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Salvini e gli irregolari: tra fact checking e cherry picking, vince la manipolazione

La narrazione del ministro dell’Interno sul tema dell’immigrazione è stata finora incentrata sulla sua figura di difensore dei cittadini italiani dall’invasione degli stranieri. Ma come ogni narrazione costruita ad arte per attrarre consensi, anche questa non può che seguire il vento della politica e adeguarsi secondo convenienza.

di Vitalba Azzollini

Dunque, cosa ha escogitato stavolta Salvini, accusato di essere inefficiente nei rimpatri dei migranti irregolari – “una seria ed efficace politica dei rimpatri risulta indifferibile e prioritaria”, era scritto nel contratto di governo – per arginare il rischio che quest’accusa possa nuocergli elettoralmente? Semplice: se il numero dei migranti non si riduce con i rimpatri promessi, per ridurlo basta fornire con totale nonchalance nuove stime del numero dei migranti presenti nel Paese.

Ed è proprio ciò che ha fatto il ministro. Egli stesso, sin dallo scorso anno, aveva parlato di 500.000 irregolari presenti in Italia (numero ribadito nel contratto di governo) e la cifra era avallata dai principali centri studi (Ispi e Ismu) che si occupano di immigrazione: ebbene, il titolare del Viminale ora fa marcia indietro e parla di 90.000 stranieri irregolari.

Prima di chiarire ciò che appare come una sorta di gioco di prestigio, giova fare un passo indietro per riprendere il filo del discorso. In un post di due mesi fa circa si era dimostrato come, per continuare a narrare l’emergenza dei migranti irregolari, e così alimentare il proprio consenso, il ministro li creasse “in casa” mediante alcune norme del decreto-legge cosiddetto sicurezza (convertito in legge nel dicembre scorso). Infatti, eliminando uno dei permessi di soggiorno (protezione umanitaria) già previsti, tale decreto rendeva irregolari molti stranieri. Nel post citato si rilevava come una della cause concorrenti all’aumento di coloro i quali si trovano illegittimamente nel Paese fosse il mancato aumento dei rimpatri.

In altri termini, mentre cresce il numero di quelli che non hanno titolo a restare in Italia, non aumenta il numero di quelli che vengono riportati nei luoghi di provenienza. Nella narrazione salviniana questo dato doveva restare quanto più nascosto: tant’è che – come scritto nel post menzionato – mentre il dato sugli sbarchi viene aggiornato quotidianamente sul sito del ministero dell’Interno, non così il dato sui rimpatri, cui non viene data alcuna trasparenza.

I numeri di questi ultimi sono stati di recente richiesti al Viminale da Lorenzo Borga: dalla risposta emerge che i rimpatri eseguiti nel 2018 (6.820) non sono stati molto superiori a quelli relativi al 2017 (6.514), e nel mese di gennaio 2019 ne sono avvenuti solo 506. Si tratta di numeri molto lontani da quelli promessi in campagna elettorale. Del resto, riportare in patria coattivamente i migranti irregolari non solo è un’attività oltremodo costosa – “un rimpatrio può arrivare a costare anche 8.000 euro a migrante (…), per 500mila irregolari, servirebbero circa 4 miliardi di euro” – ma servono altresì accordi con i paesi di provenienza: invece, il ministro non ha stipulati nuovi accordi e, soprattutto, mancano proprio quelli con gli Stati da cui partono oltre la metà degli stranieri arrivati nel 2019.

Detto tutto questo, come si arriva al numero di 90.000 irregolari dato da Salvini? La spiegazione la fornisce Matteo Villa (Ispi). Innanzitutto, l’arco temporale indicato dal ministro è molto circoscritto (parte dal 2015), poiché esclude dal calcolo degli irregolari i circa 200.000 immigrati sbarcati fra 2013 e il 2014.

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