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Se il Pdl si spacca

Mi hanno fatto una grande compassione quei ministri del Pdl costretti a dimettersi su comando del loro padre-padrone. Li ho guardati in faccia tutte le volte che ho potuto. Li ho visti rattristati, avviliti, mortificati, incapaci di dare una risposta chiara ai motivi della repentina crisi non anticipata a nessuno, ma maturata nel cervello del loro capo durante una probabile indigestione notturna. O forse una bella intossicazione.

Persino Cicchitto, l’azzeccagarbugli del Pdl si era permesso in una delle ultime riunioni con sua maestà di alzare il dito per chiedere parola, ma chi faceva gli onori di casa gli ha detto che se ne stesse rincantucciato e che semmai voleva parlare, lo facesse a cena. E altrettanta compassione mi hanno fatto tutti quei parlamentari dello stesso partito precettati a starsene a casa da un giorno all’altro. Forse il padre-padrone la notte precedente aveva mangiato veramente pesante e il pasto gli era andato di traverso. O forse aveva avuto un colpo di testa con un improvviso aumento della pressione arteriosa. E siccome non si sentiva le forze di reggere quel peso enorme sulle spalle, di tenere uno per uno gli onorevoli, per alleggerirsi se ne era scaricato dichiarando ai giornalisti che finalmente si sentiva più sollevato e gli erano spariti i conati di vomito. Roba da cose avariate. Una volta ripresosi con una buona dose di antidoto, com’era capitato grazie ad Agrippina per il proprio figlioletto pazzo, Nerone, ha reintegrato i parlamentari, ma, a quanto si capisce, non i ministri, rimasti ancora rigurgitati nel suo stomaco.

Il corpo luciferino che divora uomini, però, non l’ha raccontata tutta la sua malattia. È vero che è risalente nel tempo, ma nelle ultime giornate di questo inizio d’autunno, è stata sotto gli occhi di tutti e più si è avvicinata la data della riunione della Giunta delle Elezioni e delle Immunità parlamentari del Senato, più il paziente è stato male. Ma si proverà il oggi la cartina di tornasole, perché Letta, anticipando tutti in curva, ha detto chiaro e tondo che farà una verifica parlamentare e farà l’appello per il governo. Immagino già la voce dei presidenti di Camera e Senato in Parlarmento, quando chiamano gli onorevoli a votare, come il maestro chiamava gli alunni nella poesia di Marino Moretti “E le ore…Le ore non passavan mai”: “Il rimorso tenea tutto il mio cuore/ in quella triste libertà perduto,/ e l’ansia mi prendea d’esser veduto/ dal signor Monti, dal signor dottore./ Pensavo alla mia classe, al posto vuoto,/ al registro, all’appello (oh, il nome, il nome mio/ nel silenzio!) e mi sentivo come proteso nell’abisso dell’ignoto…”.

È abbastanza strano il comportamento di questi deputati e senatori del Pdl che come, marescialli di caserma fingono di darsi da fare davanti al loro generale, di fare gli interessi supremi della patria, mentre intendono per patria i ristretti confini delle loro famiglie. Che non sappiano (tipo Bondi, Santanchè e non pochi altri) dove stanno di casa gli italiani è infatti a tutti noto, perché se semplicemente pensassero a quanto costa la loro intransigenza di falchi (senza offesa per questi simpatici volatili), al bilancio dello Stato, alla sua credibilità, ai mercati, ai disoccupati, ai pensionati, agli esodati, alle madri di Niscemi, agli abitanti di Val di Susa, alla piccola e media industria ridotta senza un quattrino, all’euro, alla spesa pubblica e privata, all’inflazione e via dicendo, si dovrebbero cospargere la testa di cenere e recitare per il resto della loro vita il mea culpa, mea massima culpa.

Invece? Li vedi lì, passare davanti alle telecamere con la sicumera dei salvatori della patria e del loro capo preso in ostaggio, con l’aria dei cervelli pensanti alle grandi strategie politiche, in un momento in cui esplodono le cannonate che essi stessi hanno ordinato di sparare, e se ne stanno a sentire gli spari incuranti di aver ridotto le nostre piazze a campi di battaglia. Campi di silenzio prima del temporale, piazze senza anima e senza innamorati. Perché tali sono ormai le piazze italiane: spazi muti che si sono persino stancati di invitare alla protesta contro la follia di un manipolo di guerrafondai che a differenza dei No Tav che hanno un’idea per la testa, hanno il cervello vuoto e gli abiti di seta.

L’Italia che vivo è paranoica, mi pare consegnata da tutti a quattro pazzi che dicono cose ormai di un altro mondo, in preda al delirio dell’alienazione totale, servili ai loro capi che recitano sapendo di mentire e di fare teatrini. Perché? Quid prodest? A che giova? Una risposta c’è: agli accasati di Arcore, alle consorterie private. Perché, dopo vent’anni di promesse non mantenute e di pessima amministrazione, da Mangano a Berlusconi, da Dell’Utri alle accuse contro Bertolaso per non contare l’esercito dei corrotti e dei corruttori, si è venuto a formare un gruppo dirigente che ha stravolto la tradizione etica e culturale italiana. Rovesciandola. Sono i leccapiedi e i carrieristi, i palazzinari che ridono sotto un terremoto o un disastro naturale pensando ai loro arricchimenti futuri, ai paradisi fiscali. Sono i nominati per fare da cassa di risonanza e di difesa alla voce dei loro padroni, e, per dirla con Papa Francesco, i seguaci del dio denaro piuttosto che dell’uomo.

Un sistema di decadenza, come quella del tempo delle invasioni barbariche, al quale hanno fatto da sostegno tutti e dal quale non si può tirare fuori nessuno. Perché è troppo facile dire ora di essere diversi, quando lo stesso modo in cui lo si afferma denuncia la miopia di questi chiaroveggenti delle sventure altrui.

Letta non sa più neanche lui cosa vuole. Attende che il Pdl si spacchi. Quando il problema è la nascita di una classe dirigente seria e competitiva in Europa, con le idee chiare e pochi valori orientativi in testa. Francamente sarebbe risolutiva la nascita di un grande partito dei moderati. Ma i partiti non nascono dentro le forche caudine o sotto la spada di Damocle. Anche se dovessero durare un anno. È questo il problema? Grillo vuole le elezioni perché spera che in questo pantano possa vincere. Ma mi pare egoistica e irresponsabile questa posizione, ora. Supposto che si vada a votare il risultato elettorale non sarebbe molto diverso da quello che abbiamo già avuto e con ogni probabilità ci ritroveremmo nella necessità che abbiamo di costituire un governo con Grillo che dice sempre no e urla nelle piazze contro tutti. Perché in Sicilia gli hanno sempre detto che la ragione sta dalla parte di chi grida di più. Cosa a cui non credo. Tant’è che tutte le volte che qualcuno in Tv alza il tono della voce, cambio canale. Detesto la sicumera e chi la fomenta.

Il punto in cui siamo è questo: il Pd è responsabile di non avere nessuna identità e coesione come ha dimostrano la vicenda di Prodi. Ha preferito al voto l’incontro mortale con il Pdl di Berlusconi. Se si vuole liberare da questo fantasma abbandonandolo al suo destino come merita, lanci un appello di unità nazionale, e dia origine ad un congresso fondativo di una realtà politica: l’area o la federazione dei moderati progressisti. Il Sel tenti una cosa analoga con le altre forze della sinistra e il M5S smettendo di essere un partito sinologico, la finisca di considerare i suoi militanti a seconda del tasso di puzza che sentono, perché la cosa, a lungo andare, dà fastidio. Se poi l’obiettivo del genovese è quello di governare l’Italia da solo con i suoi nominati tramite Facebook, allora è bene che egli sappia che è un nemico peggiore di tutti gli altri, perché da soli si può al massimo fare un esercito Brancaleone. Ma quelli che lo componevano erano solo dei piagnoni e non dei soldati.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.163) 2 ottobre 2013 20:07

    Controluce >

    In molti s’interrogano sul filo conduttore delle mosse di Berlusconi. Da settimane il Cavaliere ha un solo pensiero fisso.
    Salvare, ad ogni costo ed in ogni modo, la sua ventennale carriera e la reputazione di leader politico di successo.

    Cosa può fare?
    Deve poter continuare a professarsi “vittima” di una ingiustificata e proditoria “persecuzione” giudiziaria opera di un “contropotere politicizzato”.
    Deve poi riuscire ad imputare al PD la volontà di “violare” perfino la Costituzione pur di “espungere” un avversario politico ed assecondare così una base elettorale “nutrita nell’odio”.
    Viceversa.
    Chiedere (o far chiedere) la grazia non risolverebbe i suoi problemi. Napolitano non potrebbe ripetere tale atto di clemenza nel caso di possibili future condanne per i processi tuttora pendenti. E l’idea di dimettersi gli suona come una mezza ammissione di colpa.

    Resta una sola chance.
    Berlusconi sa molto bene che la sua “credibilità” verrebbe irrimediabilmente compromessa ove fosse dichiarato “decaduto” da Senatore prima che Corte d’Appello e Cassazione abbiano sancito la sua “interdizione” dai pubblici uffici.
    Un dato è certo.
    In caso di eventuale “espulsione” Berlusconi non potrebbe controbattere negando che la maggioranza dei Senatori eletti rappresentino quella “sovranità” popolare a cui lui spesso si appella.
    Ecco l’ultima trincea.
    Ritardare il più possibile l’appuntamento con l’Aula del Senato.
    La storia insegna che la Febbre del Tribuno non conosce remore o limiti fino a …

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