Sto con Erri De Luca, perché le parole sono pietre

Trovo non condivisibile e ingenuamente semplificatoria, in una società dove, nonostante la Rete, il monopolio della comunicazione resta saldamente in poche mani, l’idea per la quale «le parole non si processano». E’ lo slogan che campeggia, tra gli altri, sul sito iostoconerri.it, in stridente distonia con quanto invece afferma lo stesso Erri De Luca, per il quale è stata chiesta una condanna penale a otto mesi per istigazione a delinquere.
E’ anche il concetto più diffuso tra quanti solidarizzano con il tuttora presunto istigatore del sabotaggio della TAV. Credo che siano ben altre le ragioni di De Luca. Nel merito la pretestuosità della correlazione tra le sue parole e le azioni di terzi, nonostante su ciò si basi il reato di istigazione. Nel contesto perché la difesa della libertà di espressione non può passare da questa ingenua pretesa di intangibilità del verbo sull’azione.
È un crinale difficile quello tra il liberticidio del dissenso (quale quello espresso da Erri De Luca) e la banalizzazione e la rivendicazione dell’irresponsabilità della parola, che è l’esatto opposto di quanto afferma lo scrittore napoletano.
Mi sono occupato, anche perché ne sono stato vittima, delle querele intimidatorie, spesso seriali, con le quali ricchi e potenti perseguitano chiunque osi nominarli. E’ un girone dell’inferno ma #IostoconErri, perché si fa carico del peso delle proprie parole e le difenderà anche se verrà condannato. Io sto con Primo Levi che rivendicò il principio di responsabilità del «rispondere di quanto scriviamo, parola per parola». Solo se siamo pronti a rispondere di quanto scriviamo, le nostre parole hanno dignità.
Altrimenti resta il sicariato del mainstream o lo sterile borbottio dei social e, nella società della liquidità della deresponsabilizzazione, le idee non valgono nulla.
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