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Rifugiati siriani, l’altra faccia dell’accoglienza della Turchia

La Turchia ospita la metà dei 3,2 milioni di rifugiati fuggiti da violenza, persecuzione e altre violazioni dei diritti umani in corso da oltre tre anni in Siria.

Finora, le autorità di Ankara hanno dichiarato di aver speso 3,2 miliardi di euro per fare fronte a questa crisi. Nel frattempo, alla fine di ottobre 2014, solo il 28 per cento dei circa 400 milioni di euro sollecitati dalle Nazioni Unite nel suo appello per i rifugiati siriani è stato garantito dai donatori internazionali.

Insieme a Libano, Giordania, Iraq ed Egitto, la Turchia ospita il 97 per cento dei rifugiati siriani. A fronte di questo impegno e dell’onere finanziario che comporta, la riluttanza dei paesi ricchi a dare maggiore assistenza finanziaria alla crisi dei rifugiati e la risibile offerta di posti per il reinsediamento sono deplorevoli.

Il governo di Ankara dice di tenere i confini aperti ai rifugiati siriani che si recano ai valichi ufficiali. Secondo un rapporto diffuso ieri da Amnesty International, tuttavia, di valichi del tutto aperti ce ne sono solo due, lungo un confine che si estende per 900 chilometri. E anche a quei due valichi, chi è senza passaporto viene regolarmente rimandato indietro, a meno che non manifesti urgenti necessità di tipo medico o umanitario.

I valichi di frontiera ufficiali, inoltre, sono irraggiungibili per i rifugiati siriani che fuggono dalle zone dove sono più aspri i combattimenti. Molti non hanno altra opzione che intraprendere attraversamenti irregolari nei pressi delle zone di conflitto, il più delle volte affidandosi a contrabbandieri. Spesso le guardie di frontiera reagiscono con la forza.

Come nel caso di Ali, 14 anni, colpito alla testa da un proiettile nella notte tra il 18 e il 19 maggio 2014, mentre si avvicinava al confine con altre nove persone. A 10 metri dal confine, hanno sentito persone parlare in turco. Ali ha avuto paura e ha deciso di tornare indietro. A quel punto, è stato centrato, senza alcun preavviso né colpo in aria. È rimasto completamente cieco.

Da dicembre 2013 ad agosto 2014, Amnesty International ha registrato almeno 17 persone uccise dalle guardie di frontiera turche mentre cercavano di attraversare valichi di frontiera non ufficiali. Molte altre persone sono state picchiate e respinte verso la guerra.

Questo accade alla frontiera. Dentro, non va meglio.

Del milione e 600 rifugiati siriani in Turchia, solo 220.000 vivono nei 22 campi ufficiali e ben attrezzati, che attualmente si trovano al massimo della capienza. Oltre 1,3 milioni di siriani sono lasciati a se stessi. Secondo fonti del governo turco, inoltre, solo il 15 per cento dei rifugiati siriani che non si trovano nei campi ufficiali riceve assistenza dalle agenzie e dalle organizzazioni umanitarie.

Il rapporto di Amnesty International racconta la storia di “Ibrahim”, 10 anni, e la sua famiglia sono fuggiti da Aleppo nel 2012 e sono arrivati a Kilis, all’interno della frontiera turca. Vivono in un bunker di cemento. Per sopravvivere, lui e suo padre raccolgono la plastica dai contenitori dell’immondizia, ricavando una lira turca (0,36 euro) per ogni mezzo chilo di plastica. “Ibrahim” ha raccontato ad Amnesty International che ogni giorno si sveglia alle 6 di mattina per terminare di lavorare alle 4 di pomeriggio. Ogni tanto, trova il tempo per imparare a leggere e a scrivere da un imam locale. Nessuno degli altri nove bambini della famiglia va a scuola.

La maggior parte dei siriani fuggiti dalla guerra è senza speranza. Sono persone abbandonate a se stesse dalla Turchia e dalla comunità internazionale. I paesi più ricchi del pianeta tirano il freno a mano quando si tratta di contribuire finanziariamente od offrire posti per il reinsediamento.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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