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Spagna al voto: Sánchez alla ricerca di una maggioranza

Il Paese iberico vota per la quarta volta in quattro anni. Stando ai sondaggi, però, una maggioranza non è scontata…

di Luca Magrone

Alla Spagna potrebbe non bastare il nuovo voto del 10 novembre per uscire dallo stallo politico. Infatti, secondo i sondaggi, quando le urne chiuderanno alle 20 di domenica (e naturalmente inizierà la #maratonaYouTrend su TwitterFacebookTelegram e Instagram) nessun partito dovrebbe riuscire ad ottenere la maggioranza assoluta nei 350 seggi del Parlamento solo con le proprie forze. A questo punto, diventerebbe nuovamente necessario il gioco delle coalizioni per dare un governo alla nazione. Un’operazione, tuttavia, sempre più complicata: è proprio a causa delle fallite trattative tra PSOE e Unidas Podemos che il Re ha dovuto indire nuove elezioni, a soli sette mesi dalle ultime. E nell’arco di questi mesi possiamo dire che la situazione si è ulteriormente complicata.

Il ‘bloqueo politico’ in Spagna persiste

Innanzitutto, un nuovo attore politico si è affacciato sulla scena: Más País. Il movimento fondato dall’ex numero due di Podemos, Iñigo Errejon, ha contribuito a rosicchiare i consensi della sinistra movimentista spagnola, da mesi guidata da una leadership – quella di Pablo Iglesias – più volte messa in discussione. Nel centrodestra, invece, Ciudadanos (che ha sempre optato per una posizione più centrista) adesso rischia di perdere molti voti mentre il suo elettorato si dirige verso i Popolari o Vox. Se ancora ciò non bastasse, ci hanno pensato le nuove proteste indipendentiste in Catalogna a gettare ulteriore benzina sul fuoco.

Queste nuove elezioni del 10 novembre assumono quindi il significato di un nuovo, pesante stress test non solo per la popolazione, ma soprattutto per la democrazia spagnola dopo la morte definitiva del bipolarismo. Chi potrebbe riuscire nell’impresa di guadagnare la maggioranza nel Congreso de los Diputados e dare un governo alla Spagna per i prossimi 4 anni? Per provare a capirlo, diamo un’occhiata ai numeri dei sondaggi.

Elezioni in Spagna – La media dei sondaggi

Secondo la media dei sondaggi a trovarsi in testa sono ancora i socialisti di Pedro Sánchez con il 27,4%. A seguire troviamo il Partido Popular con 21 punti percentuali. In terza posizione assistiamo al sorpasso di Vox (12,8%) su Unidas Podemos, ora al 12,5%, complice anche l’uscita di Más País che conquista 4 punti percentuali. Infine, il dato – importante – di Ciudadanos che scivola sotto la soglia dei dieci punti e si attesta al 9%.

Elezioni in Spagna – I sondaggi e i risultati di aprile

Ma mettiamo a confronto questi dati con i risultati delle precedenti elezioni. Il voto del 28 aprile aveva consegnato la vittoria al PSOE con il 28,7% dei consensi adesso, invece, in calo dell’1,3%. Abbiamo un saldo negativo anche per Unidas Podemos che perde quasi due punti percentuali rispetto ad aprile (-1,8%), mentre ben più pesante è il risultato di C’s. Difatti, il partito guidato da Rivera passa dal 15,9% al 9%. Le ragioni di questo crollo si possono interpretare alla luce della prestazione degli altri partiti di destra; infatti, sia il PP che Vox vedono una crescita, rispettivamente del 3,9% e del 2,5%.
Per fornirci una maggiore visione d’insieme sulle oscillazioni del consenso giungono anche i dati sui flussi elettorali previsti di Kiko Llaneras per El Pais.

Elezioni in Spagna – I flussi di voto attesi

In questo grafico osserviamo come siano proprio gli elettori di C’s i meno fedeli. Di questi, infatti, solo il 48,3% riconfermerebbe il voto di aprile, mentre oltre uno su due ha deciso di voltare le spalle a Ciudadanos. I rivoli di consenso persi da C’s si dirigono soprattutto verso Vox e il PP. E se una percentuale inferiore opta, invece, per i socialisti, un flusso ancora più consistente entra nella categoria degli indecisi.

Al contrario, all’interno di Vox c’è una compattezza quasi granitica. Difatti, ben l’85,3% dei suoi elettori avrebbe deciso di riconfermare il proprio voto. Un dato superiore a quello riscontrato in tutti gli altri partiti. Infatti, il 67,1% dei votanti di UP e il 68,8% del PP rimarrebbero fedeli alla preferenza espressa ad aprile. Occorre tuttavia notare come il secondo risultato peggiore sia quello del PSOE, con il 62,4%.

Infine, l’incognita Más País. L’abbandono di UP da parte dell’ex numero due Errejon, da tempo in rotta di collisione con Pablo Iglesias, portava con sé un ovvio travaso di consensi. Tuttavia, stando a questi dati, rimane certo che il partito di Errejon contribuisca a sparigliare le carte, ma non assistiamo – almeno per ora – ad un crollo vertiginoso di UP. Questo potrebbe essere mitigato anche dalla scelta, annunciata da Errejon con il lancio della lista, di una desistenza a favore di Socialisti e Podemos nelle circoscrizioni più piccole.

La legge elettorale

A proposito di circoscrizioni, i 350 deputati vengono eletti con un sistema elettorale proporzionale con metodo D’Hondt e liste bloccate. Il territorio nazionale è diviso in 52 circoscrizioni, una per ognuna delle 50 province più le 2 exclavi in Marocco (ossia Ceuta e Melilla). Ogni circoscrizione, salvo Ceuta e Melilla che eleggono un deputato ciascuno, ha diritto ad un minimo iniziale di due seggi, mentre i restanti 248 sono assegnati in proporzione alla popolazione di ciascuna provincia. La soglia di sbarramento, applicata in ogni circoscrizione, è pari al 3% del totale di voti validi e schede bianche. Di fatto, però, la combinazione tra metodo D’Hondt (tra le formule di assegnazione più disproporzionali e penalizzanti per i piccoli partiti) e ridotta magnitudo circoscrizionale (cioè pochi seggi in palio) fa sì che la soglia effettiva sia in molti casi ben superiore al 3%, e soprattutto variabile a seconda della circoscrizione.

Spagna – Madrid e Barcellona sono le circoscrizioni più grandi

 Passa con il cursore o seleziona con il dito ogni colonna per vedere il numero di deputati eletti in ogni circoscrizione.

Al Senato, invece, sono in palio 208 seggi, 4 per ogni circoscrizione assegnati tutti alla lista più votata con un maggioritario plurinominale. Tuttavia, visto che vige il parlamentarismo imperfetto e che il Senato non vota la fiducia al governo, i risultati di maggiore interesse sono quelli sui 350 seggi del Congresso.

Il numero magico: 176 seggi

Se c’è un numero che può incarnare la tensione di queste ultime tornate elettorale spagnole, quello è il 176. Infatti, sono 176 i seggi necessari per ottenere quella maggioranza assoluta che, ad oggi, è ancora un miraggio. Già, perché ad oggi – se le urne dovessero confermare i dati dei sondaggi – nessuna coalizione formata dai partiti principali sarebbe in grado di toccare l’ambita quota. Questo rende ancora più difficile il valzer delle alleanze, già reso complesso dai rapporti che intercorrono tra i vari partiti.

A sinistra abbiamo socialisti e Unidas Podemos reduci dalle trattative fallite dopo il voto di aprile. Al momento nulla farebbe pensare ad una particolare apertura da un lato della barricata. Anzi, durante il dibattito televisivo del 4 novembre Sánchez si è scontrato con Iglesias e secondo molti commentatori il divario tra le due parti è finanche aumentato. Anche includendo in coalizione Màs Paìs, arriverebbero a 158 seggi.

A destra, invece, Ciudadanos deve lottare per non essere fagocitata da PP e Vox e, al tempo stesso, la triplice alleanza con l’ultraderecha non sarebbe gradita alla parte più moderata dell’elettorato di destra. Sommando i dati della simulazione elettorale di El Paìs, le tre liste arriverebbero oggi a 155 seggi.

Elezioni in Spagna – I seggi previsti da El Paìs

 

A questo punto sembra certo che a giocare un ruolo fondamentale sarà quella galassia dei partiti “minori” che, a ragion veduta, così minori non sono. E qui entriamo in un campo minato perché all’interno di queste sigle ci sono quei movimenti nazionalisti al centro della crisi catalana. Gli stessi con cui Sánchez aveva stretto l’accordo per la mociòn de censura a Rajoy. Gli stessi per cui il leader socialista è stato oggetto di attacchi al vetriolo delle destre che lo hanno accusato, con veemenza, di tradire il suo stesso paese.

Ovviamente, se un domani Sánchez dovesse decidere di scendere a patti con gli indipendentisti, esporrebbe nuovamente il fianco a tali accuse. E di certo non sarebbe una scelta facile. Innanzitutto, perché Sánchez deve già badare a proteggersi dagli attacchi di tutti i fronti. Esemplificativo, a riguardo, può essere ciò che si è verificato durante il dibattito televisivo del 4 novembre dove Sánchez è stato interpellato ben 73 volte da tutti gli altri leader presenti. Inoltre, il ritorno di fiamma delle proteste a Barcellona – e il forte impatto mediatico che ne consegue – fornisce nuove armi alla narrazione delle destre che, in casi di accordi tra PSOE e indipendentisti, avrebbero buon gioco ad attaccare il leader socialista.

In questa situazione la necessità di un governo è al centro del discorso pubblico spagnolo, tanto che El Mundo ha provato a quantificare i costi dello stallo. La mancata formazione di un governo e la convocazione di nuove elezioni generali ha avuto un costo pari a 700 milioni di euro. Inoltre, secondo le stime di BBVA Research, ha avuto un prezzo in termini di mancata crescita dello 0,2% del PIL e di 200 mila posti di lavoro. Non c’è bisogno di sottolineare che una situazione del genere richieda a gran voce la formazione di un governo. Tuttavia, a meno che le urne non ci sorprendano, lo stallo politico in Spagna non accenna a risolversi.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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