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Taliban, iniziative anti Covid e anti Ghani

L’Ak-47 d’assalto e la mascherina di protezione primaria, i combattenti taliban si sono presentati così in alcuni villaggi delle province afghane.

Divulgano l’abc per difendersi dal contagio della Sars-Cov2: usare una maschera o un succedaneo per la protezione di bocca e naso, se è possibile guanti, lavarsi spesso e bene le mani. Informano le persone a non raccogliersi in gruppo, evitare festeggiamenti, rimandare matrimoni, addirittura pregare in casa e non in moschea. Una linea integerrima. I dati ufficiali del contagio sono bassissimi (400 o poco più) anche perché i controlli risultano inesistenti, ma il timore dell’epidemia è presente a ciascuna componente, governativa e anti. Forse più per giustificare il proprio immobilismo che per amichevole benevolenza, il ministero della Salute di Kabul ha applaudito l’iniziativa talebana, un passo di pubblico servizio molto più utile di tanti discorsi di pacificazione nazionale rimasti in bilico per ripicche e personalismi politici. L’azione taliban sul tema dei pericoli del contagio sarà anche funzionale alla propria propaganda di soggetto politico che cerca consensi e punta a ricoprire incarichi istituzionali, ma più del rissoso esecutivo sta offrendo indicazioni su igiene, comportamenti, nutrizione mentre in varie province i governatori latitano. Comunque il ministero della Salute fa sapere che in alcune aree sono attive unità sanitarie intente a collaborare con gruppi di Ong per la prevenzione sul territorio. Dovrebbero, ma il condizionale è d’obbligo, giungere agli operatori anche quei presidi medici per tutelarne il lavoro, però la scarsità del materiale è palese. In più s’è già verificato l’ostracismo talebano verso organizzazioni internazionali, ad esempio la Croce Rossa, cui viene vietato l’ingresso in aree controllate dalle milizie fondamentaliste per pregressi contrasti e accuse di collaborazione con le forze d’occupazione Nato. Il settarismo è stato stigmatizzato dalle strutture di soccorso e dagli stessi governativi che sottolineano come almeno durante la crisi sanitaria ci dovrebbe essere, se non cooperazione, perlomeno l’assenza di reciproci ostacoli, perché ne risente la salute pubblica. Sotto osservazione la zona di Herat, sul confine occidentale, per l’ingresso di profughi dai campi iraniani o lavoratori frontalieri da cui sono scaturiti i primi contagi. E se l’epidemia rappresenta un impegno, o un pronunciamento d’impegno, dei due fronti contrapposti, talebano e governativo, sulla questione del piano di pace la situazione si fa critica. I talebani minacciano di far saltare l’accordo e di riprendere a far saltare i camion-bomba se il presidente Ghani non attua la liberazione dei 5000 prigionieri che da circa un mese sarebbero dovuti uscire dalle galere. Ghani continua a opporsi, ma il filo può spezzarsi e aggiungere al Coronavirus un nuovo fronte di fuoco.

Enrico Campofreda

 

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