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Scuola: tutti i problemi dell’ora di "approfondimento"

Il mondo della scuola riserva un ampio spazio di esplorazione dei suoi numerosi misteri. In questo caso, la lente d'ingrandimento cerca di far luce su quello dell'introduzione nella scuola media di un'ora di cosiddetto "approfondimento" in un curricolo di lettere precedentemente ridotto da 11 a 9 ore d'insegnamento settimanali. La ricerca etimologica e semantica riuscirà a chiarire questa strana vicenda o ne dimostrerà ulteriormente l'assurdità?

Forse non molti ci hanno fatto caso, ma il verbo “approfondire” e la corrispondente forma sostantivata “approfondimento” si presentano come parole scomponibili in un monema lessicale (“fondo”, dal latino “fundus”) e ben due monemi modificanti, costituiti dalle preposizioni latine “ad” e “pro”. La prima esprime generalmente direzione e/o fine di un’azione, mentre la seconda indica principalmente un vantaggio derivante dall’azione stessa. Etimologicamente parlando, ne consegue che si dovrebbe parlare in modo appropriato di “approfondimento” a tre condizioni: (a) se si tratta di un’attività di studio o ricerca che va effettivamente a fondo in una questione; (b) se essa persegue un fine preciso e (c) se da quest’azione deriva un vantaggio per chi la compie.

Ho fatto questa premessa linguistica per tentare di comprendere quale altro significato sia stato invece attribuito al termine “approfondimento“ nel vocabolario MIUR-Italiano, un’opera di cui molti docenti continuano purtroppo ad avvertire l’esigenza. E’ ormai da tre anni, infatti, che l’ultima riforma della scuola secondaria di primo grado (vedi DPR 89/2009), ha introdotto questa bizzarra incognita nell’equazione inventata per sconvolgere la cattedra di lettere nel triennio delle medie, sia per banale comodità di calcolo (8 per 2 fa18), sia per l’ovvia finalità di tagliarne comunque il personale. Da allora, docenti e dirigenti scolastici sono stati lasciati in preda al dubbio più profondo sulla sua funzione, utilità ed applicazione della famigerata “ora di approfondimento di lettere”, aggiunta alle 29 curricolari che gli alunni sono tenuti a svolgere settimanalmente. A tal proposito, vi consiglio caldamente di leggere un divertente quanto acuto articolo, pubblicato due anni fa sul blog di una spiritosa collega di lettere, ma da allora la situazione è ben lungi dall’essersi evoluta positivamente.

Lasciamo stare l’evidente impossibilità di fornire uno straccio di spiegazione logica sulla riduzione dell’insegnamento di ben quattro discipline fondamentali (italiano, storia, geografia ed educazione civica) da undici a nove ore, facendo però spuntare dalle rovine di questa decurtazione (66 ore in meno all’anno) siffatta, misteriosa, ora settimanale aggiuntiva di “approfondimento” delle medesime materie. Ciò ovviamente ha costretto parecchie migliaia d’insegnanti ad interrogarsi – senza peraltro venirne a capo…- su questo nuovo busillis ministeriale, angosciati in effetti molto più dagli aspetti pratici della questione (come diavolo formare le cattedre così modificate e quali docenti “gratificare” con questo nuovo dono del ministero?), che da interrogativi di ordine metodologico-didattico e/o da rivendicazioni relative alle loro stessa professionalità. Da tre anni, quindi, la creatività di presidi e professori si sta sbizzarrendo a cercare la soluzione meno devastante a questo problema, oscillando tra l’estremo maligno d’ipotesi passibili di condanna da parte dell’ONU per apartheid (cioè attribuire sadicamente agli ultimi arrivati il totale del monte ore di “approfondimento”, facendo loro svolgere 18 ore di lezione in 18 classi diverse…) e quello buonista di trovate il più possibile “salomoniche”, che comportano però complessi e spesso astrusi calcoli algebrici per cercare di spalmare questo scomodo pacchetto di ore sull’intero contingente dei prof di lettere, anche a costo di distruggere l’unitarietà e la coerenza della cattedra per la quale essi sono stati nominati, in base a concorsi e/o abilitazioni ad hoc.

Per uscire un po’ dalla querelle sul senso di questa modifica e dalla ricerca dell’interpretazione autentica delle successive circolari applicative del MIUR, allora, avevo ingenuamente pensato che analizzare semanticamente la parola in questione avrebbe potuto aiutarmi a capirne meglio il senso. Ho consultato allora dizionari cartacei ed informatici, per confrontarne le definizioni che, sommate a quanto ho detto in premessa, mi hanno fatto giungere a questa conclusione. Con “apprendimento” dovrebbe designarsi un’azione – mirata (ad) ed efficace (pro) – volta a studiare a fondo un argomento; ad analizzare i suoi aspetti; ad esaminare a fondo/sviscerare una questione, senza trascurare l’esigenza – altrettanto semanticamente fondata – di rendere più intensa e meno superficiale tale conoscenza.

Il guaio è che questa sintetica definizione non solo non ci aiuta a dare un senso all’introduzione dell’ “ora di approfondimento di lettere” nella scuola media ma, al contrario, ne svela impietosamente la totale assurdità. Essa, infatti, non sembra rispondere a nessuno dei tre requisiti connessi alla sua etimologia ed alle possibili spiegazioni di tale lemma. Non si tratta, secondo me, né di un intervento didattico che renda più profondo lo studio delle discipline letterarie né, tanto meno, di un’azione davvero mirata ed efficace . I sinonimi utilizzati dai dizionari (studiare a fondo, esaminare, analizzare, sviscerare…) avrebbero un senso, infatti, solo se a svolgere questa operazione fossero gli stessi docenti che svolgono le ore curricolari di lettere. Il ricorso ad altri insegnanti – al di là d’illusorie pretese e pie intenzioni di ‘coordinamento’ – a mio avviso rende di fatto impossibile approfondire l’insegnamento di qualcosa che non si conosce nemmeno e da cui non sia stato possibile, per esperienza diretta, trarre un adeguato feedback.

Prima ancora di come approfondire, a mio modesto avviso, sarebbe legittimo chiedersi perché approfondire, cioè a quale esigenza degli alunni sarebbe opportuno rispondere. In questo caso, viceversa, assistiamo da anni al disperato tentativo di dare un qualche senso ad un’intrusione del tutto immotivata nel processo educativo e didattico di un/a collega. Stando così le cose, le possibili soluzioni al problema sono state finora sostanzialmente due: (a) approfittare di quest’ora aggiuntiva per svolgere aspetti della programmazione ordinaria che spesso restano incompiuti o non svolti per niente, come l’educazione civico-sociale oppure l’analisi testuale; (b) introdurre di straforo nuovi contenuti alla stessa programmazione, come ad es. il latino oppure l’esercitazione alle prove nazionali Invalsi.

In entrambi i casi, però, mi sembra davvero difficile parlare di un vero “approfondimento”. Nel primo si tratta solo di un anomalo e spesso raffazzonato ‘recupero’ di pezzi del programma di lettere trascurati o poco sviluppati a causa della riduzione dell’orario d’insegnamento. Nel secondo, invece, o si lascia impropriamente spazio al docente ‘mordi e fuggi’ d’approfondimento la possibilità di andarsene per conto proprio, senza coerenza effettiva con le altre 9 ore di lettere, oppure lo si usa strumentalmente per fargli svolgere il ruolo di ‘trainer’ a quei test d’italiano che, anno dopo anno, stanno finendo col monopolizzare l’attenzione di scuole che, guarda caso, proprio sulla qualità dei loro risultati si preparano ad essere ‘valutate’.

Insomma, da questo mio tentativo di approfondire la questione emerge per absurdum tutta la superficialità e faciloneria di chi ci governa ma, lasciatemelo dire, anche di una classe docente che si sta progressivamente disabituando a riflettere sul senso del proprio lavoro e sulla modificazione genetica cui la scuola è stata sottoposta nell’ultimo decennio. Anche in questo caso, infatti, l’unica motivazione ufficiale delle controriforme governative è il solito ritornello “Ce lo chiede l’Europa”. Ma siamo proprio sicuri che la richiesta di rendere più efficiente e qualificata la scuola italiana abbia qualcosa a che vedere con operazioni come l’introduzione di un’ora anomala in un curricolo di lettere precedentemente mutilato? Per caso, non è che questa bruttura è solo il frutto, marcio, della solita “concertazione” fra sindacati e datori di lavoro, per strappare comunque dei risultati in termini quantitativi, trascurando del tutto gli aspetti qualitativi di questi compromessi?

Come mai, altrimenti, nessuno sembra accorgersi che, spezzetta oggi e spezzetta domani, la cattedra di lettere – che tanti docenti hanno tanto sudato ad ottenere – è stata ormai ridotta ad una sorta di bricolage didattico, sulla quale i dirigenti scolastici hanno carta bianca?

Sono domande serie ed impegnative, ma il mio – come quello della citata Murasaki – è solo un modesto blog e non una sede formale di discussione. Per adempiere questo compito, a dire il vero, non sono poi tanto sicuro che servano le solite tavole tra ‘esperti’ ed i dibattiti nei quali si recita abitualmente il solito, squallido, ‘gioco delle parti’.

Quello che è certo, comunque, è che questo argomento richiederebbe un ulteriore… approfondimento.

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