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Sospeso tra due mondi: Il paese delle spose infelici di Desiati

Pubblicato da Mondadori (agosto 2008), Il paese delle spose infelici è un accattivante intreccio di mito e storia, in perfetto equilibrio tra superstizione ed attualità.

È il libro che non ti aspetti Il paese delle spose infelici di Mario Desiati. A stupirti non è tanto la storia, quanto piuttosto i personaggi, gli sfondi, il denso grumo culturale che affiora da ogni pagina. All’inizio sembra di aver davanti una storia d’amour fou – la storia di un’ossessione, quella del protagonista (Francesco, Veleno) per Annalisa d’Efebo. A ben guardare invece è una storia sospesa tra due universi: quello reale, concreto, storico, dell’Italia del sud anni 90, e quello eterno, atemporale e mitico, della superstizione. Spola tra questi due mondi è Annalisa, personaggio complesso e inafferrabile, denso di richiami culturali.

Il primo nome che viene in mente è senza dubbio quello di Dino Campana e delle sue matrone. Un parallelismo, quello tra Annalisa e le matrone campaniane, che non è nei tratti somatici (che anzi appaiono divergenti) ma nel loro essere angeli caduti. Porta dell’inferno che si spalanca sul paradiso. In Campana è tra le prostitute e gli uomini al margine della società (Il Russo, Regolo) che si trova la porta dell’eterno, che rivivono i “miti lontani e selvaggi”. È toccando il fondo della degenerazione che si può arrivare alla purezza assoluta. Proprio come accade col personaggio di Annalisa, con il suo essere portatore di un mistero più grande di lei. Uno scatto dionisiaco connota i suoi comportamenti, le sue azioni, e risucchia chi le gira attorno: primo fra tutti il protagonista che in lei intravede la via orfica del mistero.

Perdendo lei Francesco - Veleno perde anche l’accesso al sacro: l’iniziazione (che questo sembra, molte volte, l’atto sessuale di e con Annalisa) diventa pornografia, il nucleo di verità primigenia che questa ragazza senza età si porta dentro si rimpicciolisce fino a scomparire sotto il cinico fruscio del denaro. La sua sostituta (Eleonora – prostituta di professione) non è all’altezza: bella, sensuale desiderabile finchè si vuole, ma umana.

 
Accanto (o al di sopra, quasi a volerlo mascherare) all’universo orfico però, vive quello storico e quotidiano del sud Italia anni Novanta. È il mondo delle fabbriche che soffocano che inquinano che uccidono, è il mondo della Juve di Del Piero, dei mezzi di comunicazione di massa, onnipresenti, dell’emigrazione verso il nord alla ricerca di un futuro migliore. Significativi sono i passi dedicati al cinema e al (finto) regista Fulco. Come una specie di “uomo delle stelle”, va in giro a sostituire la finzione alla realtà, a dare concretezza ad un sogno collettivo. A disegnare per gli altri una via di fuga possibile (quella del cinema e delle sue star) che nessuno però sarà in grado di imboccare. La sua macchina da presa è senza pellicola e tutti (o quasi tutti) in paese paiono saperlo: nonostante ciò fanno finta di niente e continuano ad accalcarsi alle sue scene. Come a dire che certe cose basta avere la possibilità di sognarle, non serve poi che si realizzino davvero.
 
Questo continuo testa a testa tra storia e mito pare stabilizzarsi nel finale: i misteri che ruotano attorno ad Annalisa si sciolgono, il suo personaggio viene, per così dire, normalizzato. Né la storia né la realtà più cruda però, possono nulla sulle tracce dell’incantesimo che lei ha gettato sugli altri. Chiudendo il libro una domanda sorge spontanea: il ritiro dal mondo, l’accettazione del proprio fallimento nel tempo “reale” non segnano forse la sconfitta proprio di quel mondo arcaico, mitico che Annalisa portava dentro? Non è proprio la scelta finale di Francesco, per quanto sbandierata come esercizio totale di libertà, a segnare la distanza incolmabile tra i due mondi?
 
Qualsiasi sia la risposta, è certo che Desiati è capace di creare un universo complesso, in cui le persone sono inseguite dai propri fantasmi, i sentimenti insidiati dagli impulsi, la razionalità dall’animalesco. Un universo al quale in più punti guardiamo sbigottiti, sapendo che tutto non riusciremo mai a comprenderlo. A sostenerlo efficacemente non poteva che esserci un linguaggio suadente, con forti impennate liriche: una sorta di nenia primordiale che incanta, che strega, che ti fa scivolare da una riga all’altra.

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