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"Sei un Inetto" : e nasce un attore

Duel: Eleonora Duse e James Dean

Forse è un paragone un po’ troppo azzardato, ma sicuramente le spiegazioni che sto per fornirvi credo che possano rendere la mia tesi, se non condivisa, almeno tollerata e concepita come un punto di vista differente, che si basa su fatti empirici. Credo che l’attore, inteso non solo come figura professionale, ma come entità artistica, nasca da una particolare attenzione per il mondo che lo circonda, e questo ne denota una attenta sensibilità che non tutti gli uomini ( e purtroppo nemmeno tutti gli attori contemporanei) hanno.

Una semplice premessa per parlare di due figure attoriali che nel corso degli ultimi due secoli hanno contribuito ad avvolgere l’attore di quell’aurea mistica, che negli “artisti” di oggi difficilmente possiamo riscontrare. Sto parlando dell’attrice italiana ottocentesca Eleonora Duse (1858-1924), e dell’attore hollywoodiano James Dean (1931-1955), rispettivamente attrice di teatro e attore di cinema, che apparentemente non hanno niente da condividere, ma che in realtà celano un sentire comune che sta alla base di una recitazione affine per causa ed estetica. Parliamo di due geni della pratica attoriale, che come direbbe Carmelo Bene (“il talento fa quel che vuole, il genio fa quel che può”) hanno fatto solo ciò che era concesso loro di fare. Entrambi muovono da un sentimento di crisi, di inettitudine all’interno della società.

La ricerca artistica della Duse parte da un senso di rigetto nei confronti dell’arte del tempo, nella quale la brama del denaro degli impresari teatrali e i gusti di puro intrattenimento da parte del pubblico (i teatri di varietà dell’epoca riscuotevano enorme successo) , si traducono nella mercificazione dell’arte e del teatro del tempo, inteso non più come specchio e quint’essenza della vita, ma come riflesso superficiale della società.

La situazione di James Dean parte da una complessa infanzia, della quale non riuscirà mai a dimenticarsi, e che condizionerà la sua breve, ma intensa, carriera: il piccolo James infatti a soli 7 anni perde sua madre e viene spedito da suo padre a Fairmount dove vivrà da quel momento in poi con gli zii, motivo per cui il rapporto di James con suo padre sarà caratterizzato da una forte conflittualità. Ed è qui che si avvicinano le strade parallele, ma differenti, dei due attori: il loro repertorio infatti si basa su una scelta ben precisa.

La Duse predilige i testi del borghese Dumas figlio, in cui le donne protagoniste da lei recitate, appartenenti al demi-monde, le si accostano per analogie del dolore. Le varie Margherita Gautier de “La signora delle Camelie” e Lionetta de “La principessa di Bagdad” infatti provano uno stesso sentimento di angoscia, nel quale l’attrice riesce ad identificarsi perfettamente, che viene trasmesso in una sorta di nevrosi.

 
L’attore hollywoodiano invece, nei suoi limitati ruoli ( inteso come numero di personaggi e non come intensità interpretativa), si è cimentato in personaggi afflitti da problemi esistenziali: da “Gioventù bruciata” a “La valle dell’Eden “ fino a “Il gigante”, sono uomini che si sentono estranei alla loro società, o che hanno problemi con la loro famiglia.
 
Ecco qui che si ritrovano le strade artistiche dei due attori. Da un punto di vista estetico, e quindi di esteriorizzazione dei loro sentimenti e di quelli dei personaggi, ciò che loro portano in scena è una interpretazione frammentata, in cui la titubanza e l’incertezza del modo di camminare e di parlare, sono espressione di dolore e rifiuto. La critica dell’ ‘800 infatti, parlando del modo di entrare in scena dell’attrice, diceva che “LEI” (era l’appellativo più diffuso per la Duse) “avanzava come se stesse camminando sui serpenti”. La Duse infatti nella suo estrema minimizzazione dei gesti e nella sua naturalezza, riusciva a catturare il pubblico che non poteva far altro che partecipare( ma non immedesimarsi) del dolore della donna/attrice. 

Di Dean invece, venne subito notata la sua incertezza nelle parlare, i suoi gesti quasi accennati e le sue modo di muoversi barcamenante, sinonimo di insicurezza. Ricordiamo una scena de “La valle dell’Eden” in cui Dean dona dei soldi a suo padre, frutto del suo duro lavoro come venditore di fagioli. Soldi che però non vengono accettati perché frutto di un lavoro sporco ai danni dei più deboli: qui parte una scena emblema del lavoro dell’attore. Si contorce, trema, parola tremanti quasi sospirate, che culminano in un pianto profondo che una corsa alla cieca verso l’esterno dell’ambientazione chiude, lasciando nello spettatore una sensazione non di tristezza, ma di incompletezza.
 
Due attori differenti per epoca, geografia e condizione sociale, ma sicuramente uniti da una tristezza d’animo, da cui scaturisce una recitazione insolita e “strana” (così fu definita la Duse ai suoi esordi), che ha lasciato però delle tracce nello studio di oggi della recitazione , dalla quale la storia del teatro e del cinema non possono prescindere.

(Nella foto Eleonora Duse in Cenere, 1916)

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