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Tavoli sparecchiati alle rotatorie, la protesta dei ristoratori all’Aquila: "Alcuni di noi non riapriranno"

Tavoli sparecchiati con sedie tirate su, al centro delle rotatorie cittadine. Una protesta silenziosa quanto simbolica quella andata in scena all'Aquila su iniziativa dei ristoratori della neonata associazione RistoratoriAq Vs Virus.

Un'iniziativa spontanea per tenere accesa la luce sul futuro delle attività “sempre più incerto e dalle tinte drammatiche” scrivono gli imprenditori che fanno i conti, oltre allo stop dovuto al Coronavirus, anche con undici anni di profonda crisi douta anche alle ripercussioni del terremoto del 6 aprile 2009. 

“È giunto il momento di iniziative sempre più importanti volte a far aprire gli occhi alla nostra assonnata classe dirigente”, l’affondo. "Abbiamo deciso di inscenare una protesta di grande impatto". Ben visibili a tutti anche i cartelli con la scritta #gameover. "È un segno di chiara resa. Dopo aver consegnato le chiavi al sindaco, idealmente comunicheremo ai nostri clienti che è finita: il comparto probabilmente non riaprirà. Fine delle emozioni, fine delle conviviali, fine delle serate, semplicemente #gameover”.

Le rotatorie sono staste soccupate dagli imprenditori, con la solidarietà di amici, collaboratori, fornitori e imprenditori: "La sofferenza è la sofferenza di tutti”.

"Dal 18 maggio, non servono solo nuove regole per il contrasto, ma nuove regole verso la vita", ha detto il sindaco dell'Aquila, Pierluigi Biondi, a margine di una manifestazione definita "sacrosanta".

Per il primo cittadino "l’etica della responsabilità deve superare la paura di cui rischiamo di diventare schiavi, alimentando i prodromi di una emergenza economica che già oggi ha confini mondiali e pochi eguali nella storia. E non farà distinzioni, neanche questa. Dovremo essere bravi a salvare noi stessi con quello che negli ultimi due mesi abbiamo imparato. Igiene, rispetto della distanza sociale. Non possiamo consentire che il virus, dopo aver ucciso le persone, uccida l’economia, la cultura, le città, le comunità. Non può consentirlo lo Stato, non possiamo consentirlo noi". 

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