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Scrittori fra i banchi di scuola

Esistono degli eventi, piccoli, di quelli che spesso stentano a conquistare le cronache dei media, che apparentemente non incidono sulla storia o sui destini di una città, ma che invece cambiano le persone, perché riescono a svelare qualcosa che se pur esiste non sempre è visibile.

Uno di questi eventi si chiama La pagina che non c’era e si svolge in una scuola di Pozzuoli, al quartiere Toiano, uno di quei luoghi senza senso, costruiti lì chissà perché, che non sono periferia, non sono città, non sono campagna, non sono. Qui per due giorni, (il 17 e il 18 febbraio), si sono concentrati, giunti da alcune regioni di Italia e da moltissime scuole di Napoli e della Campania, una moltitudine di ragazzi fra i 16 e i 18 anni, attratti non da calciatori, tronisti, o casting per reality, ma da uno sparuto gruppo di scrittori, che si è recato lì per parlare con loro di lettura e di scrittura, per condurli dentro le pagine dei propri romanzi e per orientali negli spazi bianchi fra le parole.

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La pagina che non c’era è al contempo un mini-festival di letteratura e un concorso di scrittura creativa. L’idea di fondo, partorita da Diana Romagnoli e Maria Laura Vanorio, due insegnanti delle superiori, consiste nel riunire intorno ai libri i ragazzi delle superiori, superando la loro diffidenza nei confronti della lettura attraverso un gioco letterario in tre tempi. Dapprima il festival e quindi: l’incontro con gli autori di 4 romanzi selezionati dalle curatrici (Antonio Scurati, Andrej Longo, Marco Malvaldi e Viola Di Grado); i laboratori di scrittura creativa; l’incontro fra studenti di tutta Italia accolti in famiglia dagli studenti ospiti di Pozzuoli. Poi il concorso: la scelta da parte dei ragazzi di uno dei romanzi e la scrittura, nello stile dell’autore, di una pagina da “aggiungere” in una parte qualsiasi del testo scelto. Infine, a giugno, la premiazione delle pagine più belle, selezionate dagli stessi autori dei romanzi.

In un paese dove in un solo anno sono scomparsi quasi 800 mila lettori, tre quarti dei quali abituali e forti, di quelli che normalmente leggono almeno un libro al mese, beh che giovani minorenni si riuniscano in una terra lontana da tutto e da tutti al solo scopo di farsi “corrompere” dalla letteratura, pare già un miracolo di quelli veri. Ma quel che accade lì fra quei banchi di Pozzuoli è qualcosa di più, perché in qualche modo ha a che fare con alcune questioni che impattano con la dimensione del presente, con temi quali la reputazione degli organismi formativi, la pervasività dei media vecchi e nuovi, l’impoverimento della lingua, l’imbarbarimento dei comportamenti sociali.

E il ruolo che, in tutto ciò, la scuola potrebbe ancora avere, ma che non riesce a svolgere perché vittima di una serie incredibile di circostanze sfavorevoli: il susseguirsi di riforme grandi e piccole che la hanno mercantilizzata, distogliendo dagli obiettivi della formazione; la rottura del patto formativo fra scuole e famiglie; il dissolversi del ruolo sociale e comunitario degli insegnanti; o il fraintendimento sull’uso delle nuove tecnologie e del web nei processi di apprendimento. Naturalmente La pagina che non c’era non nasce per risolvere questioni tanto spinose e difficili, ma in qualche modo si incunea in esse, perché fissa degli obiettivi, pone dei problemi, affronta alcuni snodi, formativi, certo, ma anche sociali e, in senso più ampio, culturali.

Si preoccupa, ad esempio, di capire i motivi per cui i giovani non trovano interesse nei libri, rintracciandoli non tanto e non solo nel “facile colpevole” internet, quanto nel perpetuarsi nelle aule scolastiche di proposte di lettura che per i ragazzi risultano troppo inattuali nel lessico, nella sintassi, nelle storie che raccontano e nel modo in cui le raccontano. Si preoccupa, ad esempio, di rivitalizzare lo spazio di discussione dei giovani oltre la sfera del personale, de-virtualizzando le community e ricreandole nella realtà del festival, una sorta di piccola sfera pubblica a misura di minorenne, completa di opinion leader (gli scrittori), di sperimentazioni (i laboratori), di territori propri (la scuola).

È per questo e altro che La pagine che non c’era è un piccolo importante evento, perché sviluppa una progettualità, un’idea di relazione fra la quotidianità e la creatività, una prospettiva in cui la cultura e i suoi “prodotti” e le sue opere non sono più un elemento avulso alla vita di tutti i giorni, non sono più relegati in un ambito di straordinarietà, ma vivono nelle cose e nei fatti e hanno con essi un rapporto stretto e continuativo.

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