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Sofferenze bancarie: il letale apriscatole di Zingales

Su l’Espresso di questa settimana, l’editoriale del professor Luigi Zingales si occupa di come risolvere il problema delle sofferenze bancarie ed al contempo di come restituire fiducia nelle banche, sanzionando i banchieri spregiudicati. Per stavolta non si richiede il rinvio delle norme europee sul bail-in ma la prescrizione resta piuttosto audace, oltre che in lieve conflitto con la realtà.

Zingales parte dal presupposto che occorre rafforzare il capitale azionario delle banche, e sin qui è la scoperta dell’acqua calda. Che si fa quando le perdite erodono il capitale di un’azienda, di solito? Si fa un bell’aumento di capitale oppure si dichiara il dissesto, circostanza che a volte e sotto determinate condizioni porta i creditori a divenire azionisti, attraverso il cosiddetto debt-equity swap.

Le banche sono aziende, pur nella loro peculiarità sistemica, cioè di produrre vari effetti-contagio. Il bail-in trasforma i creditori in azionisti ma l’effetto collaterale della norma è che tende a creare effetti sistemici. Leggasi panico, come si intuisce osservando dove sono arrivati i prezzi delle obbligazioni subordinate (ma anche di quelle senior non garantite) delle banche italiane. La via maestra per ridurre il contagio resta quella classica: aumentare il capitale. Mediante tale azione, è possibile anche assorbire il peso eccessivo delle sofferenze.

Ma aumentare il capitale è molto oneroso, per gli azionisti tutti. I gruppi di controllo sprovvisti di mezzi per sottoscrivere le ricapitalizzazioni dovrebbero passare la mano ad altri. Aumenti di capitale, inoltre, avrebbero la funzione di proteggere i creditori subordinati, soprattutto i piccoli risparmiatori che hanno acquistato quelle obbligazioni in altra epoca e/o sono stati raggirati dalle banche che le hanno vendute (mispricing e mis-selling).

Che fare, quindi? Zingales ritiene di avere la soluzione:

«Per restituire ai depositanti la necessaria fiducia, quindi, esiste solo un modo: aumentare il capitale azionario. Lo Stato deve forzare quest’aumento con un aut aut: o le banche si ricapitalizzano sul mercato, o le ricapitalizza lui, forzando un ricambio totale del management. Di fronte a questa scelta, tutte le banche solventi – che sono la maggior parte – si affretteranno a ricapitalizzarsi sul mercato. Il controllo delle altre verrà temporaneamente assunto dallo Stato, che provvederà a liquidarle in modo ordinato. In questo modo, si elimina l’incertezza che oggi attanaglia il sistema e rischia di far fallire anche le banche solide. In aggiunta, la ricapitalizzazione permetterà alle banche di riprendere a prestare, favorendo la crescita economica. Se è così semplice, perché non è ancora stato fatto? Perché mette a rischio la poltrona di molti banchieri»

Se solo fosse così semplice. Intanto, “affrettarsi a ricapitalizzare” non è gratis, soprattutto se molte banche andassero contemporaneamente a bussare a quattrini sul mercato. Per il lavoro che svolge, Zingales sa benissimo che il capitale ha un costo, e che se tale costo dovesse aumentare di molto, come nel caso di molti richiedenti che cercano contemporaneamente di ridurre la leva finanziaria, l’esito sarebbe una forte stretta creditizia a danno dell’economia, perché il crollo di redditività delle banche causato da onerosi aumenti di capitale andrebbe in qualche modo recuperato dalle medesime.

Ma veniamo all’aspetto più interessante, il coinvolgimento dello Stato nelle ricapitalizzazioni delle banche. Ora, a parte che per fare ciò servirebbero molti soldi pubblici, cioè capacità fiscale, di cui pare che al momento non disponiamo, Zingales parla di “controllo temporaneo” delle banche, cioè di nazionalizzazione “a termine”. Di solito, questo processo implica che il governo, dopo aver risanato la banca nazionalizzata, la rivende sul mercato. Più facile a dirsi che a farsi: citofonare al 10 di Downing Street perRoyal Bank of Scotland e Lloyds Banking Group. Ma non divaghiamo.

L’originalità della proposta di Zingales è che lo stato non rivenderebbe sul mercato le banche temporaneamente nazionalizzate ma andrebbe addirittura a liquidarle. “Ordinatamente”, of course. Cioè? Che significa? Che le cederebbe al migliore acquirente? Per come l’ha formulata Zingales, diremmo di no. E quindi? Nella liquidazione coatta amministrativa i crediti delle banche divengono immediatamente scaduti ed esigibili, cioè i debitori devono rimborsarli a vista. Dubitiamo che Zingales punti ad un caos primordiale del genere. Unica interpretazione del concetto di “liquidazione ordinata” ci pare possa essere quella di riassegnazione da parte dello stato alle banche sane di crediti e debiti di quelle che non sono riuscite a ricapitalizzarsi.

Soluzione vagamente dirigista, che di fatto nazionalizzerebbe indirettamente il sistema bancario del paese. Che accadrebbe, infatti, se una banca rifiutasse di vedersi accollare i prestiti di quelle liquidate? E se non avesse il capitale sufficiente per reggere la massa di prestiti aggiuntivi assegnati dallo stato che farebbe, “correrebbe a ricapitalizzarsi” per non essere a sua volta nazionalizzata da questo bizzarro Pac-Man statale di Zingales? Ma soprattutto, se lo stato spende soldi per nazionalizzare le banche e poi le liquida anziché rivenderle, non è che il giochino finisce a produrre voragini nei conti pubblici?

Per farla breve, a noi sorge il sospetto che questa “soluzione” non sia ancora stata adottata non solo e non tanto per le ovvie resistenze dei gruppi di controllo quanto per manifesta fantascienza, oltre che per l’esito implosivo del sistema bancario che essa indurrebbe. Ma forse non abbiamo capito il senso delle parole di Zingales. Nel qual caso attendiamo puntualizzazioni. Che siano working, però, come direbbero a Chicago e dintorni. Di ipotesi di apriscatole per aprire scatolette su un’isola disabitata ne avremmo lette e sentite troppe.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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