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Securitization: problema o soluzione?

Per chi non fosse pratico, la securitization è la cartolarizzazione (siamo esterofili, è conclamato). Essa permette alle banche di trasferire il rischio di credito (ossia il pericolo di non venire rimborsate, ad esempio per un mutuo) verso una controparte e di “portare a casa” liquidità.

Spesso si asserisce che la cartolarizzazione sia stata una tra le cause principali della crisi. Tuttavia, come spesso accade, la responsabilità non è dello strumento in sé, bensì dell’uso improprio che se n’è fatto.

Ma come funziona?

Essa è il processo di trasformazione di attività finanziarie normalmente non liquide (come mutui o crediti legati all’utilizzo di carte di credito) di piccolo taglio (intorno ai 100 mila $) in “cassa” per le banche, passando attraverso titoli obbligazionari negoziabili. 

Le attività non liquide, quando la cessione è totale, sono “girate” ad uno Special Purpose Vehicle (una Società di progetto: siamo esterofili, no?), se costituito, altrimenti ad un altro intermediario finanziario, il quale emette i titoli per “pagare” le attività ricevute dalla banca (detta anche asset originator). Questi ultimi, che sono dei bonds rated, cioè dei titoli che hanno subito un rating, una volta in possesso della banca, vengono negoziati sul mercato dei capitali, che è un mercato secondario liquido (ossia nel quale le negoziazioni si effettuano facilmente; un mercato secondario è quello su cui sono scambiati titoli dopo la loro emissione), e successivamente collocati presso gli investitori.

Le banche, infine, avvisano i propri clienti che le rate del mutuo saranno da pagare allo Special Purpose Vehicle (molto spesso i clienti continuano a versare le rate alla banca; sarà quest’ultima a girarle alla Società di progetto, addebitando una commissione).

La cassa che si genera da tali vendite è poi utilizzata dalla banca per gli scopi più diversi: credito al consumo, concessioni di ulteriori prestiti, e così via.

I vantaggi per la banca consistono nel trasferimento del rischio di credito sul mercato dei capitali, nell’aumento di liquidità e nella copertura da tale rischio.

Il procedimento regge fintanto che i prestiti impacchettati sono in bonis. Al contrario, nel caso si cartolarizzino prestiti in sofferenza, o quando i titoli emessi dallo SPV (aventi prestiti in sofferenza come sottostante) abbiano un rating non coerente col rischio connesso, si genera un azzardo elevato, che può sfociare in vere e proprie crisi, come dimostrato dai mutui subprime nel 2007.

A questo punto sorge spontanea una domanda: perché le istituzioni finanziarie hanno sentito la necessità di ricorrere a questo strumento?

La risposta è che i tassi di risparmio, nel mondo, tendono a flettere a seconda delle aree geografiche: diminuisce, pertanto, l’offerta di denaro a risparmio. Ne consegue una riduzione nella domanda di depositi in conto corrente e ciò ha generato una crisi del retail funding (la raccolta bancaria).

È facile capire, quindi, come la cartolarizzazione sia stata, per alcuni, un salvagente in un mondo in cui le banche non riescono più a raccogliere il denaro di cui necessitano.

Questa crisi ha dato luogo ad un cambiamento nel modello di banca, da “originate to hold” a “originate to distribute”. 

Il primo è il modello “classico”, in cui la banca fa raccolta presso il pubblico e, con tali proventi, eroga prestiti, dopo aver valutato il rischio di credito e messo in atto il sistema di controlli volto a scongiurare l’azzardo morale (il rischio che la controparte, una volta incassato il prestito, metta in atto operazioni più rischiose di quelle per le quali il prestito è stato concesso). La banca attende, quindi, la chiusura del debito a scadenza.

Il modello “originate to distribute”, proprio del periodo successivo alla contrazione della raccolta bancaria (di cui si è accennato sopra), consiste nel massimizzare la raccolta presso il pubblico, concedere i prestiti, ma non attendere la chiusura a scadenza: i prestiti sono infatti “girati” allo Special Purpose Vehicle. A questo punto, diviene un problema dello SPV monitorare e controllare il credito.

Ed ecco che si incomincia ad intravedere lo spettro del 2007: gli intermediari che erogavano i prestiti, a volte non valutavano accuratamente la capacità del mutuatario di rimborsare il debito, poiché potevano vendere rapidamente tali prestiti agli investitori sotto forma di titoli. È lampante, qui, il problema d’agenzia: gli intermediari non hanno a cuore gli interessi degli investitori, bensì il profitto derivante da tali operazioni.

Il problema d’agenzia è stato, inoltre, esacerbato da una normativa lassista, che non obbligava gli originator a trasmettere ai mutuatari le reali informazioni che li avrebbero aiutati a valutare la loro capacità di essere solvibili.

È chiaro che, cartolarizzando questi mutui “tossici”, si espone l’intero sistema mercato ad un rischio di enorme portata.

Un altro motivo per cui la cartolarizzazione si è rivelata uno strumento importante consiste nella sua correlazione col patrimonio di viglianza, il mix di fondi che ogni banca deve detenere per soddisfare i requisiti di vigilanza prudenziale, ossia tutte quelle norme tese a favorire una gestione prudente e sana. È una grandezza del passivo di bilancio da cui si parametra l’attivo della banca in termini di livelli minimi di patrimonio e di requisiti minimi di capitalizzazione legati all’ammontare dei rischi assunti.

Ma procediamo per gradi: gli obiettivi della securitization sono essenzialmente due, fare cassa e riqualificare l’attivo. 

La cassa è un’opportunità per la banca di riallocare l’attivo, ossia di diversificare nel caso in cui fosse troppo presente in un settore o di finanziare altre attività meno rischiose.

Perché invece è importante riqualificare l’attivo? È fondamentale in quanto, avendo ad esempio un alto rischio di portafoglio prestiti, si cerca di far pesare il meno possibile tali rischi in relazione al patrimonio di viglianza. Si “girano” questi prestiti rischiosi, in toto o in parte, e con la cassa che deriva dalla suddetta operazione si finanziano altre attività, più sicure, che richiederanno un minor peso in termini di assorbimento a livello del patrimonio di vigilanza.

In tempo di risorse scarse, si può capire l’utilità di “risparmiare” sul patrimonio di viglianza.

Dunque, la securitization non è una procedura da disapprovare, purché sia rispettata una certa sostenibilità rispetto alla singola realtà e al contesto di mercato. Fintanto che i prestiti cartolarizzati sono in bonis e che la cassa derivante dall’operazione è reinvestita con benefici per l’economia reale, non può che essere accolta con favore.

Viceversa, se usata come mezzo per perseguire il massimo profitto a scapito della salute del sistema economico, è da condannare. Ma non lo strumento, bensì la moralità di chi ne fa uso.

 

Bibliografia: 

F. S. Mishkin, S. G. Eakins, G. Forestieri, “Istituzioni e mercati finanziari”, Ed. Pearson

A. E. Omarini, “Retail banking: tra passato e presente. In direzione di quale futuro?”, in Banche e Banchieri, n. 2, 2013

http://www.borsaitaliana.it/

http://www.ilsole24ore.com/

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