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Spiegare e capire l’ateismo: perché, dove e come

La dif­fu­sio­ne del­la non cre­den­za or­mai si è fat­ta un fe­no­me­no so­cio­lo­gi­co e an­tro­po­lo­gi­co ri­le­van­te e a lun­go ter­mi­ne. Se fino al se­co­lo scor­so l’e­ti­chet­ta di ateo o agno­sti­co era ri­ser­va­ta a una nic­chia — so­prat­tut­to in­tel­let­tua­li par­ti­co­lar­men­te com­bat­ti­vi o di rot­tu­ra (come Al­bert Camus) o per­so­nag­gi le­ga­ti a ideo­lo­gie po­li­ti­che come il so­cia­li­smo — oggi, con il con­so­li­da­men­to del­la se­co­la­riz­za­zio­ne, l’in­cre­du­li­tà di­ven­ta un fe­no­me­no di mas­sa e sem­pre più tra­sver­sa­le.

classe

Un pro­ces­so che vie­ne ri­le­va­to da di­ver­si stu­di e che met­te in al­lar­me le con­fes­sio­ni re­li­gio­se, i cui espo­nen­ti ten­do­no a de­mo­niz­za­re l’a­tei­smo o a ten­ta­re il ri­lan­cio del­l’e­van­ge­liz­za­zio­ne, come nel caso del Cor­ti­le dei gen­ti­li isti­tui­to da Be­ne­det­to XVI. Nel­l’ul­ti­mo de­cen­nio sono sta­ti scrit­ti fiu­mi d’in­chio­stro (pro o con­tro) e si sono con­so­li­da­te in tut­to il mon­do as­so­cia­zio­ni che rap­pre­sen­ta­no le istan­ze dei non cre­den­ti. An­che nei com­por­ta­men­ti quo­ti­dia­ni, si apre il di­bat­ti­to su come com­por­tar­si du­ran­te le fe­ste in un con­te­sto im­be­vu­to di re­li­gio­ne (e come crea­re del­le al­ter­na­ti­ve) e come cre­sce­re i pro­pri fi­gli sen­za con­di­zio­na­men­ti di fede.

Ma non solo: il mon­do ac­ca­de­mi­co ini­zia ad ana­liz­za­re il fe­no­me­no in ma­nie­ra se­ria e si­ste­ma­ti­ca, come ha fat­to ad esem­pio Phil Zuc­ker­man, su­pe­ran­do i pre­giu­di­zi ne­ga­ti­vi e gli ste­reo­ti­pi dif­fu­si dal­le re­li­gio­ni. Tra le ri­cer­che, ci­tia­mo quel­la sta­tu­ni­ten­se che ha ela­bo­ra­to al­cu­ni pro­fi­li di non cre­den­ti. Ul­ti­ma­men­te l’u­ni­ver­si­tà sve­de­se di Upp­sa­la ha per­si­no pro­po­stoun po­st-dot­to­ra­to per stu­dia­re il New athei­sm.

Non sor­pren­de che ci sia oggi tut­ta que­sta at­ten­zio­ne. Per­ché stu­dia­re l’a­tei­smo? Si può dire che ha una lun­ghis­si­ma sto­ria, più lun­ga del­le re­li­gio­ni esi­sten­ti, ed è ca­rat­te­riz­za­to da una ric­chez­za di sfu­ma­tu­re e di in­di­riz­zi cul­tu­ra­li. Non­ché da un’e­ti­ca che non ha nul­la da in­vi­dia­re a quel­la del­le fedi, tan­t’è che an­che su que­sto le ri­cer­che evi­den­zia­no come pure i non cre­den­ti svi­lup­pi­no em­pa­tia e sen­so mo­ra­le e si in­ter­ro­ghi­no sul sen­so del­la vita. Anzi, se si guar­da al di­bat­ti­to eti­co mon­dia­le e ai com­por­ta­men­ti pra­ti­ci del­la po­po­la­zio­ne, sem­bra or­mai pre­do­mi­nan­te in cer­te aree vi­ve­re “come se dio non ci fos­se”.

An­che nel mon­do del­l’i­stru­zio­ne si pone il pro­ble­ma di come trat­ta­re cer­te co­no­scen­ze e ri­fles­sio­ni che ruo­ta­no in­tor­no ad atei­smo e agno­sti­ci­smo. Nel­le scuo­le non si in­se­gna ad hoc come in­ve­ce si fa con la re­li­gio­ne, che man­tie­ne in­ve­ce una po­si­zio­ne pri­vi­le­gia­ta: d’al­tron­de non è e non può es­se­re una se­rie di dog­mi da in­cul­ca­re.

Di­ver­so sa­reb­be il di­scor­so se fos­se in­se­ri­to in una cor­ni­ce in cui si trat­ta­no de­gna­men­te e lai­ca­men­te sia le re­li­gio­ni sia le po­si­zio­ni esi­sten­zia­li non re­li­gio­se. Nel­le uni­ver­si­tà or­mai si ap­pro­fon­di­sce come in­se­gna­men­to spe­ci­fi­co, come av­vie­ne per le re­li­gio­ni. Ed è im­por­tan­te che en­tram­bi i fe­no­me­ni sia­no trat­ta­ti scien­ti­fi­ca­men­te.

In pae­si dove i non cre­den­ti or­mai sono par­te non in­dif­fe­ren­te del­la po­po­la­zio­ne, come l’Ir­lan­da e la Gran Bre­ta­gna ci si in­ter­ro­ga sul se e come stu­diar­lo a scuo­la, men­tre in Fran­cia e in Bel­gio si in­se­gna eti­ca lai­ca (che non è la stes­sa cosa, ma vie­ne fat­ta pas­sa­re per tale).

D’al­tron­de per­si­no il car­di­na­le An­ge­lo Ba­gna­sco, da pro­fes­so­re di teo­lo­gia, ha in­se­gna­to atei­smo. I sa­cer­do­ti de­vo­no co­no­scer­lo, fe­de­li e non fe­de­li no?

 

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