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Storia di una ladra di libri: film di guerra, di amicizia e di bambini

Occhio perchè Storia di una ladra di libri è uno dei milgiori film sulla follia nazista che ricordi in questi ultimi anni. Brian Percival realizza una storia privata, il racconto della vita (non facile) di una ragazzina e sullo sfondo abbiamo la Germania a cavallo degli anni ’40 con nazismo e Guerra Mondiale. Un periodo che non si presta molto a rimanere sullo sfondo ed infatti balza in primo piano immediatamente.

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Liesel viene venduta dalla madre (comunista?) ad una coppia di tedeschi e comincia una nuova vita. Conosce Rudy, impara a leggere e a scrivere, va a scuola. Il rapporto con la nuova madre non è ovviamente facile ma la guerra imminente aiuta a stringere i rapporti. Giusto una traccia molto leggera e decisamente sviante perchè di cose da dire ce ne sono parecchie. Intanto la “vendita” cui ho accennato non è che vada proprio così. Diciamo che Percival ci racconta tutto con gli occhi della bambina e quindi la percezione cambia man mano che la storia va avanti. La mamma burbera si rivela dolce e amorevole, solo un po’ scorbutica. Il nuovo padre è invece adorabile fin da subito ed aiuta la ragzzina ad integrarsi, le insegna a leggere a scrivere. Poi c’è il nazismo, la notte dei cristalli, il figlio di un vecchio amico ebreo che viene nascosto per mesi in cantina e cambia completamente la vita della ragazzina, che nel frattempo cresce.

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Nel film c’è l’amicizia, l’amore, l’odio, la guerra, i bombardamenti, le ingiustizie. Poi c’è la consapevolezza (acquisita pian piano) da parte dei giovani Liesel e Rudy che quello che sta accadendo è una porcheria, che bisogna ribellarsi… solo che non è possibile.

E in tutto questo ci sono i libri, veri simboli di speranza (ma mica solo simboli). I libri che Liesel ruba per leggerli, per crescere, per scrivere, per sognare ed imparare a raccontare storie.

Splendido il piccolo Nico Liersch, biondo e tedeschissimo, ma innamorato di Jessie Owens (“Perchè non devo dire in giro che mi piace?”).

Straordinaria Sophie Nélisse come pure (soprattutto) Geoffrey Rush. Forti alcune sequenze, su tutte quella del rogo di libri, momento in cui i due bambini davvero capiscono che qualcosa non funziona. Notevole l’idea della voce narrante, la morte in persona, grande protagonista di quegli anni.

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