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Sinistra radicale: “Che proponi”? Dieci cose da fare

Uno degli interventori del mio sito, commentando il mio pezzo sulle prospettive della sinistra radicale, mi chiede secco secco: “bè allora cosa proponi in concreto?”. Giustissimo: se uno fa critiche deve dare almeno un minimo di alternativa e non voglio fare l’ingraiano della situazione che fa analisi che spaccano il capello in sei, ma poi non propone nulla di pratico e di comprensibile.

Due premesse necessarie:

  • Primo, di fronte ad un disastro di queste dimensioni, non ci sono formule miracolistiche, nessuno ha la bacchetta magica ed occorre rimboccarsi le maniche e ricominciare da zero.
  • Secondo: senza una feroce autocritica degli errori passati non si fa niente perché fatalmente si ricade in essi. Quindi si lascino perdere le alchimie elettorali e si parli in termini politici più profondi e concreti: basta con questa storia di fondare forze politiche partendo da un cartello elettorale.

Pertanto, senza avere la pretesa di dare una risposta esaustiva, faccio alcune semplici proposte, che possono servire a una rifondazione della sinistra radicale in Italia e ve la propongo in forma da decalogo, che enuncio per poi argomentare:

1. fare una federazione di tutto quello che rimane (Sel, Rifondazione, Pdci, Sinistra Anticapitalista ecc ecc)

2. rottamare la dirigenza attuale,

3. rompere ogni alleanza con il Pd (anche localmente) e dichiararsi apertamente nemici

4. basta con il partito dei funzionari e con i soliti noti nelle istituzioni

5. responsabilizzare i dirigenti

6. essere sinistra “radicale” e non limitarsi a far finta di esserlo

7. riprendere a far politica, a pensare a studiare

8. ripensare i modelli organizzativi e inventare nuove forme di partecipazione, basta con la routine

9. trovare forme di comunicazione adatte ai tempi

10. Sfondare sul fianco del Pd, dialogare con il M5s

In breve:

1. Non ha senso continuare in questa dispersione ridicola di forze lillipuziane, utili solo a mantenere una schiera di pseudo dirigenti grandi e piccoli che fanno la parte “d’o gallo n’coppa a munnezza”. Non è realistico sciogliere immediatamente questi partitini, va bene, ma almeno che si faccia intanto una federazione, si inizino ad unificare le sedi e promuovere iniziative comuni (in prospettiva liste comuni), promuovere regolari assemblee comuni ecc.

2. Le dirigenze attuali hanno frantumato tutto, ridotto l’area ad una pozzanghera elettorale in via di disseccamento, mi pare che il meno che si possa fare è accompagnarle gentilmente alla porta anche se magari sarebbe meglio ruzzolarle dalle scale. Dunque, escludere dai gruppi dirigenti, tanto della federazione, quanto delle singole organizzazioni, tutti quelli che hanno avuto responsabilità nazionali (istituzionali o di partito) dal 2008 in poi, quindi deputati, senatori, parlamentari europei, membri delle segreterie nazionali, segretari delle principali federazioni che facciano altro: giardinaggio ippica, bricolage. Non siano rieletti neppure segretari di circolo. Eventuali eccezioni meritevoli potrebbero essere proposte a referendum con maggioranza qualificata (devono ottenere almeno i 2/3 dei voti favorevoli) essere recuperate. In politica chi sbaglia deve pagare e senza sconti.

3. La sinistra radicale ha fatto il cespuglio del Pds-Ds-Pd per oltre un quindicennio, morale: è finita fuori dalle istituzioni e giustamente, perché non aveva alcuna utilità. Se la sinistra radicale non è davvero alternativa alla sinistra ufficiale (oggi diventata destra a pieno titolo) e ne è solo la ruota di scorta, a che serve? E, infatti, oggi lo spazio è occupato dalla “sinistra” di governo di Renzi e dall’opposizione del M5s, in mezzo c’è una inutilissima nicchia di nostalgici che si avvia all’estinzione. Se si vuole riavere un ruolo occorre rompere con il Pd a tutti i livelli: dal Parlamento all’ultimo consiglio comunale. Basta con gli equivoci.

4. Il ceto politico della sinistra radicale di questo ventennio è stato solo una banda di cialtroni e di parassiti, che hanno lautamente banchettato e senza produrre nulla. La federazione milanese di Rifondazione, tanto per fare un esempio, aveva un apparato di 5 funzionari con un segretario strapagato, a cosa è servito? Il partito si è ugualmente liquefatto. I gruppi parlamentari non hanno mai avuto il coraggio di presentare un rapporto di attività, perché non hanno fatto nulla oltre che scaldare i seggi. In più i funzionari erano solo lo strumento per falsare i congressi e garantire la rielezione perpetua del gruppo dirigente. Quindi, fatto salvo l’apparato tecnico strettamente necessario, ed un minimo di dirigenti nazionali (giusto la segreteria ristretta), nessun funzionario politico: non servono, costano e sono dannosi. Basta anche con le liste fatte dai gruppi dirigenti nell’ombra delle segrete stanze. Magari il metodo delle primarie, opportunamente ripensato e forse limitato ai soli iscritti al partito, potrebbe essere già un modo diverso di formare le liste. Comunque mai più di due mandati. Lo slogan sia: Organizzazione si, burocrati no.

5. Nel Pci c’era un’abitudine da riprendere e perfezionare: ogni mese i dirigenti a vario titolo (di partito o istituzionali), dovevano presentare un rapporto di attività nel quale indicare minuziosamente cosa avevano fatto nei 30 giorni precedenti (assemblee, proposte di legge, studi di settore, comizi, interventi in aula o in commissione, riunioni di organismi ecc.) Sarebbe il caso di adottare immediatamente questo sano costume, per giudicare cosa fa ciascun dirigente e magari pubblicare mensilmente on line, l’omissione del rapporto per più in un quinto delle volte dovrebbe portare all’estromissione dalle liste successive (nel caso di parlamentari o consiglieri locali) o dagli organi di partito nel successivo congresso. Il rapporto finale di attività dovrebbe essere sottoposto al giudizio di approvazione della base del collegio o circoscrizione elettorale (per i parlamentari) o della regione (nel caso dei dirigenti di partito e, qualora non superato, porterebbe all’esclusione dalla successiva tornata elettorale o congressuale. Basta con i parassiti nullafacenti. Allo stesso modo, il bilancio del partito (o della Federazione), sia di previsione che consuntivo, deve essere pubblicato on line e sottoposto alla discussione dei militanti: vogliamo sapere come si spendono i soldi, quanto all’iniziativa politica, quanto ad un eventuale apparato, quanto alla stampa ecc. (Rifondazione ha speso cifre da capogiro per un quotidiano inutile, malfatto ed illeggibile e non letto da nessuno per anni: che non si ripeta più una cosa del genere. E per essere più chiari: se un eventuale giornale o sito o quel che vi pare, non va, si licenzia senza nessuno scrupolo, perché la gente deve guadagnarsi da vivere ed uno stipendio non è una sinecura.

6. Una sinistra radicale non è una sinistra un po’ più riformista dell’altra o che grida più forte. La sinistra radicale, soprattutto, deve mantenere il suo carattere anticapitalista, altrimenti che sinistra radicale è? E non funziona il metodo di rinviare l’alternativa di sistema ad un futuro lontanissimo e privo di verifiche, in attesa del quale accucciarsi placidamente ai piedi della sinistra “perbene”. Occorre tendere nel presente al massimo di destabilizzazione possibile del sistema. Ad esempio è il caso dell’Euro, ma qui non mi ripeto.

7. I voti non si fanno sugli slogan o su quanto sia fotogenico il sorriso del leader, si fanno sull’iniziativa politica articolata in campagne su obiettivi precisi (casa, fisco, occupazione, giustizia, democrazia economica, riforma universitaria ecc.) e sostenute con la più ampia gamma di forme di azione (referendum, proposte di legge di iniziativa popolare, manifestazioni, scioperi, class action, denuncia giudiziaria, controinformazione ecc.). Ovviamente sarebbe suicida disperdersi su tutto, soprattutto in mancanza o in scarsità di mezzi necessari (soldi, accesso ai mass media ecc.), quindi sarebbe opportuno scegliere un paio di campagne per volta e puntare su quelle, cercando di avere qualche risultato anche solo parziale. Ma per fare questo occorre avere idee chiare e saperle comunicare. E questo richiede che si riprenda a studiare e discutere. Qui non studia più niente nessuno se non a titolo personale. Ad esempio, perché non pensare ad un centro di elaborazione e studio della federazione di cui si diceva prima?

8. Il vecchio partito piramidale, con le vetuste procedure congressuali è una venerabile reliquia del passato, che ha reso ottimi servigi ma è superato già dagli anni settanta. Va da sé che ci vuole una articolazione territoriale e che il web non basta, ma è necessaria una cosa che integri le due cose. Sicuramente l’articolazione territoriale deve avere una sua strutturazione ai livelli delle istituzioni locali, che ci vuole un gruppo dirigente nazionale stabile e collegiale e che ci vogliono regole di garanzia democratica che difendano i diritti della base e delle eventuali minoranze. Detto questo dobbiamo trovare modi meno vetero: ad esempio, si ad assisi nazionali e regionali di discussione, ma basta con i congressi in cui io delego uno, che delega un altro, che delega un altro a eleggere (o fa finta di eleggere) il gruppo dirigente nazionale. Non va bene neppure il metodo delle correnti o delle “mozioni” che diventano partiti nel partito. Forse sarebbe preferibile, per la definizione della linea politica, procedere con referendum interni su singoli punti chiave e poi affidare alla mediazione in direzione nazionale la rifinitura di dettaglio o le questioni minori. Per l’elezione del gruppo dirigente si potrebbe evitare il metodo della proporzionale su liste di mozione e votare con candidature individuali e voto plurimo (da 3 a sei preferenze, per esempio), in modo da date più spazio alla scelta del singolo dirigente. Soprattutto una cosa: chiamare i militanti ad una partecipazione più attiva, il che significa basta alla routine. Basta con i festival di partito, con le attivazioni solo nei periodi elettorali e con gli iscritti che si riuniscono solo per decidere come fare affissioni, volantinaggi, banchetti ecc. Militanza non è sinonimo di manovalanza e, dunque, se pure una parte del lavoro di questo tipo certamente va fatta (e non farebbe male ai dirigenti parteciparvi ogni tanto), non è questo l’aspetto più importante della militanza. Quello che è essenziale è la partecipazione costante al dibattito politico, che è l’unico modo per mettere gli iscritti in condizione di avere le idee chiare e, quindi, svolgere azione di propaganda (per usare questo termine un po’ vintage). I circoli che si riuniscono solo per organizzare volantinaggi, affissioni ecc, vanno semplicemente sciolti ed i loro iscritti dispersi fra gli altri circoli.

9. Peraltro nel 2015, volantinaggi, affissioni, ecc sono un modo un po’ arcaico di fare propaganda: vanno già meglio i banchetti per strada, dove discutere con la gente e, se il militante è ben preparato, può fare utilmente lavoro di diffusione delle idee. Poi ci sono altre forme di comunicazione: le forme di spettacolarizzazione, le mostre, l’attività culturale di quartiere, l’animazione per strada… Ma poi, esistono i social forum, le mail, i blog per suscitare discussioni, comunicare un evento, diffondere notizie. Ma è mai possibile che i siti della sinistra radicale sano così poco seguiti? Non sarà che sono fatti male, non si sostengono a vicenda, non hanno supporto ecc ecc? Io non ho il mito del tutto on line che piace tanto ai miei amici cinque stelle, ma, nel 2015, non è possibile fare politica senza usare anche (ho detto anche, non solo) questa forma di comunicazione. C’è poi un’altra cosa che andrebbe riscoperta: la partecipazione alle assemblee nel proprio posto di lavoro. E magari ci sta anche il volantino distribuito all’ingresso per poi discutere nella pausa pranzo: perché no?

10. Allo stato attuale la gente che potrebbe essere interessata a campagne di sinistra radicale si distribuisce in tre direzioni: astensione, Pd e M5s. L’astensione è il bacino più grande, ma anche più eterogeneo, non organizzato e difficile da raggiungere se non attraverso i grandi canali di comunicazione ai quali, allo stato attuale, forse solo Sel può arrivare e per piccolissimi spazi. Quindi è l’area da cercare per ultima, quando si abbia la forza organizzativa per poterlo fare. Restano le altre due, con una differenza che impone atteggiamenti diversi. Il Pd è il partito di governo ed è un nemico cui sottrarre la maggior quantità di consensi possibile: dunque, il problema si pone in termini antagonistici e va esercitata la massima pressione per una sua scissione e poi si vedrà in quali forme e se possibile collaborare con i fuorusciti che, in ogni caso, non mi sembrano tanto radicali. Diverso il caso del M5s che è un movimento di opposizione, nel quale non pochi elettori e militanti sono persone che militavano in Rifondazione, Idv e Pd e se ne sono andate disgustate (con qualche ragione direi). Non sto proponendo liste comuni (che il M5s non accetterebbe) ma più semplicemente un dialogo basato su quella che Nenni chiamerebbe la “politica delle cose”: che facciamo per l’occupazione? Che ne dite di appoggiare questa campagna sulla casa o l’università? Possiamo organizzare una discussione comune sul problema della giustizia? Ci sta bene il vostro referendum sul tale problema, a voi piace la nostra proposta di legge di iniziativa popolare su quest’altro tema? Lo so che i 5stelle sono piuttosto chiusi e non sarà facile iniziare il discorso, ma su temi precisi e con una forza politica che abbia caratteri non “partitocratici” la cosa potrebbe diventare possibile. In ogni caso, questo sottintende che sia abbandonato l’attuale atteggiamento isterico ed infantile (sa tanto di sindrome da “rosicamento” per il successo avuto dagli altri) e, pur mantenendo le differenze di cultura politica e ruolo, questo potrebbe aprire una fase diversa di rapporti utile sia agli uni che agli altri.

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