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Sanità: chi è povero, muore?

Il 1° luglio è apparso sul sito dell'Espresso online -suppongo anche altrove, ma magari altrove è stata trattata con toni meno sensazionalistici e accusatori- una notizia che ha fatto scalpore. Capeggia come sottotitolo: “Chi vuole curarsi deve pagare più di mille euro a settimana. È una violazione della Costituzione, ma il governo fa finta di niente”.

Detta così sembra che gli ospedali stiano buttando fuori i meno abbienti dalle corsie. Ehi tu, hai il diabete ma non hai 1000 euro? Fuori. Tu volevi un trapianto di cuore? Ma va là che al massimo puoi permetterti l'aspirina. Si specifica però che si tratta di malati oncologici. Ancora peggio! Vuoi vedere che per colpa della crisi facciamo morire nel dolore i malati di tumore?

Ma andiamo per ordine. La notizia sta nel fatto che il 27 maggio scorso l'AIFA (Agenzia Italiana per il Farmaco) ha approvato la messa sul mercato di due farmaci chemioterapici, il pertuzumab (Roche) e l'afibercept (Sanofi-Aventis). Ovviamente quello che fa scandalo è che siano a carico del paziente. Orrore! Sacrilegio! Attacco al diritto di salute! La casta! Le lobby farmaceutiche! Perché il problema ulteriore è che tutto ciò è accaduto in ottemperanza a una norma del novembre 2012 dell'ex ministro Balduzzi. Addirittura il Ministero della Salute? Ci sarà sicuramente qualcosa dietro!

Ma di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando per lo più di farmaci di seconda scelta, o farmaci che non guariscono né salvano dal cancro, ma allungano la vita di qualche mese. Certamente qualche mese vale molto per un malato oncologico, ma c'è di più: si tratta di farmaci “nuovi” sul mercato, dove “nuovo” non vuol dire sicuramente migliore, o innovativo, o più efficace, o peggio ancora rivoluzionario, semplicemente non ancora “prezzato”. Finora le direttive riguardo tutti i farmaci da somministrare in regime ospedaliero (come appunto i chemioterapici) prima di essere utilizzati dovevano avere l'approvazione specifica dell'AIFA, che mette in campo una trattativa con le aziende per stabilire il prezzo di mercato del nuovo farmaco. Durante questo periodo, come si può immaginare, il farmaco non risulta sul mercato italiano. Però esiste. E all'estero viene venduto. Quindi era prassi di molti ingegnarsi per acquistarlo rocambolescamente fuori Italia e usarlo prima dell'immissione sul nostro mercato.

Cosa è cambiato dunque, cosa ci dice realmente la notizia? Molto semplice. Che chi già pagava per comprare questi farmaci dall'estero perché in Italia erano illegali ora li paga comunque, ma nella farmacia sotto casa. La necessità di un periodo di trattativa al riguardo mi sembra talmente scontata da non essere messa in discussione. Il fatto di dover acquistare (sempre di propria tasca!) all'estero era una complicazione, che con questo decreto sembra essere bypassata. Insomma a me pare piuttosto un piccolo, minuscolo caso in cui la burocrazia veniva snellita, aggirata a favore del cittadino. E invece si grida allo scandalo.

Quindi si tratta di tutto fumo e niente arrosto? Nì. Una cosa sfugge spesso alla considerazione della popolazione generale. I farmaci costano. Hanno un valore intrinseco che deriva dalla ricerca, dall'impegno di chi ha sperimentato il preparato nei vari step necessari all'approvazione, dalla costruzione e dal mantenimento dei laboratori altamente specializzati necessaria a produrla (e sì, anche dallo stipendio del poveraccio che ha passato 5 anni chiuso in un laboratorio per perfezionare la molecola, perché qui nessuno vive gratis, il lavoro onesto va pagato). 

E allora, chi paga? Perché qui il problema non è ammettere prima o dopo in Italia un farmaco, il problema sta nella nostra mentalità del “tutto, subito e gratis”. Noi siamo mentalmente abituati male, o meglio troppo bene, a pensare che lo Stato o meglio l'SSN (Sistema Sanitario Nazionale) ci fornisca le migliori cure, nel minor tempo e sempre (quasi) gratis. Eppure magari facciamo due cicli di antibiotici a 10.000 euro ciascuno. Oppure subiamo un'operazione di sostituzione di una valvola cardiaca, il cui mero corrispondente artificiale (senza esami pre-operatori, ricovero, retribuzione del primo, secondo, terzo operatore, del ferrista, degli infermieri, degli OSS...) è di circa 5000 euro. E non paghiamo noi. Beh questo è ormai diventato non un diritto ma un privilegio. Noi siamo fortunati.

Viviamo in un sistema sanitario che ha scelto di essere basato sull'universalità e gratuità. Ma non per forza di cose questo principio può essere applicato sempre e comunque. Perché se vuoi che un lavoro sia fatto bene o spendi tanto o devi essere disposto ad aspettare. E se vuoi spendere poco devi accettare di avere il lavoro fatto meno bene o in più tempo. Solo due su tre. Quindi il nostro sistema non è totale, non copre cioè alcune prestazioni (ad esempio l'assistenza odontoiatrica). In sanità (come credo in ogni ambito) bisogna operare delle scelte. Non si può avere tutto.

Sarebbe giusto? Più che altro sarebbe stupendo. La Sanità a costo zero. Il sogno di ogni igienista e direttore sanitario. Però non si può. Quindi riassumendo: per poter garantire a tutti ogni prestazione urgente, salvavita, necessaria al mantenimento della salute, bisogna gestire al meglio i fondi, da che ne deriva, che qualcuno uscirà scontento, e si sentirà tradito dal suo Stato, vittima di un'ingiustizia. E avrà anche ragione, ma sarà grazie al suo scontento che il sistema avrà funzionato per altri mille.

Perché il lavoro di chi programma, gestisce e organizza i vari aspetti della sanità pubblica non è fare tutti contenti, ma raggiungere il migliore compromesso possibile. Ancora (molto) lontano dalla perfezione. Ma ci stiamo lavorando. Intanto accedere a farmaci prima disponibili solo all'estero, anche se a pagamento, a me sembra un buon inizio.

 

di Chiara Gavioli

Questo articolo è stato pubblicato qui

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