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Rivolta nel Cpr a Ponte Galeria dopo il suicidio di un migrante

La protesta nel Cpr di Ponte Galeria a Roma è scoppiata domenica dopo il suicidio il giorno prima di un 22enne della Guinea. Un episodio su cui la procura di Roma ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio

 

La disperazione che spinge un giovane a togliersi la vita. E da lì la rivolta dei compagni di permanenza nel Cpr alla periferia della Capitale. La protesta è scoppiata appunto dopo il suicidio all’alba di un ragazzo di 22 anni Sylla Oussaaa, ospite della struttura. In seguito al suicidio, gli altri migranti detenuti hanno dato vita a una rivolta contro le pessime condizioni cui sono costretti nella struttura, lanciando anche sassi contro le guardie e la polizia che è intervenuta. 14 di loro sono stati arrestati.

La Procura di Roma ha avviato una indagine per istigazione al suicidio in relazione alla morte. Il fascicolo è coordinato dal sostituto procuratore Attilio Pisani che affiderà l’incarico per effettuare l’autopsia sul corpo del 22enne.In base a quanto ricostruito il giovane, che era arrivato nel Cpr dalla Sicilia da pochi giorni, si è suicidato impiccandosi con un lenzuolo. Gli inquirenti acquisiranno le telecamere di videosorveglianza presenti all’interno del Centro oltre al messaggio lasciato dal ragazzo prima di uccidersi.

La rete Mai più lager – NO ai CPR sui canali social pubblica le parole che Sylla Oussama ha lasciato scritte su un muro del CPR di Ponte Galeria a Roma prima di togliersi la vita: l’altra notte, con una corda appesa alla cancellata in cortile sotto la quale era solito dormire, morendo abbandonato senza soccorsi, pensando a sua madre e all’Africa.

Il riferimento all’inizio è forse ad una casa famiglia presso la quale era stato ospitato da minorenne, per poi diventare come molti, irregolare una volta cessato il sostegno dello Stato per i minori? Ancora sappiamo troppo poco di lui e già tanti sono gli interrogativi, anche sul come sia possibile che una persona così fragile fosse stata considerata idonea da qualche medico ad essere in un CPR, e sulla tempestività dei soccorsi, dei quali a breve meglio vi diremo.
 
Intanto, queste, per esteso, le sue parole, sul muro di un CPR di Roma:
 
Sylle Ousama Kaza famiglia di Santa-Angelo a Kassino.
Se un giorno dovessi morire, vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta.
I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro.
L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me.
Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace
 «Il Cpr è il luogo meno adatto per chi soffre di disturbi psichici, come per Sylla», dice l’avvocato Giuseppe Caradonna. Il legale era stato informato della situazione di Sylla Ousmane quando il 21enne guineano si trovava nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Trapani-Milo, lo scorso autunno. Non ha avuto modo di incontrarlo: per la polizia si trattava di un soggetto troppo difficile e c’erano problemi di sicurezza. «Perciò ho chiesto una relazione alla psicologa del centro. Dopo averla acquisita ho scritto al questore chiedendo il trasferimento in una struttura idonea. Mi ha risposto che nel Cpr era seguito e che l’Azienda sanitaria provinciale (Asp) di Trapani aveva accertato la compatibilità con la permanenza nella struttura. Questa cosa mi ha lasciato perplesso», continua Caradonna.

Il Post riporta che il centro di Ponte Galeria è considerato da tempo uno dei CPR più problematici in Italia, anche se quasi ovunque in questi centri sono documentate violazioni sistematiche dei diritti umani. Il CPR di Ponte Galeria in particolare è attivo dal 1998 e ha una capienza da 125 persone. L’ultima rilevazione disponibile risale al marzo del 2023: allora c’erano 95 detenuti, 90 uomini e 5 donne.

Nei primi anni il CPR di Ponte Galeria fu gestito dalla Croce Rossa, ma già allora la struttura era considerata carente e poco organizzata. Un rapporto del 2005 dell’associazione “Medici per i diritti umani” documentava diverse lacune dell’ambulatorio medico locale. Nel 2010 l’allora prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro auspicò la chiusura del centro perché a suo dire non rispettava «la dignità umana». Nel dicembre del 2013 una decina di detenuti si cucì la bocca con ago e filo per protestare contro i tempi di permanenza nel centro: queste storie finirono su tutti i giornali.

Nel tempo le condizioni del CPR di Ponte Galeria non sono migliorate. Un video girato nel 2019 da Fanpage mostrò stanze estremamente sporche e materassi appoggiati sul pavimento. Ancora oggi nel centro manca l’acqua calda ed è disponibile un solo telefono per comunicare con l’esterno. Nel 2023 la senatrice Ilaria Cucchi visitò due volte il CPR di Ponte Galeria, scrivendone così sulla Stampa:
 
[Le persone detenute] vivono in gabbie, talvolta nel loro sterco, senza possibilità di comunicare con l’esterno. Sopravvivono giorno dopo giorno in attesa di poter capire il perché della loro condizione. Sono abbandonati a se stessi e, se si ammalano, è veramente un grave problema. Sembrano polli in un allevamento intensivo con la differenza che, soffrendo spesso la fame, non ingrassano. […] Vengono loro somministrate quantità industriali di psicofarmaci per farli star buoni, ‘perché così non disturbano’. Tutto ciò viene praticato al 90 per cento di quei detenuti senza pena.

 

L’estrema facilità nel prescrivere psicofarmaci era già stata segnalata da Medici per i diritti umani nel loro rapporto del 2005, ma è una pratica che prosegue tuttora. Una lunga inchiesta di Luca Rondi e Lorenzo Figoni pubblicata nell’aprile del 2023 su Altreconomia mostrava che nel CPR di Ponte Galeria la spesa per gli psicofarmaci rappresentava il 51 per cento di quella totale per i farmaci: fra i CPR esaminati era una percentuale superata soltanto da quello di Milano, il cui ente gestore qualche mese fa è stato sequestrato dalla procura per la carenza dei servizi offerti nella struttura.

Da diversi anni il CPR di Ponte Galeria è gestito da ORS Italia, un’azienda svizzera che ha strutture di accoglienza e detenzione per migranti anche in Svizzera, Germania e Austria. La gestione problematica di alcuni suoi centri, su tutti quello di Traiskirchen, in Austria, è stata oggetto di diverse inchieste giornalistiche.

Le condizioni degradanti in cui vengono detenute le persone all’interno dei CPR italiani sono documentate da diversi anni dalle associazioni che si occupano di diritti umani e migranti, oltre che da inchieste giornalistiche e giudiziarie.

Il governo italiano guidato da Giorgia Meloni all’inizio del suo mandato promise di aprire un CPR in ogni regione italiana, e nella legge di bilancio per il 2023 stanziò a questo scopo circa 19 milioni di euro. Poi il decreto-legge sull’immigrazione approvato dopo il grave naufragio di migranti a Cutro, in Calabria, snellì le procedure per realizzarne di nuovi. Al momento, scrive Eleonora Camilli sulla Stampa, i CPR attivi sono 8: oltre a quello di Ponte Galeria ci sono quelli di Bari, Brindisi, Caltanissetta, Potenza, Gorizia, Nuoro e Milano. «La capienza teorica di queste strutture è di circa 1.300 persone, nella realtà sono utilizzabili per la metà dei posti», aggiunge Camilli.

Secondo una stima approssimativa dell’associazione “Mai più lager – No ai CPR”, Sylla è il quarantesimo detenuto che si suicida dentro a un CPR dalla loro istituzione nel 1998 (negli anni hanno cambiato nome diverse volte).

Il commento a Radio Onda d’Urto di Riccardo Magi, parlamentare e segretario nazionale di +Europa che è stato in visita nel Cpr nelle ore successive il suicidio. Ascolta o scarica e di Teresa Florio, avvocata, della rete No Cpr e del Naga. Ascolta o scarica

Foto da Pexels

Questo articolo è stato pubblicato qui

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