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Sul regionalismo differenziato: spunti di riflessione sul pensiero politico federalista

Il regionalismo differenziato non ha nulla a che vedere con il pensiero politico federalista che caratterizza la Storia politica italiana a partire dal XVI secolo con il lucchese Burlamacchi che auspicava una federazione tra le repubbliche italiane dell'epoca, sul modello della allora nascente Confederazione Svizzera, da contrapporre alla Spagna che in quegli anni stava privando gli Stati italiani dell’ indipendenza.

 Genovesi e Galeani Napione nel XVIII secolo auspicavano una federazione delle monarchie italiane dell'epoca come strumento per garantire l'indipendenza dell'Italia rispetto alle potenze europee. Il dibattito sul federalismo interesserà l’elaborazione del pensiero politico risorgimentale e post risorgimentale. Durante il Risorgimento i patrioti italiani monarchici si divideranno tra Neoguelfi e Neoghibellini auspicando una federazione di Stati presieduta dal Papa o, prima dai Borboni e dopo il tradimento dei moti del 20, dai Savoia.

I patrioti come Cattaneo e Ferrari auspicavano invece una Repubblica federale sul modello dello Stato svizzero, il secondo addirittura venato di Socialismo. Lo Stato unitario che nacque il 17 marzo del 1861 fu invece uno Stato unitario e centralista sul modello francese. Il federalismo continuò in ogni modo ad animare il dibattito politico. Il Partito Socialista nato a Genova nel 1892 aveva al suo interno una corrente federalista. Esponenti di tale corrente: Gaetano Salvemini e il potentino Ettore Ciccotti.

L'idea federalista era presente nello stesso PPI ad opera del suo fondatore don Luigi Sturzo, il quale prendeva a riferimento la tradizione medievale rappresentata dai Comuni. Il federalismo del Risorgimento veniva teorizzato come strumento per raggiungere l'indipendenza dell'Italia dallo straniero. In questo caso l’idea federalista è patriottica e mira all’indipendenza dell’Italia. Dopo la nascita dello Stato unitario, Salvemini, Sturzo ed altri, teorizzano il federalismo come strumento finalizzato alla rimozione delle diseguaglianze sociali e territoriali che la nascita dello Stato unitario centralista non solo non aveva superato ma, in alcuni casi, aggravato.

L’assetto di uno Stato Repubblicano e federale interessò il dibattito nell’Assemblea Costituente. Da leggere per comprendere l’articolazione del confronto politico sono i due volumi curati dal prof. Roberto Ruffilli dal titolo “Cultura politica e partiti nell’età della Costituente”, per avere un quadro più generale sull’evoluzione del pensiero federalista è da leggere il saggio di Ettore Rotelli dal titolo “L’eclissi del federalismo. Da Cattaneo al Partito d’Azione”. Opere pubblicate tutte da il Mulino.

L’idea federalista con il Manifesto di Ventotene si intreccia con l’idea degli Stati Uniti d’Europa. La scelta che fece la Costituente fu quella regionalista prevista dall’art.117 della Costituzione. Le iniziali cinque Regioni a Statuto autonomo non hanno nulla a che vedere con l’idea di Stato Federalista. Hanno invece molto a che vedere con i Trattati di Pace sottoscritti all’indomani della sconfitta subita durante la Seconda Guerra Mondiale. Il fine che si intendeva raggiungere con l’istituzione delle Regioni a Statuto speciale era quello di salvaguardare l’integrità territoriale riconoscendo le specificità dei territori confinanti con Francia, Austria, Jugoslavia e per evitare la secessione della Sicilia e della Sardegna.

L’idea Federalista che si afferma a partire dagli anni 80 del secolo scorso, con la nascita delle leghe Lombarda e Veneta, che daranno origine alla Lega Nord, ha poco a che vedere con il federalismo teorizzato dal pensiero politico italiano come dicevo a partire dal XVI secolo in poi. Per capire questa mia affermazione bisogna riflettere sul pensiero politico di Gianfranco Miglio. Il teorico del federalismo della Lega Nord si ispira al filosofo della politica Allen Buchanan il quale nella sua maggiore opera, non a caso pubblicata in Italia con tanto di prefazione di Gianfranco Miglio, dal titolo “ Secessione.”, teorizzava la legittimità da parte di un Paese di dividersi.

A differenza del federalismo risorgimentale e post unitario Miglio teorizza il federalismo in funzione della legittima secessione di una parte dell’Italia nello specifico della Padania dall’Italia Il federalismo e la secessione teorizzata da Miglio sono rivolta fiscale contro lo Stato unitario rappresentato dallo slogan “Roma ladrona la Lega non perdona”. La secessione della Padania non rientra nemmeno nel revival etnico analizzato dal politologo A. Smith riferendosi in particolare, alla Jugoslavia e alla Repubblica Cecoslovacca. Diversamente da questi due Paesi, dove le differenze etniche e culturali tra le varie comunità erano fin troppo marcate, come ha scritto Dario Fabbri su Limes, l’italiano è un popolo fortemente omogeneo e quindi non ha le differenze etniche sostenute dalla Lega Nord con il chiamo al dio Po e alla razza padana. Le istanze federaliste teorizzate da Miglio hanno come unico fondamento gli interessi del sistema produttivo padano.

Una parte rilevante della società padana guidata dai suoi ceti egemoni ha ritenuto, a un certo punto, che le sfide poste dalla costruzione dell’Unione Europea, delineata dal Trattato di Maastricht il quale prevedeva il potenziamento del ruolo delle istituzioni regionali introducendo il Comitato delle Regioni che sarebbe dovuto diventare una sorta di terza Camera legislativa da affiancare al Parlamento e al Consiglio e dal Libro Bianco di Delors, potessero essere affrontate meglio separandosi dal resto dell’Italia.

Il regionalismo differenziato con l’applicazione dell’art. 116 della Costituzione 3° comma, riscritto dalla riforma operata dal governo di centrosinistra guidato da Giuliano Amato nel 2001, è il primo passo verso quella che Viesti definisce secessione dei ricchi. Sul piano teorico l’idea federalista teorizzata da Miglio si intreccia con il pensiero politico della Nouvelle Droite e quindi di Alan De Benoist introdotto in Italia da Massimo Fini. Ossia un’Europa unità in una entità federale dove a federarsi sono le singole comunità territoriale regionali.

Quanto teorizzano sia De Benoist che Fini, pur essendo entrambi contro il liberalismo che fornisce il supporto ideologico a questa UE e più in generale alla Globalizzazione, sul piano pratico, non è molto distante dall’idea di UE delineata dal Trattato di Maastricht che ha imposto il potenziamento delle regioni e dallo stesso Libro Bianco di Delors che immagina l’Europa come un’area di libero scambio, regolata da Istituzioni tecnocratiche, che vede interagire individui, imprese e sistemi territoriali tra di loro. In un contesto come quello attuale che vede l’idea di Europa fortemente in crisi la soluzione che le elites dominanti stanno avanzando è quella di favorire l’incontro tra federalismo e liberalismo. Ciò che accomuna europeisti e sovranisti sono le politiche economiche neoliberali.

Di fronte al rifiuto di questo modello di UE ciò che le elites offriranno alle masse è il recupero dell’idea di nazione che si identificherà con le piccole patrie, comunque funzionali alle politiche neoliberali, che in fase iniziale saranno le regioni e nello specifico le macro – regioni. Gli effetti sul piano economico e sociale per la Basilicata saranno dirompenti costringendoci a ripensarci partendo dalla questione delle questioni e cioè quella dello sfruttamento delle risorse petrolifere.

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