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The forest, quando si uniscono (male) tradizioni americane e giapponesi

L’idea (non nuova) di The forest è di unire la tradizione horror americana con quella giapponese. Il risultato che ottiene però Jason Zada è, come in quasi tutti i casi precedenti, scadente.

Sara ha una gemella, Jess, che si è trasferita a Tokio per insegnare in una scuola. Durante una gita sul monte Fuji Jess però si è persa in una foresta. Solo che non si tratta di una foresta normale, ma di una foresta in cui la gente è solta andare a suicidarsi.

Sara parte per cercarla e sul posto viene avvertita dagli abitanti che la foresta è piena di spiriti che si nutrono delle tue paure e della tua tristezza per spingerti al suicidio. Lei si inoltra con una guida ed un ragazzo che sta studiando la foresta e la sua storia. Inevitabilmente si perderanno.

L’idea di partenza è buona e meritava miglior sorte. Invece The forest finisce per essere un film che prepara a qualcosa che non accade, o accade solo nel finale. C’era spazio per molto altro.

 

Le parti migliori sono quelle che richiamano la tradizione giapponese. La scolaretta nel bosco è l’unico personaggio che funziona davvero.

Si gioca sul vero e sul falso, sugli inganni della mente, ma lo si fa in maniera superficiale e scontata. Abbiamo un solo personaggio ambiguo. Una foresta che potrebbe riservare molte più sorprese ed un paio di spiriti che compaiono giusto per onor di firma, ma slegati dalla vera trama del film.

Il finale è invece buono, anche per costruzione. Ma sarebbe davvero dovuto arrivare molto prima per dare uno sviluppo più teso alla vicenda.

Natalie Dormer è sia Sara che Jess e fa quel che deve…

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