Altra squadra zuccherosa e deliziosa da guardare. Soprattutto quel talento morbido di Deron Williams in regia a dettare i ritmi e passare palloni inventati nelle mani degli attaccanti. Kirilenko pronto a metterci l’anima e Boozer ad essere aiutato dalla potenza del giovane Kosta Koufos, scelto nel draft. A questo aggiungi anche la spensieratezza di un Mehmet Okur ogni anno più convinto e la sicurezza di giocata di Ronnie Brewer e la finale di Conference per me potrebbe attenderli.  

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