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Roma: la tentazione del Cavaliere…

Ormai, dopo la sceneggiata delle dimissioni poi ritirate, poi le dimissioni in massa dei consiglieri Pd, poi la proposta di lista unica anti M5s (l’uscita più divertente del 2015) eccetera, di quello che succede nel consiglio comunale di Roma si dovrebbe parlare nella pagina degli spettacoli. Comunque, cerchiamo di parlare seriamente (proviamoci).

In teoria, si dovrebbe votare in primavera e si immagina in contemporanea a Milano, Napoli, Bologna e Torino. Il che ne farebbe un test nazionale di prima importanza, trattandosi delle quattro maggiori città italiane, più un’altra delle prime dieci). Nelle altre città, il Pd probabilmente avrà difficoltà (soprattutto Milano), ma, alla fine, è possibile che tenga o abbia un risultato dignitoso. In qualche caso può addirittura aumentare. Dunque un test che, salvo sorprese, può segnalare complessivamente un Pd stabile o in contenuta flessione: niente di drammatico.

Il guaio è Roma, dove il Pd rischia di andare sotto il 20% e restare fuori del ballottaggio. E’ la Capitale ed un capitombolo del genere avrebbe sicuramente riflessi nazionali, se poi ci si aggiungesse un risultato mediocre a Milano, la partita delle politiche apparirebbe compromessa. Per cui non è da escludere che il Pd voglia votare il più in là che si può, un po’ per far dimenticare questo sfascio un po’ per fiaccare una eventuale lista Marino concorrente, un po’ per avere tempo di riorganizzarsi e prender fiato.

Con la scusa del giubileo, ci sarebbe la scappatoia per superare il dicembre 2016 e votare nei primi del 2017, magari insieme alle politiche anticipate. Sin qui Renzi ed i suoi hanno giurato che si voterà in primavera, ma si fa presto a cambiare idea.

Nel frattempo, un commissario nominato per l’ordinaria amministrazione si muove ed opera come un qualsiasi sindaco eletto dal popolo. Ormai la Costituzione, debitamente rilegata, può servire come oggetto d’arredamento.

Comunque ragioniamo a ”bocce ferme” come se si dovese votare fra sei mesi. Ragionevolmente saranno in ogni caso in campo i candidati delle due forze nazionali, Pd e M5s, cui si aggiungeranno le tre M: Meloni, Marchini e Marino.

Il primo problema è cosa farà Berlusconi. Lui ha già fatto un endorsement per Marchini che, però, si è precipitato a dire che correrà da solo non apparentandosi né con il Pd né con Berlusconi, ma con una frase ambigua “Si ai voti di Berlusconi”. Il che può significare che accetterebbe i voti di Fi al secondo turno, ma senza concedere apparentamenti, oppure che accetterà i voti sin dal primo turno ma senza apparentarsi. Il che significa che Fi non dovrebbe presentare il suo simbolo sin dal primo turno e dare indicazione di voto per Marchini da fuori. Questo, unitamente alle pressioni di FdI ed interne a Forza Italia lo ha inditto ad un rapido ripensamento (“Marchini è arrogante”).

Il fatto è che Marchini non è arrogante ma, saggiamente, rifiuta l’ “abbraccio della morte” del Cavaliere: ha costruito la sua immagine come candidato della società civile, non può allearsi ad uno dei due partiti di sistema e, per di più, a quello che sta affondando. Dunque ok ai voti di Fi, ma Berlusconi stia dietro le quinte ed eviti di farsi sentire, anzi meglio se resta fuori del teatro.

Però, a Marchini, paradossalmente, i voti servono più al primo turno che al secondo: se arriva al ballottaggio con il M5s, può sperare che Pd e destra votino per lui, piuttosto che consegnare la città agli odiati grillini. Se invece il ballottaggio fosse con il Pd, meglio ancora: M5s e destra non voterebbero mai Pd e la vittoria sarebbe ancora più certa. Dunque, il problema di Marchini è superare il primo turno. Alle scorse elezioni comunali la sua lista ottenne il 10%, è presumibile che questa volta cresca, anche per effetto del disastro della giunta Marino, ma non è detto che questo basti. In primo luogo, c’è da tener conto che, se è vero che il Pd è in caduta libera e la destra è dimezzata, però è anche vero che in più ci sarà una lista Marino ed il M5s è in crescita. Dunque una competizione a cinque con relative liste e candidati di supporto. Dato che il totale deve sempre fare 100% e non può essere il 150%, questo significa che anche per Marchini la strada è in salita. Un sondaggio gli attribuisce il 20% (per quel che valgono i sondaggi), mentre dà il 17% al Pd, ma è possibile che Sel sarà con il Pd e che magari raccattando un po’ di centro (Alfano, Casini, Sc eccetera) non è difficile che il Pd possa superare il 20% ed arrivare al secondo turno. Insomma, la promozione al secondo turno è tutta da decidere, per cui a Marchini il “soccorso azzurro” del Cavaliere serve da subito, ma come evitare che un abbraccio troppo stretto possa costargli più di quanto gli porti.

Berlusconi ormai non ha più un grande seguito elettorale da spostare, però quel gruzzoletto dell’8% che ancora ha, forse non basta a far vincere Marchini, ma è abbastanza per mettere fuori gioco la Meloni che resterebbe al palo di quel 15% di partenza. Il Cavaliere ha anche offerto “generosamente” alla Meloni la candidatura alla presidenza della regione Lazio, ma la Meloni non gradisce ed ha minacciato sfracelli. Però sarebbe sufficiente che Forza Italia non affiancasse il suo simbolo a quello di FdI e la Meloni sarebbe fuori corsa. Magari Marchini potrebbe essere affiancato da una lista di Forza Italia travestita da civica, oppure Berlusconi potrebbe mettere una dozzina di candidati “tira voti” nella lista di Marchini. Al resto penserebbe la dinamica del “voto utile”: opportuni sondaggi dimostrerebbero che Marchini sarebbe l’unico candidato anti M5s e Pd. Magari le reti Mediaset sarebbero generosi megafoni in questo senso, pompando Marchini ed oscurando la Meloni. In questo modo, il Cavaliere potrebbe pensare di portare il suo candidato al 23-24%e passare il turno.

Se l’operazione riuscisse, pur con il sacrificio della lista di Fi, il Cavaliere avrebbe:

-ridimensionato la Meloni ed indirettamente anche Salvini, che dovrebbero rientrare nei ranghi di alleati cadetti e non aspirare più al posto di capofila

-dimostrato che senza di lui, dei suoi soldi e delle sue televisioni, non si va da nessuna parte

– che, se non è più spendibile come “king”, può sempre essere l’unico “king maker” della destra.

All’eventuale successo romano, potrebbe seguire lo scioglimento di Forza Italia (un brand ormai inservibile) e la nascita di un nuovo partito di “centro” intorno al neo sindaco di Roma Marchini, raccattando anche un po’ di roba in casa Ncd (il passaggio di Quagliariello e della Di Girolamo vanno esattamente in questo senso) poi potrebbe accogliere Tosi, magari recuperare anche Fitto ecce cc. E magari avere una formazione più spendibile per le politiche. Il Cavaliere è bravo a rinascere dalle sue ceneri e, se ormai non è più spendibile come leader di prima fila, potrebbe sempre cercare di essere il presidente-ombra di una nuova aggregazione di “moderati”. Lo sappiamo: il Cavaliere darebbe qualsiasi cosa per tornare ai fasti di un tempo, ma forse ha capito anche lui che non è più possibile e ha un mucchio di interessi da salvare: deve perfezionare l’acquisto Rizzoli e sviluppare l’operazione, deve salvare “Che banca!”, deve finire il pasticcio del Milan, deve governare la partita della divisione fra i figli, deve affrontare i prossimi processi e ce n’è uno in particolare che gli dà molto fastidio…

Insomma, anche se non più in prima fila, gli converrebbe essere fra quelli che contano. La tentazione potrebbe tornare: c’è ancora tempo per il voto e magari Salvini va a schiantarsi con il suo “fermare l’Italia”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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