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Torino: consiglieri leghisti rimuovono il tappeto di preghiera per gli ospiti musulmani

Un luogo di preghiera all’interno di un edificio istituzionale? Giammai! Significherebbe promuovere la religiosità, e dunque andare contro quel principio di laicità dello Stato che la Corte Costituzionale ebbe a definire “supremo” nella sentenza 203/1989. Peggio ancora se il luogo di preghiera di cui si parla è esclusivo, com’è effettivamente quello realizzato dal Comune di Torino all’interno del Palazzo Civico e destinato ai partecipanti a un convegno sull’economia islamica, che quindi sono musulmani. Così due consiglieri leghisti, Fabrizio Ricca e Roberto Carbonero, hanno manifestato vigorosamente il loro dissenso, da veri laici quali sono.

Un po’ troppo vigorosamente, a dirla tutta. Già, perché alla fine hanno pensato, decisamente male, di andare in questa sorta di oratorio (nel senso stretto del termine) improvvisato e asportare il tappeto che sarebbe dovuto essere utilizzato per pregare. Inutile dire che ci sono modi ben più appropriati per manifestare la propria contrarietà che cercare di farsi in qualche modo giustizia, o quello che si percepisce come giustizia, da soli.

Al di là del discutibile gesto, c’è il condivisibile principio. «Riteniamo che il Comune di Torino, essendo un luogo laico e istituzionale, non debba avere al suo interno luoghi di preghiera a prescindere dal tipo di religione», hanno dichiarato i due alla stampa. E non si può certo dar loro tutti i torti, perché probabilmente quello di concedere spazi all’interno del Comune non era l’unico modo, e nemmeno il più idoneo, per venire incontro alle esigenze di culto dei visitatori. Se il problema è quello del rispetto degli orari di preghiera, si potrà pur fare in modo di liberare i partecipanti così che possano recarsi altrove per pregare. A maggior ragione se l’evento è monoconfessionale, data la maggiore gestibilità della cosa.

Ricca e Carbonero hanno poi aggiunto: «In occasioni di meeting dove i partecipanti erano di religione cristiana nessuno si è mai preoccupato di allestire una cappella». E qui già il senso laico dei due consiglieri sembra essere piuttosto relativo, diciamo pure “a culti alterni”. Ma come, cari consiglieri, non siete a conoscenza del fatto che esistono diversi altri “luoghi laici e istituzionali”, giusto per usare la vostra stessa definizione, dove le cappelle cattoliche sono perfino obbligatorie per legge? Mi riferisco a ospedali, a carceri, a caserme, tutti luoghi pubblici dove più che dalle cappelle il problema è rappresentato dai cappellani, visto che percepiscono uno stipendio che grava sullo Stato, e quindi su tutti noi. Senza contare il fatto che un cattolico che sente la necessità di andare a pregare non deve certo fare molta strada per trovare un posto dove farlo, a differenza dei praticanti altre confessioni.

Ecco, forse sarebbe il caso di protestare anche per tutte queste altre concessioni clericali, giusto per far capire che si sta facendo sul serio, che si è laici a 360°. Certo, riconosco che non è facile assumere certe posizioni quando si milita in un partito che si è finora distinto per una interpretazione “originale” del concetto di laicità, diciamo così. Significherebbe dissociarsi di continuo, a ogni strenua difesa del presepe scolastico; a ogni tentativo di imposizione del crocifisso cattolico in luoghi istituzionali; a ogni tentativo di censura di chi vuole dichiarare pubblicamente la propria irreligiosità e a chi vuole costruire luoghi di culto islamici; a ogni dichiarazione di orgoglio cattolico o pretesa di riconoscimento istituzionale delle radici cristiane. Ma del resto, se si tiene veramente ai propri principi bisogna saperli difendere in ogni contesto, per quanto difficile ciò possa essere. Diversamente quei gradi di cui sopra non sarebbero più 360 ma parecchi di meno.

La prima vera occasione per Ricca e Carbonero di ribadire il loro impegno a sostegno della laicità, ancora una volta in quel di Torino, viene loro offerta dai consiglieri Silvio Viale (Pd), Piera Levi Montalcini (gruppo misto) e Vittorio Bertola (M5s). I tre, ispirati dall’iniziativa dei consiglieri leghisti, hanno infatti deciso di approntare una delibera volta alla rimozione del crocifisso in Sala Rossa. Tale delibera verrà discussa in commissione nel prossimo autunno, c’è tutto il tempo perché i due possano accogliere l’invito di Viale a sottoscriverla.

Il simbolo religioso contro l’angolo per la preghiera, qualcosa di cattolico (non genericamente cristiano) contro qualcosa di musulmano ma, soprattutto, un’installazione fissa contro una temporanea. Perché, come afferma lo stesso Viale, «il punto non è il crocifisso in sé ma la sua presenza nella sala del consiglio comunale», che essendo esposto a tempo pieno e indeterminato diventa un marchio caratteristico dell’istituzione secolare, un’ostentazione di cattolicità che significa, per Viale come per me, «mancare di rispetto agli atei, agli agnostici, ai razionalisti e ai fedeli di tutte le altre confessioni religiose cristiane e non cristiane». Altro che semplice concessione di un angolino per un paio di giorni. E altro che rimozione plateale, con tanto di telefonino a riprendere il tutto per poi mostrarlo orgogliosamente.

Massimo Maiurana

Questo articolo è stato pubblicato qui

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