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Rifugiati: dopo Mare nostrum, l’Unione europea si prenda le sue responsabilità

Un anno dopo i naufragi al largo di Lampedusa, in cui annegarono oltre 500 persone, un nuovo rapporto di Amnesty International, diffuso ieri mattina, denuncia che la vergognosa mancanza d’azione dei paesi dell’Unione europea ha contribuito all’aumento delle morti nel Mediterraneo.

Il rapporto, intitolato “Vite alla deriva: rifugiati e migranti in pericolo nel Mediterraneo centrale”, descrive le conclusioni delle recenti visite effettuate dall’organizzazione per i diritti umani a Malta e in Italia, compresa una ricerca svoltaa bordo di una nave della Marina militare italiana.

Attraverso interviste a persone sopravvissute ai naufragi e colloqui con esperti e autorità, il rapporto evidenzia i pericoli cui vanno incontro le persone in fuga dai conflitti del Medio Oriente e dell’Africa, dalla persecuzione e da una povertà estrema. Stipati su imbarcazioni insicure da scafisti senza scrupoli, ogni settimana centinaia di persone ondeggiano tra la vita e la morte, tra la speranza e la disperazione.

Nel 2014, oltre 130.000 rifugiati e migranti hanno attraversato la frontiera meridionale europea via mare. Quasi tutti sono stati soccorsi dalla Marina italiana, nell’ambito dell’operazione Mare nostrum (il totale di quelli salvati dal 18 ottobre 2013 al 18 settembre 2014 è di 138.866). La maggior parte di essi era salpata dalla Libia, un paese tormentato dalla guerra.

Nonostante lo sforzo unicamente italiano (il cui unico contributo dagli altri paesi dell’Unione europea è arrivato dalla Slovenia, con una nave), dall’inizio dell’anno oltre 2500 persone partite dall’Africa del Nord sono annegate o disperse nel Mediterraneo.

Che Mare nostrum non potesse essere una soluzione a lungo termine, era chiaro dall’inizio. Ora che l’Italia ha annunciato la sua progressiva chiusura, sarà indispensabile uno sforzo comune europeo per realizzare quella che è e resta una responsabilità comune dei paesi dell’Unione europea: salvare vite umane, offrire protezione a chi fugge dalla guerra e dalla persecuzione etnica e religiosa.

La recente proposta di affidare tale responsabilità a Frontex, l’agenzia dell’Unione europea per i controllo delle frontiere, sarà un passo positivo solo se gli stati membri metteranno a disposizione mezzi adeguati e se le operazioni si svolgeranno in acque internazionali con un mandato nettamente focalizzato sulla ricerca e il soccorso.

Le operazioni di ricerca e soccorso in mare non risolveranno mai il problema, sottolinea il rapporto di Amnesty International, se non verranno assicurati più percorsi sicuri e legali verso l’Europa per chi fugge dai conflitti e dalla persecuzione. Questo può essere fatto attraverso il reinsediamentoi programmi di ammissione umanitaria e l’agevolazione dei ricongiungimenti familiari, nonché mediante una revisione dei regolamenti di Dublino riguardanti la gestione delle domande d’asilo nell’Unione europea.

Una revisione dei regolamenti di Dublino è ormai indispensabile. Questa normativa, secondo la quale lo stato dell’Unione europea di primo arrivo è responsabile dell’esame delle domande d’asilo, pone un onere iniquo a carico dei paesi impegnati nelle operazioni di soccorso, gli stessi che devono poi provvedere alle necessità di lungo termine delle persone soccorse.

http://asiloineuropa.blogspot.it/2011/04/regolamento-dublno-ii.html

Malgrado i pericoli e le misure dell’Unione europea per tenerli a distanza, i rifugiati e i migranti continueranno a rischiare la loro vita e quella dei loro figli per fuggire da paesi di origine devastati dalla guerra. Gli stati dell’Unione europea non possono girarsi dall’altra parte e abbandonarli al loro destino.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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