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Sigmar Polke a Palazzo Grassi. Accrochage a punta della dogana

Negli ampi spazi di proprietà (palazzo Grassi) o in concessione (punta della Dogana) a François Pinault, uno tra i maggiori collezionisti di arte contemporanea del mondo, si sono di recente aperte, come succede ad ogni primavera, due nuove esposizioni. Fino al 6 novembre Palazzo Grassi presenta la prima mostra retrospettiva dedicata in Italia a Sigmar Polke, nato a Oels in Slesia, allora in Germania, oggi Olesnica in Polonia nel 1941 e morto a Colonia nel 2010. Artista fondamentale degli ultimi 50 anni, Polke ha rinnovato profondamente il linguaggio pittorico della fine del XX° secolo. Il suo incessante desiderio di sperimentazione riguarda tanto le immagini, quanto il supporto, coinvolto al punto di essere pienamente costitutivo della composizione, e ancora i colori di cui insegue le potenzialità sia fisiche che plastiche. Il suo approccio si sviluppa attraverso differenti media : la pittura, il disegno, la fotografia, la fotocopia, il film, l’installazione, che all’interno della sua opera si incrociano e arricchiscono vicendevolmente. Rivitalizza il potere sovversivo dell’arte, puntando alla destabilizzazione dei meccanismi di percezione e al rivolgimento dei generi e delle categorie.

La mostra intende celebrare una doppia ricorrenza : il decennale della riapertura di palazzo Grassi e il 30° anniversario della partecipazione di Polke alla Biennale di Venezia del 1986, dove aveva ideato una straordinaria installazione per il padiglione tedesco, “Athanor”, per la quale ricevette il Leone d’oro. Dall’opera emergono le tematiche dell’alchimia e della politica che fungono da assi portanti della retrospettiva. Anche se, nel rispetto per lo spirito dell’artista profondamente refrattario a ogni sistematizzazione e a ogni regola prestabilita, il percorso si emargina regolarmente da questo schema. Le circa 90 opere selezionate ripercorrono la carriera dell’artista, dagli anni ’60 agli anni 2000,e provengono sia dalla collezione Pinault, che da numerose collezioni europee pubbliche e private. Il visitatore si avvia verso il patio centrale all’ingresso e viene colpito da “Axial Age (2005-2007)”, un ciclo monumentale di sette dipinti, fra cui un trittico, esposto nel padiglione centrale della Biennale 2007. Considerato il testamento artistico di Polke, evoca l’intreccio tra visibile e invisibile e le differenze fra pensiero e percezione, in riferimento alla teoria di Karl Jaspers sull’età assiale. Dall’ammezzato al primo e al secondo e ultimo piano, la mostra si sviluppa secondo un percorso cronologico a ritroso dalla fine degli anni 2000 all’inizio degli anni ’60. Nella stanza centrale al primo piano troneggia “Hermes Trismegistus I-IV (1995)”, quattro pannelli di resina artificiale e lacca su tessuto in poliestere. Vi è raffigurato il padre fondatore dell’alchimia mentre regala le tavole della legge all’oriente. Interessante la sala centrale del secondo piano, dedicata a “Magische quadrate I-VII (1992)”, sette variazioni madreperlate sui quadrati magici e i pianeti. A seconda della posizione in cui si osservano, si colorano di tre tonalità diverse.

Fedele fin dagli esordi all’approccio critico nei confronti della società contemporanea, continua a realizzare dipinti dalla forte connotazione storico-politica. Nell’ammezzato è presente “PolizeiSchwein (1986)”, al primo piano “Amerikanisch-Mexikanische Grenze (1984)”. Nel primo, Polke ricrea un quadro in bianco e nero a soggetto politico, in cui la testa del poliziotto non esiste, mentre il maiale indossa il cappello del poliziotto. Il secondo affronta il drammatico problema delle frontiere (“il confine americano-messicano”). Entrambi furono esposti alla Biennale del 1986. E ancora al primo piano “Hochstand (1984)”, “torre di guardia”, sui campi di concentramento ; “Schiesskebab(1984)” sulle guerre fratricide dell’ex Jugoslavia, in cui sono ritratti bambini che giocano con le armi. Profondo conoscitore e studioso dell’arte antica, realizza “Ruhe auf der Flucht nach Agypten (1997)”, “riposo dalla fuga in Egitto, un dialogo tra astrazione e figurazione per il quale usa tele e tessili sorprendenti su cui applica lacche speciali. Singolare, al primo piano “Der Gartner (1992)”, “il giardiniere, quasi tre metri per tre, nella quale ingrandisce una piccola stampa di Durer e la riflette su due tele una di fronte all’altra. Per quanto riguarda i video all’ammezzato si può vedere “Farbe (colore)”, senza data (1986-92). Il film illustra l’approccio tecnico e creativo di Polke: l’uso della pittura, il lavoro sulle tele con pigmenti secchi colorati che si distribuiscono su tutta la superficie, mentre i liquidi trasformano e diffondono la pittura. L’artista comincia a lavorare tele di piccole dimensioni, “Farproben”, “prove colore” ed esposte in mostra, sulle quali applica una varietà di pigmenti, liquidi e pitture, indagando sui materiali e sulle loro reazioni chimiche. All’ultimo piano ci sono tre filmati, “Venice films” , girati in occasione dei preparativi per la Biennale del 1986. Polke oltre agli aspetti tecnici amò filmare anche la vita quotidiana di una città turistica per eccellenza come Venezia, allora, per fortuna, molto più vivibile di adesso, fermandosi a ritrarre i gondolieri, piazza san Marco piena di visitatori, e così via. Una menzione di merito a Elena Geuna e Guy Tosatto, curatori ed ideatori della mostra per la loro competenza che traspare anche dai due saggi nel catalogo Marsilio.

Fino a domenica 20 novembre, Punta della Dogana presenta “Accrochage”. E’ una mostra collettiva che raccoglie circa 70 opere di 30 artisti, 21 dei quali sono presenti per la prima volta in una mostra della Pinault Collection, mentre 9 sono artisti storici della Collezione.

Concepita specificamente per punta della Dogana, “Accorchage” occupa l’intero spazio espositivo del museo. Il visitatore è invitato a interpretare ogni opera con la propria sensibilità, sco­prendo, lungo le sale espositive, i rimandi tra le opere.

Per sviluppare il progetto, la Burgeois ha scelto di seguire alcune linee guida, come regole di un gioco, invece di concentrarsi su un tema, un periodo o un movimento artistico : “Ho voluto selezionare per lo più gruppi significativi di opere che sono la con­seguenza di un gesto o di un pensiero minimale e che evocano una ricerca del vuoto o una mise en abyme di un aspetto o di un momento della storia dell’arte. [...] Seppur molto diversi, questi lavori sono accomunati da una semplicità, un’apertura che in qualche modo dilata lo spazio dell’altro, dell’osservatore. Il titolo stesso della mostra, neutro, generico, quasi in disparte, lascia spazio anzitutto alle opere, limitandosi a suggerire: guardate. Le opere, da parte loro, incoraggiano l’osservatore a mettere in discussione ciò che ha davanti agli occhi, invitandolo a guardare invece di vedere, e creano uno spazio in cui l’emozione e la sensibilità sono importanti quanto la percezione visiva e il pensiero”.

Tra le diverse sale, da non dimenticare una sosta alla numero 20. Qui viene proiettato un cortometraggio “(Untitled) Human Mask”(2014), di Pierre Huyghe (Parigi, 1962), figura fondamentale della scena artistica francese e internazionale dall’inizio degli anni ’90. Il film mette in scena una scimmia che indossa una maschera ispirata alla tradizione del teatro No, porta una parrucca da donna e passeggia in un ristorante abbandonato, probabilmente nei dintorni di Fukushima. La scimmia lavora veramente come cameriera in un ristorante di Tokyo. Huyghe, affascinato dall’umanità dell’animale che si muove fra i tavoli, lo ha trasferito in un universo distopico dove “l’animale preso in trappola interpreta la condizione umana, ripetendo all’infinito un suono incosciente”.

 Giovanni greto

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