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Sanremo 2023: sono solo canzonette

Sanremo 23, il festival della desolazione. Che ne è del Festival della canzone italiana?

Presto detto: un caleidoscopio di espressioni verbali e no provocatoriamente volgari, messaggi diseducativi e una propaganda politica impropria e di parte a mezzo TV pubblica. Ma il piatto forte è nella diffusione di una morale “alternativa” e “disinibita” nel segno più o meno smaccato del gender fluid, dell’elogio di rapporti sessuali promiscui tra più persone e della pornografia (nel testo di una canzone), nonché dello sfoggio di un abito disegnato seguendo le forme del corpo, illudendo e alludendo al nude look.

La Ferragni, che lo indossava, ha motivato questa sua scelta affermando che «il corpo di una donna non deve mai generare odio o vergogna»: un calcio al pudore in nome dell’autoderminazione, che però non manca di contraddizione a partire da quella fatta notare da una lettrice del Giornale.it (del 9 febbraio, articolo a firma di Giuseppe De Lorenzo) la quale si è chiesta perché Amadeus non si presentasse “sul palco con una foto dei suoi genitali appiccicata proprio lì”, aggiungendo come punto di domanda se questo “sarebbe di buon gusto”.

Non si capisce neanche, se è di impegno civile che si tratta, perché non dovrebbero trovare spazio temi come quello del rispetto per la persona, senza se e senza ma, al di là delle etichette che gli si possano appiccicare addosso, a partire da quelle del gender, o anche della promozione della vita, visto che l’Italia ha gli indici più bassi al mondo di nati per donna. Il relativismo mostra, inoltre, un grosso limite quando si scopre che l’unico valore che resta in questa devastazione del senso morale comune è quello economico dei cachet per conduttori, ospiti e cantanti. Cosicché un Festival che dovrebbe essere della canzone (fors’anche perché di estro ce n’è poco!) si rivela sempre più il palcoscenico della trasgressione ostentata e ossessivamente ricercata per fare audience.

Si dice che Sanremo ha da sempre rappresentato la vetrina della società e del costume, riflettendo aspettative e sentimenti e preannunciando cambiamenti. Ma qui piuttosto denunciamo uno scollamento fra il palcoscenico e il Paese reale, fra una casta di teatranti e di influencer rimpinguati di lauti “compensi” e la gente che forse vorrebbe ascoltare delle canzoni per distrarsi un po’,

Negli anni ’60/70 tutto questo poteva preannunciare una nuova qualità di vita, nuovi valori da inventare e una rivoluzione da venire (che fosse politica o del costume poco conta), ma oggi che siamo alquanto disincantati e senescenti, restano solo macerie. Esse non sono tanto quelle del tempo, ma dell’illusione che sopravvive ancora in quelle tendenze, nelle mode sempre più estenuate, nelle canzoni che dovrebbero contenere messaggi nuovi, ma che non fanno che rilanciare luoghi comuni in salsa radical chic. Qui davvero ci sarebbe da dire: sotto il vestito niente!

Così, Sanremo si fa megafono dell’ultima ideologia nichilista in una rincorsa della destrutturazione fine a se stessa che non edifica né la nuova morale né, tantomeno, la libertà, ma un capriccio senza limiti, senza regole, che non è tanto oltre la legge e i tabù, quanto al di fuori della realtà. Una desolazione, insomma!

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