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Sorpresa! Gay e lesbiche vengono discriminati nelle scuole cattoliche

La vicenda che a Trento vede protagonisti suor Eugenia Libratore, direttrice dell’istituto scolastico paritario “Sacro Cuore”, e un’insegnante prossima alla scadenza del suo contratto è esemplare; conferma chiaramente, se mai ce ne fosse bisogno, che quando si parla di scuole religiosamente orientate il rischio che avvengano forme di discriminazione non è affatto trascurabile. Anzi, è ragionevole pensare che sia di gran lunga più elevato che in altri contesti, perché qualunque religione si basa su un insieme di principi morali che in parte coincidono con valori etici comuni, ma che per il resto hanno validità esclusivamente in quella specifica sfera. E quando c’è un contrasto tra i principi squisitamente religiosi e i valori laici condivisi, sono questi ultimi ad avere la peggio.

Vediamo di riepilogare cos’è successo: la scena principale si svolge nell’ufficio della direttrice, dove viene convocata un’insegnante che da anni presta servizio nella struttura con contratti a termine puntualmente rinnovati, segno che la competenza della docente non è in discussione. Infatti a essere in discussione è ben altro. La ragione di questo colloquio sta nel fatto che gira voce che la prof sia lesbica, cosa inaccettabile in un istituto cattolico, quindi la direttrice pensa bene (anzi, male!) di chiederne conto alla diretta interessata. È evidente che l’intenzione non è quella di fare conversazione, anche perché l’argomento non è esattamente la destinazione per le vacanze, e infatti secondo quanto ha raccontato la stessa insegnante le proposte della direttrice sono due: se non è vero, si rende necessaria una smentita ufficiale, se è vero bisogna immediatamente sottoporsi ad adeguate terapie. Aut aut. L’unica alternativa è rassegnarsi a non veder rinnovato il contratto, cosa che avviene puntualmente perché l’idea di rispondere a domande sulla sua sessualità non ha nemmeno sfiorato la mente della malcapitata, che anzi si indigna, denuncia l’episodio e si riserva di adire le vie legali per vedere tutelati i suoi diritti.

La notizia in breve tempo fa il giro dello stivale, così l’istituto cerca di metterci una pezza affidando la sua versione dei fatti, naturalmente opposta a quella fornita dall’insegnante, a un comunicato stampa in cui la madre superiora, nonché direttrice, spiega che sì, effettivamente l’argomento dell’orientamento sessuale è stato affrontato, ma il motivo del mancato rinnovo contrattuale risiede esclusivamente in una riduzione dell’organico. Problemi economici, per dirla in altri termini. La spiegazione risulta poco convincente, e comunque c’è l’ammissione che effettivamente la suora ha fatto domande che non aveva il diritto di fare, cosa di per sé grave. Da più parti si condanna il comportamento della suora, purtroppo non senza qualche voce fuori dal coro come quella di Sergio Divina (Lega Nord), chiedendo a gran voce l’intervento del Ministro dell’Istruzione.

trento-scuola

La ministra Giannini interviene a stretto giro — e del resto non potrebbe fare altrimenti neanche volendolo — con l’annuncio che si sta valutando il caso e che se effettivamente le cose stanno come sembra si agirà con severità. Vedremo. Nel frattempo il Corriere telefona alla direttrice della scuola riuscendo a ottenere dichiarazioni clamorose: il motivo del mancato rinnovo sembra essere esattamente quello denunciato dalla docente. È chiaro che la suora non è abituata a misurare le parole, soprattutto quando i riflettori le sono puntati addosso, e infatti il disorientamento è tale da indurla ad intervenire nuovamente per dire che alla base di tutto ci sono delle lamentele su discorsi sulla sessualità fatti dall’insegnante. Salvo poi autosmentirsi quando a parlare con lei sono andati i soci trentini di Arcigay. Fin qui la cronaca.

Il rischio maggiore adesso è che si tratti la vicenda di Trento come un caso isolato, come un’eccezione, quando invece questa è a ben vedere la norma. Che piaccia o meno. È la stessa madre superiora a dirlo indirettamente quando, al telefono con l’intervistatore, dichiara: «la scuola cattolica ha una sua caratteristica e un insieme di aspetti educativi e orientativi». Ed è la consulente dell’istituto per la comunicazione, nonché ex consigliera della Lega Nord, Franca Penasa a confermarlo affermando che «le persone pagano una retta [...] e dobbiamo ascoltare tutto quello che ci viene detto». Non si può fare finta che non sia così, non può esistere in questi casi una presunzione di tolleranza perché la tolleranza, il pluralismo, la laicità sono concetti estranei in una scuola cattolica. Semmai la norma è la scaltrezza con cui si agisce di solito in questi casi, scaltrezza che alla suora è del tutto mancata perché se al suo posto ci fosse stato qualcun altro certo non avrebbe fatto domande così esplicite, si sarebbe limitato a non rinnovare il contratto adducendo un pretesto qualunque. E l’insegnante sarebbe stata costretta a cercare di contenere il rischio di passare per lesbica, come fanno normalmente tutti i docenti che insegnano in scuole cattoliche, e che per entrarvi hanno dovuto dichiarare di condividere i valori cattolici. Si potrebbe dire che la superiora ha peccato di superbia.

Rimane da vedere anche fin dove arriveranno la coerenza del governo in generale e della Ministra Giannini in particolare, che adesso promette severità ma che non si è mai fatta scappare una sola occasione per ribadire il suo sostegno alla scuola privata. Scuola “parificata”, per l’esattezza. E qui è lecito chiedersi cosa sia effettivamente parificato, se la scuola privata a un modello di insegnamento universale e rispettoso di tutti, o se il cosiddetto “sistema pubblico integrato”, comprendente statali e paritarie, a un modello sempre più esclusivo, sempre più soffocante, sempre più negativo del pluralismo.

Perché almeno in Italia, e almeno per quanto riguarda la scuola (ma non solo), privato e cattolico sono quasi sinonimi, quindi quando si sovvenzionano istituti privati di fatto si sostiene l’insegnamento confessionale. Quando si esentano dal pagamento delle imposte le scuole paritarie, come da recente provvedimento portato dall’Uaar all’attenzione della Commissione europea, di fatto si fa un favore alle chiese. E non serve a nulla stabilire il principio che queste strutture devono “garantire la non discriminazione” perché, almeno fintanto che non verranno prese serie iniziative di contrasto, tale principio è destinato a rimanere astratto. Fare finta che non sia così significa affidare le pecore al lupo, con l’aggravante che in questo caso pastori e lupi coincidono.

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