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Sinistre europee: oltre la "terza via"

Nanni Moretti alla fine degli anni '80 poneva sulle labbra di Michele Apicella, il protagonista di Palombella Rossa, la fatidica domanda "che cosa significa essere comunisti oggi?". Oggi che il comunismo non esiste più, se non nel delirio statolatrico di qualche esotico regime asiatico o caraibico o nei desideri di qualche strano nostalgico del sol dell'avvenire (sempre più passato), possiamo riformulare il quesito in termini più attuali, razionali ed empatici: che cosa significa essere "sinistra" oggi, oltre il semplice uso di questo termine come un semplice nome di facciata?

 

 

A parte le eccezioni, e a onor del vero, mai come in un momento così bisognoso (dato il ciclico ripetersi del copione delle crisi finanziarie e dei rischi di default) di una rinascita progressista, democratica, di respiro socialista-europeo, proprio coloro che dovrebbero incarnare la proposta di tale rinascita siano ridotti ad un lumicino di speranze.

Le destre, ecco il paradosso (solo apparente), siano esse destre "liberiste-libertarie", conservatrici e moderate o, di contro, antilibertarie e illiberali, reazionarie e tradizionaliste, regnano quasi dappertutto. Sarà la paura della forte immigrazione, sarà l'effetto/eco – in via di sgonfiamento – dello scontro di civiltà iniziato 10 anni fa con l'attacco alle Torri Gemelle, sarà l'effetto di una generalizzata recrudescenza populista alimentata dalle crisi economiche, dalla disoccupazione, e di una rinascita del clericalismo tradizionalista, quello dei valori "non negoziabili" (vita nascente e morente, famiglia tradizionale, finanziamento alle scuole religiose). Sarà quel che sarà, ma tutto questo porta ad una conclusione che non piacerà a molti: le prospettive della "terza via", quelle che hanno flirtato con il liberismo ideologico, hanno tutte e quasi ovunque miseramente fallito.

Hanno fallito, visibilmente, in Spagna, dove, riforme laiche e bioetiche a parte, i governi Zapatero per affrontare la profonda crisi del debito sovrano non hanno saputo fare altro che mettere in pratica alla lettera tutte e sole le ricette liberiste del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Con risultati deludenti, che hanno inimicato persino a migliaia di giovani simpatizzanti di sinistra (disoccupati o precari) la politica del PSOE.

Hanno fallito nel Regno Unito, dove il New Labour di Blair, la terza via l'aveva pure brevettata e collaudata. Gli storici e i politologi già vedono da tempo, dati alla mano, la quasi totale continuità tra tutta una serie di politiche conservatrici del periodo Thatcher-Major (soprattutto in politica estera e finanziaria) e quelle di Blair (unica discontinuità voluta, una volta tornati al potere, dai conservatori di Cameron e dalla sua Great Society Politics, rispetto a Blair e Brown, l'aumento delle tasse scolastiche e universitarie).

In Germania, prima e durante la Grosse Koalition, regalando parlamento e governo ad Angela Merkel (anche essa, però, proprio in questi mesi, in fortissimo calo di popolarità), con il risultato che in Germania, oggi, nessuno sente più parlare di Schroeder, ieri "terza via alla tedesca", oggi consulente della Gazprom russa.

In Francia che, illo tempore, a Sarkozy non seppero opporre nulla di meglio della mite Ségolène Royal, e in Italia, che non ha saputo produrre niente di meglio, tre anni e mezzo fa, di un mediocre Walter Veltroni con tutti i suoi "ma-anche", emblema semantico di una "terza via all'italiana"….

Cosa dovrebbero fare, pertanto, le "sinistre" europee per tornare al governo in un momento in cui la disoccupazione, la povertà, le sperequazioni sociali, la concentrazione di poteri finanziari, la diffusione di messaggi antimoderni e antiprogressisti, il trionfo dell'individualismo in stile tea party, non sembrerebbero chiedere di meglio? Intanto: avere il coraggio e la saggezza storica di essere quello che si è, smettendola di imitare chi non si è.

Noi, i socialisti, i progressisti, i democratici, siamo coloro che credono che l'eguaglianza e la libertà, al di là del nome, siano solo due nomi diversi per la stessa sostanza: la dignità umana. Il binomio è, in realtà, una dialettica, e la dialettica è, in conclusione, una feconda reciprocità. Il diritto alla felicità è patrimonio di tutti, e ognuno merita di essere libero di trovare la propria via alla felicità.

Riappropriarsi di ciò che, e questo è un paradosso reale e non apparente, è stato lasciato agli sciacalli delle estreme destre populiste e antidemocratiche: gli ideali e le azioni della comunità, della socialità, del bene comune, dell'antiindividualismo, della difesa delle famiglie più deboli (non necessariamente tradizionali), di ogni luogo di promozione dei diritti, ma anche dei doveri e delle regole, e quindi della legalità. Smettere di chiamare "stato" (participio passato del verbo essere) quello che in realtà è repubblica.

Avere il coraggio e la capacità di fermare il conflitto artificiale, studiato e innescato ad arte, tra i giovani precari e i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato per convincere i primi che l'unica ancora di salvezza per loro sia estendere il precariato anche ai non precari, anziché – chissà perché nessuno ci pensa – fare l'esatto opposto (ridare ai "precari" i diritti di chi un lavoro a tempo indeterminato ce l'ha già!).

Certo: ci sono problemi cui una sinistra nord-europea non potrebbe mai rispondere con le stesse ricette praticate da una sinistra continentale o mediterranea. Di contro, ci sono problemi che vanno affrontati con strategie generali, forse più che europee, mondiali: primo tra tutti la necessità di un governo e di una regolamentazione transnazionale della finanza e delle economie, e poi le nuove politiche contro i debiti sovrani, il dibattito (rilanciato da persone così diverse tra loro come Prodi e Tremonti) sugli eurobond, e last but not least, l'immigrazione, problema destinato ad acuirsi dopo le primavere arabe e nord-africane.

I nuovi socialisti della res publica hanno il dovere di insorgere contro i nuovi conflitti sociali: anziani in pensione da decenni con assurde baby-rendite contro giovani che una pensione non l'avranno mai; figli dei ricchi, che non hanno fatto nulla, ma proprio nulla, per meritarsi l'ammissione all'università di grido che li porterà a far parte dello stesso ordine professionale di papà e mamma e della stessa casta dei genitori contro i precari a vita, spesso vittime di un divario scolastico niente più che ereditato; proprietari di case contro affittuari a vita; benestanti in grado di avere più di due figli a coppia contro poveracci costretti a mangiare nelle mense dei poveri per un divorzio o per un licenziamento. Un'intera generazione rischia di essere privata di un diritto umano fondamentale: avere una famiglia. E poi: persone i cui diritti coincidono con l'etica religiosa della maggioranza contro minoranze etiche, affettive, sessuali, religiose.

Serve un nuovo patto di fedeltà ideologica. Chi crede nella solidarietà non può fornicare con la cosiddetta sussidiarietà, l'idea, ahinoi entrata nella nostra Costituzione, per cui il pubblico e il privato possano essere interscambiabili. Chi crede nel socialismo – purché democratico, antitotalitario, sempre disposto alla competizione elettorale e al rifiuto di ogni estremismo – non può avere un orgasmo, sia pure solitario, con l'idea che il mercato sia in grado, sempre e comunque, di autoregolarsi!

Avere il coraggio di dire che nessuna meritocrazia può fare a meno dell'eguaglianza dei punti di partenza, perché il merito si misura sulla base di una stessa, identica, linea, come nelle gare di atletica. Altrimenti non si chiama "merito" ma "privilegio" o "rendita di posizione".

Avere il coraggio, infine, di guardare nell'abisso ma senza farsi ipnotizzare da esso, perché l'abisso potrebbe ricambiare lo sguardo, come ebbe a scrivere Nietzsche in Al di là del bene e del male, e trasformarci in quei mostri che dobbiamo affrontare e vincere.

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