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Scintille, anime vagabonde: conversazione con Gad Lerner

"Con questo racconto cerco l’oggi, non il passato". Così dice Gad Lerner riguardo a Scintille, il suo libro presentato ieri al Festival Internazionale del Giornalismo a Perugia.

Un libro che parla di migrazioni e di un viaggio familiare sotto il segno di un caso benevolo, che ha portato Gad a concludere: “ho avuto una vita tanto fortunata da farmi superare da adulto le paure che avevo da ragazzino, un ragazzino col nome strano”. La storia della famiglia Lerner, raccontata nel libro che però, ci tiene a sottolineare l’autore, non è un’autobiografia, è un po’ la storia di tutte le famiglie che hanno lasciato il loro luogo d’origine per cercare una seconda casa, e in questo sta il suo interesse e la sua fecondità.

 
“Ho fatto un’operazione molto poco giornalistica – spiega l’autore - e molto ’femminile’. Partire da sè, mettere a nudo la propria intitmità a costo di provare imbarazzo e ragionare a partire dal proprio io sui perché, sulla relazione tra sé stessi e la storia a me è parso qualcosa di diverso dal narcisismo, una grande eredità del pensiero femminista”.

Abbiamo chiesto a Gad Lerner di riflettere insieme sui temi del suo libro.

Come mai ha sentito l’esigenza di scrivere un libro simile in questo particolare momento della sua vita? Che significato ha Scintille (in quanto titolo e in quanto opera letteraria) per lei e per i suoi lettori?

“Racconto una doppia storia di migrazioni della mia famiglia, e certamente questo ha una dimensione molto personale che avrei potuto tenere per me; non fosse che ho avuto la netta impressione che questa vicenda a volte sgradevole di incomprensioni familiari, incrocia davvero la storia del Novecento, sia nello sterminio ebraico alla metà del secolo scorso in Europa, sia nel conflitto mediorientale nello stesso periodo e anche dopo. Riflettere su come la grande storia si abbatte sulle famiglie mi sembrava una cosa che riguarda tutti e può interessare tutti, anche in questa dimensione difficile da esprimere in pubblico ma che tutti viviamo di relazione tra le persone che non ci sono più e quelle che restano. Scintille nella Qabbala ebraica è l’effetto che i mistici immaginano sia provocato dallo scontro fra le anime vagabonde, quelle che ci sono ancora e quelle che non ci sono più e le cose che non ci siamo detti.

Mi vengono in mente le parole di un grande personaggio che ha vissuto e ha raccontato con amore l’incontro tra culture diversissime anche attraverso la propria storia personale anch’essa dominata, come amava ricordare, dal caso. Tiziano Terzani, in una delle sue ultime interviste, disse: “Ho trascorso tutta la vita a cercare la verità inseguendo i fatti. Oggi ho scoperto che sono i fatti a nascondere la verità”. Che cosa voleva dirci?

“Forse voleva farci capire che noi giornalisti non dobbiamo accontentarci della provvisorietà dei fatti, che ci sono dei corsi storici, dei passaggi culturali che dobbiamo cercare di guardare anche dall’esterno; fermandoci un attimo, mettendo in dicussione noi stessi, guardando le nostre debolezze dentro la relazione con i fatti. Non siamo macchine, noi giornalisti, e trasmettere questo agli altri implica anche non vergognarci di dichiarare noi stessi, come nel caso di Tiziano Terzani anche attraverso l’esperienza del cancro, di cui parla nel suo ultimo libro”.

Come parlano oggi i media di dialogo tra le culture, e come potrebbero invece favorire un incontro di pace tra le civiltà?

“Ci vorrebbero più Tiziano Terzani nei giornali italiani, cioè più persone che hanno voluto girare il mondo, in particolare che hanno rivolto il loro sguardo a Oriente, alle terre della spiritualità, alle terre in cui la meditazione esce dalla furia dell’attualità e della contingenza, e allora ci si renderebbe conto che ci stiamo abituando, peggio ancora che viviamo una vera assuefazione all’inciviltà delle relazioni, all’illusione che coltivare la nostra minuscola diversità di clan possa salvarci o addirittura purificarci, quando in realtà è esattamente l’opposto.

 

[foto di Daniele Zibetti]

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