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Resistere, non violentemente: come contrastare il terrorismo e la guerra?

Un contributo alla lettura degli avvenimenti che stanno infiammando l'Occidente ed una proposta di strategie alternative per resistere alla barbarie del terrorismo, ma anche dell'escalation bellicista e militarista. Resistere nonviolentemente significa non lasciarsi condizionare da paura e diffidenza, opponendo una reazione di segno opposto, che non alimenti la spirale della violenza ma risulti efficace e vincente. Avvalendosi dei contributi di vari studiosi in materia, si cerca di tratteggiare questa strategia nonviolenta per fronteggiare terrorismo e guerre. 

 

1 . “Non avrete il nostro odio…”

Ogni volta che ci troviamo a fronteggiare fatti tragici – come quelli di Parigi dei giorni scorsi – la prima reazione è quella di protestare con forza, di urlare il nostro sdegno contro qualcuno o qualcosa che riteniamo responsabile di quell’episodio. E’ una tentazione comprensibile, del tutto umana, che ci serve anche per sfogare la rabbia ed il senso d’impotenza che ci pervadono davanti allo scempio assurdo di vite umane, ma anche di fronte alla minaccia che sembra abbattersi sulla sicurezza e la vita quotidiana di gente come noi. Questo misto di umana compassione e di vago autocompatimento ci portano allora ad imprecare contro i ‘barbari’ che non rispettano nessuno e non si fermano davanti a nulla. Il fatto è che nelle vittime innocenti degli attacchi terroristici come quello di Parigi noi tutti ci ritroviamo un po’ riflessi, come se improvvisamente ci accorgessimo di quanto fragile è la nostra rete di protezione e di quanto ci troviamo esposti a qualsiasi minaccia, perfino nelle nostre vecchie, care ed inquinate città europee.

L’elemento fondamentale, però, è la percezione che quella minaccia ci viene da ‘fuori’, da un mondo che ci è estraneo e che, nonostante tutto, ci sta ormai maledettamente vicino, al punto da condividere apparentemente la nostra stessa quotidianità, salvo poi esplodere improvvisamente e violentemente come una maledizione, come una mina calpestata per caso.

La seconda reazione, pertanto, è quella di guardarci intorno, per cercare solidarietà, aiuto e protezione reciproca, alla ricerca – a quel punto piuttosto tardiva - di un’unità che sembra potersi realizzare solamente in forma di coalizione contro un nemico comune, proprio come fanno gli anticorpi quando combattono un agente infettivo, un corpo estraneo, un elemento nocivo.

Anche questo tipo di risposta, istintiva e molto umana, ci mette comunque in una posizione di difesa, di protezione della nostra stessa sopravvivenza come persone e come comunità, e quindi di reazione contro chi insidia le nostre già malferme sicurezze, sfidando sempre più da vicino il nostro modello di sviluppo e di convivenza civile, lo stile di vita che ci contraddistingue, i punti fermi politico-sociali cui noi occidentali restiamo ancorati, anche se più per pigrizia mentale che per fedeltà ai principi dei ‘padri fondatori’. Ciò che ne deriva è l’ovvio appello affinché ‘noi’ restiamo uniti, fermi e determinati davanti a ‘loro’, ai nemici che ci minacciano così platealmente e, per sovrappiù, con la sprezzante sicumera di chi è talmente convinto delle proprie idee da potersi far esplodere insieme a decine di detestati ‘infedeli’.

Abbiamo assistito, purtroppo ancora una volta, all’accavallarsi di dichiarazioni vibranti, testimonianze toccanti, anatemi terribili e, ovviamente, promesse impossibili da concretizzare e retoriche affermazioni di forza e saldezza. Al coro dei pur legittimi e condivisibili richiami a ‘resistere’ a questa barbarie, non accettando di lasciarsi intimidire e contrapponendo la reazione della ripresa della normalità alla paralisi della paura, si sono infatti aggiunte tante voci sgradevolmente stonate, provenienti da tanti governanti che farebbero bene a riflettere sulle loro pesanti responsabilità nell’escalation del terrore, ma anche da sciacalli politici che si affollano sempre intorno ai cadaveri, speculandoci su.

Una delle dichiarazioni più toccanti e profonde di cui abbiamo avuto notizia, viceversa, è stata postata sul profilo facebook di un signore francese – Antoine Leiris – il quale ha perso l’amata compagna di vita in quel micidiale e cieco scoppio di violenza terroristica. “Vous n’aurez pas ma haine” (Non avrete il mio odio)– ha scritto Antoine in modo fermo, asciutto e privo di retorica, rivolgendosi direttamente a chi gliel’aveva strappata in quel modo assurdo. Non gli interessa sapere chi è stato; sa solo che sono delle ‘anime morte’, gente che uccide ciecamente in nome di quel Dio il cui cuore sta invece trafiggendo con le stesse pallottole che hanno colpito la moglie.

“Allora non vi farò il regalo di odiarvi. Voi lo avete ben cercato ma rispondere all’odio con la collera sarebbe come cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi ciò che siete. Voi volete che io abbia paura, che guardi i miei concittadini con occhio diffidente, che sacrifichi la mia libertà in cambio della sicurezza. Avete perso […] Siamo due, mio figlio ed io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo […] (Lui) ha appena 17 mesi, si prepara a mangiare il suo cibo come tutti i giorni, poi andremo a giocare come tutti i giorni e per tutta la sua vita questo bambino vi farà l’affronto di essere felice e libero. Perché no, non avrete più il suo odio.” [1]

In queste nobili parole, piene di dignità e coraggio civile, penso che si possa e si debba racchiudere l’unica risposta sensata alla violenza cieca di chi crede di servire una causa ma sta solo causando un servizio alla logica spietata della guerra.

2 . Come contrastare il terrorismo e la guerra?

In un editoriale, il Movimento Nonviolento ha giustamente contrapposto la nonviolenza alla barbarie, prendendo atto che ormai la guerra non è qualcosa cui assistiamo dai nostri teleschermi, proprio come fanno i ragazzi con i videogiochi, bensì una realtà tragicamente vicina e palpabile.

“Ed eccola qui, la guerra. E’ arrivata anche alla porta accanto. Con il suo orrore, il terrore, il sangue, i corpi morti. Quando la vedi con i tuoi occhi capisci davvero perché è “il più grande crimine contro l’umanità”. E’ un’unica guerra che si mimetizza in varie forme, che si ciba dello stesso odio e defeca la stessa violenza. E’ sempre la stessa cosa, compiuta da eserciti addestrati, ben armati, finanziati, le cui vittime sono soprattutto i civili innocenti.” [2]

Sì, è proprio vero: piangere i morti ed esprimere solidarietà non serve a nulla se tutto continua ad andare per la vecchia e perversa strada della risposta violenta alla violenza, perpetuando una tragedia che accompagna l’umanità da millenni. Reagire si deve, ma bisogna farlo evitando di ripercorrere quella solita storia, che vuol dire ricadere nella tragica spirale della risposta bellica.

Bisogna reagire, ma in modo creativo e costruttivo, a chi ha fatto della morte e della distruzione il suo unico progetto di vita. Senza dimenticare però che se tutto ciò è diventato possibile è anche perché la nostra avidità di potere e di risorse ha reso un inferno vivere in certi territori, al punto tale che morire per una causa pseudo religiosa può diventare l’alternativa ad una vita normale cui non si ha diritto. Come ci ricorda il Movimento Nonviolento:

“Il terrorismo e la guerra (che è una forma di terrorismo su vasta scala) si contrastano con strumenti altrettanto forti, ma con spinta contraria. Siamo anche noi dentro il conflitto, e lo dobbiamo affrontare con soluzioni opposte a quelle perseguite finora. L’alternativa oggi è secca: nonviolenza o barbarie.” [3]

E evidente - anche se nessuno ce lo dirà ufficialmente – che la strategia delle risposte violente al terrorismo risulta del tutto fallimentare, come ha giustamente sottolineato in un suo articolo Pasquale Pugliese. D’altronde, se il fine ultimo delle azioni terroristiche è quello di renderci tutti più feroci e spietati, anche in questo caso la nostra risposta non può che essere negativa. Chi semina morte indiscriminatamente ed in nome d’un fanatismo integralista non deve avere il nostro odio, perché non deve riuscire ad imbarbarire anche noi. Basta solo che non presumiamo di essere i ‘buoni’ che lottano contro i ‘cattivi’, perché questo ruolo di vittime innocenti possiamo riconoscerlo a chi si è visto stroncare la vita mentre assisteva ad un concerto o mangiava in un ristorante, non di certo a coloro che – ufficialmente o di nascosto – per anni hanno alimentato conflitti insanabili, vecchi odi e contrasti, ricorrendo spregiudicatamente al traffico di armi ed all’addestramento di mercenari e spie.

“In Europa ci siamo illusi di poter fare guerre ovunque e vendere armi a tutti senza subirne le conseguenze. Abbiamo giocato col fuoco e ci siamo bruciati. Oltre a bruciare, ogni anno, centinaia di miliardi di euro in spese militari “ scrive Pugliese, che così conclude la sua analisi:  “La via da seguire è quella della nonviolenza. Sul piano personale e su quello politico. La via del diritto, della cooperazione, del dialogo, delle alleanze con chi in ogni luogo cerca la pace, della riduzione drastica della produzione e del traffico di armi, dei corpi civili di pace per affrontare i conflitti prima che diventino guerre,della polizia internazionale per fermare chi si pone fuori dal contesto legale dell’Onu. Il terrorismo e la guerra (che è una forma di terrorismo su vasta scala) si contrastano con strumenti altrettanto forti, ma con spinta contraria. Siamo anche noi dentro il conflitto, e lo dobbiamo affrontare con soluzioni opposte a quelle perseguite finora. L’alternativa oggi è secca: nonviolenza o barbarie. Anzi, ancora più secca, intelligenza o stupidità.” [4]

La verità, per citare un altro articolo apparso in questi giorni, è che: “La violenza è il problema, mai la soluzione”, ed infatti anche questo nuovo terribile massacro è frutto della “violenza brutale, alimentata dall’odio, dall’intolleranza, dalla discriminazione, dal fanatismo e dalla vendetta.” [5]

La voce ‘terrorismo’ del “Dictionnaire de la Non-Violence” – curato dall’Institut de recherche sur la Rèsolution Non-Violente des Conflicts di Montreuil (Francia) ci offre altri spunti di riflessione:

“Di fronte al terrorismo, sia gli Stati sia l’opinione pubblica danno prova d’un indignazione selettiva, che tende a banalizzare le altre forme di violenza. Certo, il terrorismo non merita alcuna compiacenza ed i suoi metodi sono effettivamente criminali. Certo, il terrorismo ammazza degli innocenti, ma la guerra non ucciderebbe forse che i colpevoli? […] Il discorso etico della nonviolenza, il giudizio etico condotto sul terrorismo, deve essere ugualmente guidato dagli stessi criteri fondamentali di quelli cui ci si riferisce abitualmente per giudicare la violenza. Il discorso che condanna il terrorismo avrà tanto meno forza e coerenza se, d’altronde, giustifica altre forme di azione violenta, che non sono meno mortifere e che possono essere altrettanto criminali.” [6] 

3. Strategie nonviolente anti-terrore

Il fatto è che, di fronte al bagno di sangue di Parigi, non bastano le dichiarazioni di principio. La gente si aspetta che dal movimento pacifista vengano parole chiare, proposte alternative, strategie efficaci e non solo giuste. In un articolo pubblicato nel luglio del 2014 su vari periodici, fra cui Peace Worker, una ricercatrice per la pace dell’università di Portland (USA) aveva già cercato di proporre una strategia in tre fasi per un ‘antiterrorismo’ nonviolento:

“Per prima cosa, smettere immediatamente d’inviare finanziamenti ed armamenti a tutte le parti coinvolte […]Dieci anni di terrorismo e noi pensiamo ancora che le nostre armi non stiano cadendo nelle mani ‘sbagliate’? Quelle in cui esse cadono sono già ‘sbagliate’. Se vi serve un buon esempio, date un’occhiata ai nostri beniamini, l’Esercito Siriano Libero ed alle loro plateali violazioni dei diritti umani, come l’utilizzo di bambini soldato, documentato dall’Osservatorio sui Diritti Umani (HRW) nel 2013 e 2014. Secondo, investire pienamente in iniziative di sviluppo sociale ed economico in ogni regione in cui sono impegnati gruppi terroristi[…] Se vogliamo indebolire ISIS ed ogni altro gruppo impegnato in attività terroristiche, dobbiamo cominciare a concentrarci sulle esigenze cui essi danno risposta in quelle comunità. Le comunità locali in una regione dovrebbero essere auto-sostenibili ed i civili dovrebbero sentirsi messi in grado di provvedere a se stessi e alle loro famiglie senza ricorrere alle armi o usare violenza. In terzo luogo, sostenere pienamente tutti gli eventuali movimenti di resistenza nonviolenta della società civile. […] Erica Chenowet e Maria Stephen, nel loro innovative studio del 2011 sulla resistenza civile - intitolato “Perché la resistenza civile funziona”- hanno rilevato che: “…tra il 1900 ed il 2006, le campagne di resistenza nonviolenta, sono state capaci quasi in misura doppia di conseguire pieno e parziale successo, rispetto alle loro controparti violente…” [7] 

Ho già affrontato la questione in un mio precedente articolo dello scorso aprile, nel quale ho cercato di delineare una posizione ecopacifista nei confronti della sfida del terrorismo islamista, ma soprattutto dell’escalation bellicista che, alimentata dalla strage di Parigi, sta raggiungendo in questi giorni un'ulteriore acme. In questi ultimi anni, osservavo allora, chi si schiera contro le rappresaglie armate è accusato di non voler tutelare la sicurezza nazionale e di cedere alla minaccia terrorista, mentre è sotto gli occhi di tutti che le prodezze della linea guerrafondaia sono riuscite solo a rafforzare la strategia violenta dei movimenti islamisti.

“La nostra martellante propaganda anti-jihadista, paradossalmente, è riuscita a partorire un estremismo islamico ancor più feroce e combattivo, evocando un assurdo clima da crociate, di cui hanno fatto le spese in particolar modo le minoranze cristiane dei paesi arabi. La radicalizzazione del conflitto, però, non è stata un indesiderabile ‘effetto collaterale’ della escalation militare degli ultimi anni. E’ stata piuttosto la logica conclusione di una serie di scelte sbagliate, affrettate e miopi da parte di un sistema che, dipendente com’è dal complesso militare-industriale, alimenta nuove guerre, utilizzando anche l’arma della guerra psicologica” [8]

Ecco perché il movimento italiano per la pace deve scuotersi, superando gli slogan ma anche il mentalismo politichese di chi pensa che i conflitti armati si risolvano solo prendendo coscienza delle loro cause e schierandosi in qualche modo da una parte o dall’altra. Ci troviamo a fronteggiare una situazione estremamente complessa e delicata, dove è piuttosto facile scovare e denunciare le responsabilità e demistificare gli inganni mediatici, ma molto più difficile fornire soluzioni che sfuggano alla logica perversa della violenza. Per esorcizzare il mostro cui abbiamo irresponsabilmente dato vita non basta dissociarsi, perché – come scrive l’IFOR in un suo comunicato:

 “… il terrorismo non esiste in un vuoto, ma all’interno di un contesto globale d’instabilità, causato ed esacerbato dalla guerra in corso, da operazioni clandestine, dalla repressione militare e poliziesca, dalla povertà e dall’abbandono […] Noi siamo impegnati a trovare mezzi per scoraggiare la violenza e costruire la nostra comunità. Siamo impegnati a cercare vie per prevenire che i giovani scelgano la violenza come un mezzo per formare ed affermare la propria identità. Siamo impegnati a sfidare la guerra e le strutture ingiuste che consentano alle ideologie violente di fiorire.”[10]

Anche il movimento per la pace italiano deve assolutamente trovare un’unità per fronteggiare questa sfida, che è culturale e sociale prima ancora che politica.

© 2015 Ermete Ferraro (http://ermeteferraro.wordpress.com )

NOTE--------------------------------------------

[1] https://www.facebook.com/325276247498269/photos/a.355666681125892.101158.325276247498269/894313290594559/ - trad. mia

[2] http://www.azionenonviolenta.it/la-guerra-nonviolenza-o-barbarie/

[3] ibidem

[4] P. Pugliese, La strategia della violenza ha fallito. Ora intelligenza contro stupiditàhttp://blog.vita.it/disarmato/2015/11/15/la-strategia-della-violenza-ha-fallito-ora-intelligenza-contro-stupidita/

[5] Monde sans Guerres et sans Violence (équipe de coordination nationale), La violence est le probleme, jamais la solution, https://www.pressenza.com/fr/2015/11/la-violence-est-le-probleme-jamais-la-solution/- trad.mia

[6] Cfr. “Terrorisme” , http://www.irnc.org/NonViolence/Dictionnaire/Items/5.htm -Trad. mia

[7] Erin Niemela, “Before the Next ISIS, We Need Nonviolent Counterterrorism Strategies”, Peace Worker , Salem (Ore.) July 2014, Trad. mia - http://peaceworker.org/2014/07/before-the-next-isis-we-need-nonviolent-counterterrorism-strategies/?utm_source=July+18%2C+2014+PeaceWorker+Articles&utm_campaign=This+Week%27s+PeaceWorker+Articles&utm_medium=email

[8] Ermete Ferraro, “La colomba verde e il califfo nero”, Ermete’s Peacebook, Aprile 2014, https://ermeteferraro.wordpress.com/2015/04/02/la-colomba-verde-e-il-califfo-nero/

[9] Derek Flood, “ Is There a Nonviolent Response to ISIS ? “, Huffington Post , 08.12.2014, trad. mia - http://www.huffingtonpost.com/derek-flood/is-there-a-nonviolent-isis_b_5670512.html

[10] IFOR, “IFOR Responds to Paris Attack”, Statement, Nov. 18, 2015, trad. mia - http://www.ifor.org/movement-news-and-updates/

 

© 2015 Ermete Ferraro (http://ermeteferraro.wordpress.com

Questo articolo è stato pubblicato qui

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