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The bad plus, "Blunt Object. Live in Tokyo"

The Bad Plus, "Blunt Object. Live in Tokyo", Columbia, 2005.

Registrato e mixato alla perfezione, durante una serie di concerti al Blue Note di Tokyo nel maggio del 2004, ad eccezione dell’ultima traccia, sempre dal vivo, ma a New York, il CD mostra sia il bell’affiatamento tra i musicisti che la professionalità dei singoli. La musica potrebbe essere definita come un jazz d’avanguardia con influenze pop e rock.

La scaletta è suddivisa equamente tra brani originali e non. Ci cattura soprattutto il brano iniziale, ormai diffusissimo, ogni qualvolta una squadra di calcio riesce ad aggiudicarsi un trofeo, sempre però nella versione originale dei Queen. Il trio le conferisce, piacevolmente, una connotazione più romantica, a tratti triste, con un inizio lentissimo e classicheggiante di solo pianoforte, che da un possibile riferimento a Beethoven vira verso un morbido blues.
 
Già l’essere riusciti a recuperare un brano entrato nel circuito commerciale è un merito indiscutibile, innegabile, del trio. I brani originali, anche in questo caso, vedono un’equa spartizione - due a testa - tra la scrittura del bassista e quella del pianista. Del primo citiamo Silence is the question, che inizia con un intenso, melodico assolo di contrabbasso, al quale in seguito si accostano timidamente il piano prima e la batteria poi.
 
E’ da ascoltare, perché si evolve in una maniera inaspettata, rispetto alle premesse iniziali. Del pianista, ci colpisce Guilty, che ha dapprima un andamento cameristico, per poi acquistarne uno bluesy, adatto ad un thriller, impreziosito da un bel assolo di contrabbasso e da uno scarno quanto efficace accompagnamento sulle pelli dei tamburi, togliendo la cordiera del rullante.
 
Il disco si conclude con un breve frammento - due minuti e mezzo - di My funny Valentine, in cui un membro non identificato del trio, si esibisce in un vocalismo spiazzante, quasi a voler gettare un colpo di spugna su quanti hanno interpretato, in maniera più o meno accorata, il celebre standard di Richard Rodgers e Lorenz Hart.
 
Due parole sulla copertina, che fotografa, in completa solitudine in primo piano, accanto alla porta d’uscita, seduto all’interno di uno dei numerosissimi treni del trasporto locale di Tokyo, un impiegato giapponese, vestito con colori scuri in giacca e cravatta, valigetta nera al suo fianco, stanco e appisolato alla fine di una lunga giornata lavorativa.
 
Complimenti all’autore e alla scelta del soggetto, che riesce a spiegare, più di un saggio scritto, parte della realtà giapponese.

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