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Rom a Milano: oltre la diffidenza, tante voci per l’integrazione

Vivono ai confini della città, spesso in condizioni difficili, tra sgomberi forzati, carenze di servizi indispensabili e pregiudizi diffusi. Per “dare cittadinanza” a queste persone sono attivi però gruppi e associazioni di volontari che lavorano in più direzioni: se ne è parlato venerdì sera in un incontro al quartiere Adriano, a pochi metri dal campo di via Idro che ospita numerose famiglie di rom italiani.

Si fa presto a dire nomadi. Si fa presto a dire campi. Termini, questi, che trasmettono un’idea di precarietà e passaggio; a Milano ci sono però insediamenti rom regolarmente autorizzati dall’amministrazione comunale, con famiglie che ci abitano da più di vent’anni, che hanno trovato un lavoro e mandano i figli a scuola nel quartiere. E’ il caso della comunità di via Idro 62, all’estrema periferia nord-est, della quale fanno parte circa 130 persone. “Siamo a tutti gli effetti cittadini italiani, solo che viviamo in modo diverso”: a parlare è Marina che, in rappresentanza dei rom di via Idro, ha aperto con il suo intervento il dibattito pubblico - venerdì sera al quartiere Adriano - organizzato da gruppi della zona 2 impegnati sul territorio con molte iniziative concrete; tra questi, le associazioni Villa Pallavicini ed elementare.russo, il Comitato Forlanini, l’Osservatorio sui razzismi e la Fondazione Casa della Carità.

Rispetto alle situazioni dei campi dislocati in altre aree metropolitane, quella di via Idro potrebbe sembrare relativamente tranquilla, perlomeno un po’ più “stabile”. In realtà il destino di chi vi risiede è tutt’altro che sicuro, soprattutto da quando grava sui suoi abitanti la minaccia di allontanamento che, in base a recenti disposizioni, potrebbe scattare per chiunque abbia alle spalle sentenze passate in giudicato, pur risalenti a tanti anni fa. Inoltre, se ci sono cittadini disposti a investire tempo ed energie per favorire convivenza e integrazione, c’è anche chi i rom sotto casa proprio non li vuole e raccoglie firme per smantellare il campo.

Le testimonianze presentate durante l’incontro hanno esteso il discorso ad altre realtà, ancora più drammatiche. Come quella di via Forlanini dove, in un minicampo che ospita circa 25 rom, sono stati effettuati 15 sgomberi in due anni, nonostante l’impegno quotidiano di un attivissimo gruppo di sostegno. Un provvedimento risolutivo brutale e traumatico, quello degli sgomberi, diventato ormai prassi comune: ne fanno le spese soprattutto i bambini che sono in molti casi costretti ad abbandonare la classe dopo un faticoso inserimento, annullando i progressi compiuti, anche per quanto riguarda l’avvicinamento ai coetanei e alla collettività. In via Rubattino, non lontano da Lambrate, è capitato che alcune famiglie rom venissero allontanate anche cinque volte in un solo giorno. Lo racconta un gruppo di mamme che, insieme alle maestre, svolgono un lavoro continuativo e intenso per aiutare i piccoli rom a frequentare la scuola, nonostante la mancanza di mezzi.

Una storia a parte è quella di via Triboniano, il campo più popoloso di Milano e anche il più carente dal punto di vista di spazi e servizi. Avrebbe dovuto essere chiuso definitivamente già alcuni mesi fa, perché si trova proprio sulla strada dell’Expo 2015, cioè sulla via di accesso all’area su cui questo dovrebbe sorgere. Nel preventivare la chiusura della struttura non è stato preso però in considerazione, nella sua globalità, il futuro di chi vi abita. Ai rom erano state inizialmente destinate venti case Aler, da ristrutturare e assegnare attraverso la mediazione della Casa della Carità (contratto stipulato con tanto di firma da parte del Comune e della Prefettura). Il progetto si è però interrotto a metà strada e le famiglie che sono rimaste escluse dall’assegnazione hanno iniziato un procedimento legale che ha dato loro ragione. A parte quelle dell’Aler, ci sono comunque a Milano migliaia di abitazioni sfitte: perché non includerle in un piano che favorisca anche chi è stato sgomberato?

Da una periferia all’altra, il problema rimane complesso, le esperienze portate avanti con successo (come quella del Comune di Buccinasco, dove è stato organizzato un campo molto ben tenuto) si scontrano con l’eterna paura del diverso, la più dura da sconfiggere. E non va neppure dimenticato che i rom stessi, pur se disponibili alla collaborazione, trovano spesso difficoltà nel riconoscere le regole della società; anzi, la loro cultura li ha portati per secoli a crearne una parallela rispetto a quella dello Stato che li ospita. Oggi in Italia, contando le diverse etnie, ne sono presenti circa 140.000, non tutti in insediamenti legali: e c’è sempre chi li guarda con sospetto e si domanda “ ma è vero che i rom rubano?”. Generalizzazioni, luoghi comuni e pregiudizi allontanano le soluzioni; tragedie come quella recente di Roma - la morte di quattro bambini - riportano invece alla realtà, fanno vedere queste persone come una fascia debole della popolazione che l’amministrazione di una grande città ha il dovere di tutelare. Non demandando ancora una volta il grosso del carico all’infaticabile universo del volontariato.

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