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Report: gli appalti Anas e il ponte sullo stretto, il vino standardizzato e la neve (artificiale)

Report chiude la stagione con una puntata dedicata al vino standardizzato, alla neve artificiale e alla questione del Ponte sullo stretto di Messina e degli appalti dell'Anas. 

 DO UT DES di Danilo Procaccianti

Anas con le gare d’appalto assegna appalti per decine di miliardi: alcuni di questi, secondo l’inchiesta della procura di Roma, sarebbero stati assegnati con frode con una triangolazione tra aziende private, dirigenti infedeli di Anas (i marescialli) e la Inver, una società di consulenza con dentro Tommaso Verdini, col socio Fabio Pileri.

Verdini e soci avrebbero condizionato le carriere di dirigenti Anas, nelle intercettazioni si parla del sottosegretario Rixi e del presidente di RFI Lo Bosco, entrambi non indagati.

Gli imprenditori versavano migliaia di euro, in nero a volte, come consulenze per la Inver: in cambio avrebbero ottenuto dei documenti riservati per poi vincere le gare di appalto, prima della pubblicazione della gara.

Report ha cercato di ottenere delle risposte da questi dirigenti Anas, senza ottenere molto: tutti avrebbero partecipato a cene con i Verdini (anche quando l’ex senatore era agli arresti domiciliari), anche con esponenti della Lega. Anche in questo caso, secondo il sottosegretario Freni (come precedentemente Rixi) sono solo millanterie, nulla di vero.

Il ministro Salvini è il convitato di pietra in questa storia: tra i fondatori della Inver, la società di consulenza, c'era anche la sua compagna, Francesca Verdini, che ha ceduto le sue quote nel 2021, poi c’è il fratello della compagna, Tommaso Verdini che secondo le indagini farebbe il lobbista proprio nel settore che è sotto il controllo del ministero di Salvini.

“Tommaso 26 anni, Francesca 23, molto giovani, hanno creato questa società dal nulla che ha incominciato subito a fatturare” spiega il consulente Bellavia, che ha scoperto che Francesca Verdini partecipava alle assemblee fino al 2020, conosceva il bilancio e le attività della Inver e del fratello Tommaso, aggiungendo anche che “per fare consulenza alle imprese ci vuole esperienza, non basta studiare. Probabilmente il padre è intervenuto a sostegno dei figli, il padre ha invece una esperienza”.

Secondo gli investigatori Denis Verdini sarebbe il socio occulto della Inver, vero dominus delle condotte illecite, per lui ci sarebbero stati 20mila euro in nero, la vicinanza al ministro sembra essere utilizzata dagli indagati per continuare a fatturare consulenze fittizie.
Consulenze da imprenditori che al telefono con Pileri si lamentavano dell’atteggiamento dei Verdini: “vengo a Roma a darti 70mila euro e per farmi piglià pe c.. da te e tuo padre”? “eh no, ma siamo il cognato del ministro”.

Proprio la vicinanza col ministro avrebbe spinto molti imprenditori a rifare il contratto con la Inver, alcuni di loro infatti dopo la prima fase delle indagini avevano interrotto i rapporti con la società dei Verdini, ma dopo la nomina di Salvini a ministro delle infrastrutture, ecco che si rifanno vivi (“certe situazioni sono vergognose” è stato il commento di Pileri in una intercettazione).
Il fatturato della Inver aumenta negli anni in cui è al governo la Lega, nel 2020 senza la Lega il fatturato è azzerato. Poi riesplode nel 2021 col ritorno della Lega al governo. Solo un caso?
Solo illazioni degli intercettati? Sempre nelle intercettazioni si legge questo passaggio dove Pileri racconta di aver avuto carta bianca in ministero da Salvini.
E che cosa risponde il ministro su questi fatti? “Buon lavoro”: questa la risposta da parte di un esponente di un governo che si dice patriota, che governa in nome del popolo, per difendere gli gli interessi degli italiani.

Moltissimi dirigenti Anas bramavano per fare incontri con i Verdini: uno di questi è Simonini, anche lui avrebbe partecipato alle cene con Verdini e in una intercettazione cercava appoggi politici per la sua carriera, a Palazzo Chigi.
Verdini e soci si muovono per garantire un ruolo di livello per Simonini, per non lasciarlo a piedi: alla fine è stato nominato dal governo Draghi commissario per la Orte Fano e per la strada 106 Jonica in Calabria, la “strada della morte”.

Se voi foste giornalisti seri, raccontereste anche dei lavori fatti – ha risposto l’ex Ad di Anas Simonini al giornalista, senza chiarire il senso delle intercettazioni.
I lavori fatti per la statale Jonica ancora non ci sono.

La rete di Verdini è cercata per una promozione in Anas: anche il dirigente Mandosi sarebbe ricorso all’aiuto dei Verdini per arrivare ad una carica in Anas.

Forse sarà un caso e non dipenderà dalla sua amicizia con Verdini, ma alla fine quest’ultimo, Mandosi, viene nominato responsabile delle risorse umane della società Stretto di Messina, l’opera su cui Matteo Salvini ha puntato tutto, il ponte sullo Stretto.

Pietro Ciucci, AD della società Stretto di Messina però racconta di averlo scelto lui, personalmente, Mandosi, “una persona di grande affidabilità”, escludendo alcuna sponsorizzazione di Pileri e Verdini. Sarà stato scelto per la sua affidabilità, ma non c’è stato alcun processo di selezione, alla faccia della trasparenza, nemmeno per gli altri 16 dirigenti che lavorano oggi in questa società: sul sito non sono presenti nemmeno le indicazioni sui compensi di questi dirigenti e tutte le sezioni, comprese quelle sulle consulenze, risultano in corso di aggiornamento. Una cosa grave se si pensa che quando è ripartita l’operazione Ponte, si è deciso di togliere il tetto agli stipendi che potranno superare i 240mila euro annui.

Lo ha spiegato Salvini stesso nella conferenza stampa dello scorso agosto: “se dobbiamo prendere un ingegnere che oggi lavora in Ferrovie o in Anas, dobbiamo garantirgli quantomeno lo stesso stipendio ..”
Dunque si sono presi i migliori, a cui sono stati garantiti lauti stipendi, senza sapere quali siano stati i criteri di selezione: perfino Pietro Ciucci si è aumentato il suo, di stipendio, da 25 mila a 240mila euro l’anno.
Il ponte è il chiodo fisso di Salvini che ne parla in ogni incontro, perché si deve correre in vista delle elezioni di questa primavera per le europee.
Il progetto di Eurolink del ponte è ancora quello del 2011: le firme non tranquillizzano, dentro c’è un ingegnere condannato per i lavori del terzo valico.

Solo sciocchezze per il presidente di Webuild Salini, “questo paese vive di sciocchezze”.

Il progetto dovrebbe poi essere certificato da una società americana, la Parsons che avrà la funzione di project management: questo nome è presente nei cablo pubblicati da Wikileaks. La giornalista Stefania Maurizi ha raccontato dell’interesse da parte dall’amministrazione americana per il ponte, sin dagli anni settanta.
L’iter del progetto deve passare anche per la valutazione di un comitato tecnico scientifico: il presidente Prestiminzi è legato all’ex ministro Lunardi, il padre del ponte.

Anche su altri membri del comitato pesano situazioni di conflitti di interesse: perché legati a RFI (che possiede quote della società Ponte sullo Stretto) o a società che lavoreranno col ponte.

Ma il ponte sullo stretto è un’opera che s’ha da fare: secondo studi scientifici porterebbe anche ad una riduzione dell’emissione di co2 in atmosfera, il ministro in aula parla di 140mila tonnellate di co2 risparmiate (“ossidi, idrocarburi e quant’altro..”). In realtà Report ha scoperto che non esisterebbe alcun studio scientifico che porta a queste conclusioni, secondo studi indipendenti la riduzione di co2 sarebbe molto meno.
Lo studio citato da Salvini sarebbe stato realizzato da un ingegnere che lavora come consulente per Eurolink (il consorzio che deve costruire il ponte), che nemmeno è un ricercatore esperto di inquinamento, ma un membro del Rotary e fa parte di una associazione civica che punta molto sulla costruzione del ponte di Messina. Nello studio infatti è riportato che “le note non hanno pretesa di scientificità”, anche perché alla base dello studio c’è l’assunto che i traghetti non circoleranno più.
Il ministro Salvini ha verificato le fonti di questo non studio? Ha verificato chi fosse l’ingegnere, consulente di Eurolink, dunque con un ruolo da lobbista (non indipendente)?

Mollica, come aveva raccontato Report nella scorsa puntata, è stato legato all’ex sottosegretario della Lega Siri, per dei convegni fatti passare per incontri tecnici.

Mollica era presente ad un convegno a Firenze, assieme all’ingegner Borri (membro del comitato scientifico): Mollica non ha preso bene la presenza del giornalista di Report e delle sue domande, definendolo “pennivendolo, poveraccio..”.
Le immagini sono pubbliche, ognuno si faccia la sua opinione.

Il consorzio che ha vinto l’appalto si chiama Eurolink, oggi guidato da Webuild di Salini: ha vinto l’appalto con un forte ribasso (16,9%), il governo Monti aveva poi chiuso il progetto.

Secondo il giornalista Meletti obiettivo era chiedere la penale, avendo vinto con quel ribasso: in primo grado il consorzio aveva perso la gara, ma alla fine lo spauracchio del contenzioso ha fatto scrivere al ministro Salvini una legge per riesumare il progetto. Un grande regalo al consorzio, secondo il presidente dell’Anac: Salini avrebbe avuto diversi incontri col ministro Salvini, anche prima che si fosse formato il governo Meloni.

La legge di Salvini, secondo l’avvocato Briguglio, è costruito attorno alla Salini: ad oggi il contenzioso non è stato ritirato dalla Webuild, si aspetta l’inizio dei lavori.

Per rispettare i tempi del progetto serviva presentare l’aggiornamento del progetto entro il 30 settembre: il deputato Bonelli lo ha chiesto al presidente Ciucci, ottenendo un diniego.

Risponde l’AD: “esiste un progetto approvato nel 2011 che rimane valido, stiamo lavorando per l’aggiornamento, è un aggiornamento articolato, prossimamente porteremo l’aggiornamento all’approvazione del Consiglio”.
Perché questo aggiornamento è così riservato, tanto da lasciare il parlamento all’oscuro? Perché siamo ancora nella fase in cui si sta ancora analizzando il documento, la risposta dell’AD.

Dopo lo scorso servizio di Report sul Ponte, Claudio Borri, membro del comitato scientifico del progetto Ponte sullo Stretto, aveva scritto a Ranucci, lamentandosi della mancanza di contraddittorio e dando una notizia a proposito della relazione di aggiornamento del progetto definitivo: la relazione esiste ed è corposa, ben 780 pagine, che Borri avrebbe mostrato in pubblico anche in più occasioni.
Ma poi quando il giornalista gli chiede di mostrare la relazione aggiornata, ha ottenuto un rifiuto, “non rilascio interviste”. Insomma la relazione è segreta e non può essere mostrata nemmeno ad un deputato della Repubblica, ma un consulente della commissione scientifica del Ponte può mostrarla in pubblico, ma non a Report?

“Non so cosa Borri abbia scritto, se c’è un misundestanding, lui non può averla presentata in pubblico .. non vi siete intesi” la risposta di Ciucci.
Di fronte a questo atteggiamento poco chiaro, incalzare l’interlocutore (che ha un incarico pagato dallo Stato, da tutti noi) rischia di portare ad una denuncia per stalking, come Sgarbi poche settimane fa, anche Borri parla di stalking.

Quello della relazione di aggiornamento del progetto è un giallo: il precedente comitato scientifico aveva prescritto altre prove, come quelle per l’oscillazione del vento. Sono state fatte? Verranno fatte nel futuro? Come è stato approvato il progetto?

Il ponte di Messina avrà una campata unica da 3200 metri e prevede anche la ferrovia: sarà un caso unico al mondo, il che dovrebbe richiedere ulteriori controlli e maggiore trasparenza.
Trasparenza che oggi manca, vedendo le risposte ottenute dal povero Mottola.



Trasparenza che manca anche da parte del ministro Salvini: quanti posti di lavoro si creano col progetto? Per progetti analoghi si parla di qualche migliaio di addetti, altro che le centinaia di migliaia di posti promessi.

Il ministro poi, forse per la fretta di far ripartire i lavori, si è dimenticato di avvertire i sindaci impattati da questo progetto, Messina e Villa San Giovanni.

A Messina un intero quartiere verrà raso al suolo per far posto ad un pilone: nessuno ha avvisato gli abitanti del quartiere, parliamo di migliaia di persone.

Stesso discorso a Villa San Giovanni: decine di case su un borgo in collina saranno abbattute, come altre case sul lungomare.

Una villa dal valore di 1 ml di euro verrà abbattuta per far spazio ad una struttura per il lavaggio dei camion.

I costi del ponte sono saliti da 3 miliardi iniziali, ai 14 miliardi di euro indicati nel DEF: soldi presi dal fondo per la coesione del sud, per circa 2,3 miliardi.

Sulla base di quali dati si sono stanziati oggi i 12 miliardi? Salvini ha sempre parlato di 6 miliardi per il ponte, più 6 miliardi per le strade: la direttiva europea vieta un aumento del costo più del 50%, altrimenti la gara andrebbe annullata per infrazione delle leggi comunitarie.

Alla fine, quando saranno resi pubblici tutti i documenti, forse interverrà la magistratura a far valere le leggi.

Report si è occupata anche del tema dell’impatto ambientale del ponte, in particolare a Messina, dove i lavori saranno fatti in aree a protezione. Il progetto del 2011 si bloccò anche per le valutazioni di impatto ambientale: anche qui c’è un conflitto di interesse, chi valuterà l’impatto è un dirigente che lavora per il ministro dello sport, siamo sicuri che sarà imparziale?

IL NEMICO IN CASA di Emanuele Bellano

Report è il nemico in casa secondo il ministro Lollobrigida, che dovrebbe occuparsi di agricoltura e meno di giornalismo: si era infuriato per una puntata dello scorso anno sul vino, dove si parlava di pratiche vietate, dove si miscelava del vino da tavola con quello da vino. Si parlava anche dei prodotti chimici del vino, dell’invecchiamento simulato con trucioli di legno.

Report aveva denunciato l’uso del mosto rettificato per cambiare il grado zuccherino del vino,il anche con l’uso di lieviti prodotti da multinazionali.

Sono pratiche lecite, certo, ma sono pratiche usate, nessun desiderio di criminalizzare un settore, solo il desiderio di fare chiarezza su cosa contiene una bottiglia di vino.

Report è andato a Merano, dove si sono ritrovati viticoltori molto legati al territorio, diversamente dai produttori industriali.
Report ha intervistato Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi: anche lui non ha gradito il tono della scorsa puntata, l’uso della chimica è consentito, non sono pratiche vietate, riferendosi alla gelatina ad esempio.

Però, come risulta dal servizio di Report, la pratica di mettere trucioli di legno dentro il mosto, è reale, come anche tagliare un vino con altre qualità di uva.

Report ha riportato un caso dall’oltrepo’ pavese: vino che arriva da fuori dalla zona, dalla Puglia, per vendere poi nella grande distribuzione che fissa i parametri del vino che si deve vendere, quale ph, quale residuo zuccherino. Per questo motivo l’imbottigliatore compra vino in cisterna da produttori diversi, mescolati poi in una massa omogenea.

Secondo i documenti di Report questa pratica sarebbe stata usata dalla ditta di imbottigliamento Losito e Guarini, per produrre vino imbottigliato con etichette diverse, miscelati in una enorme cisterna. Per rendere il vino conforme alle specifiche della distribuzione si usa poi il mosto rettificato e di acqua.
Succede così che in una bottiglia di vino sia presente il 3% di acqua fino ad arrivare al 6%: la ditta contesta la ricostruzione di Report e aggiunge che sono fatti di anni fa.

Il film dell’orrore di cui parlava nell’intervista l’enologo Cotarella, forse non è solo un film.

Ci sono, e Report ne ha parlato nel servizio, viticoltori che rispettano la natura e anche il consumatore: come l’azienda Fontefico di Nicola ed Emanuele Altieri, hanno la fortuna di lavorare in Abruzzo in una terra molto fertile, non c’è bisogno di concimi chimici, ma solo batteri naturali.
Meno bottiglie, ma qui si produce un vino che è frutto di quella terra e del clima di quel momento (con conseguente cambiamento di gradazioni alcoliche): è un vino prodotto solo da quelle vigne in provincia di Chieti.

I produttori di vino industriale hanno bisogno di vino con la stessa gradazione alcolica: si deve allora intervenire chimicamente, per creare un vino standardizzato.

Lo racconta Piero Riccardi, che da anni analizza il cambiamento dell’industria del vino: si produce vino standardizzato, indipendentemente dal territorio da cui arriva.

La Esser ha un protocollo di vinificazione per produrre un vino dal sapore riconoscibile:

“La standardizzazione non è solo in chi fa il vino, ma anche negli assaggiatori che dicono ‘questo vino è di questa doc..’, ci sono delle doc più blasonate dove dei colleghi che fanno vini naturali sono stati dichiarati fuori Doc, perché non erano riconosciuti conformi agli standard che la commissione di assaggio doveva rispettare.. è chiaro che se io assaggio dieci vini standard e tutti quanti hanno quei sentori lì, poi mi assaggio un Sauvignon che fa fuori standard, ma è Sauvignon, fermentato spontaneamente, quello viene dichiarato fuori norma”.

La standardizzazione chimica è nelle mani a poche aziende che poi vendono i loro prodotti ad aziende in Italia e in tutto il mondo: c’è il rischio di una standardizzazione del vino? No, secondo il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella “il lievito trasforma gli zuccheri in alcool, ci sono lieviti che estraggono dal mosto, dalla buccia sensazioni più forti ma non è che danno le loro sensazioni, agiscono in maniera diversa su quell’uva, estrapolando caratteri chge possono essere positivi o negativi. Sta all’enologo sapere quali valorizzare, ma non è che un lievito può dare un corpo e una personalità ad un vino, è l’uva che da personalità.”

Basta sfogliare il catalogo di una di queste industrie per capire cosa promettono alle aziende: come per esempio il 71B, sul catalogo dell’azienda sta scritto “produce di per sé una serie di sostanze aromatiche [..] che conferiscono al vino un gradevole aroma di frutta fresca, per questo motivo 71B viene consigliato per ottenere vini giovani e di pronta beva e per tutte quelle varietà carenti di sostanze aromatiche proprie o prive di una loro personalità” – è sempre Riccardi a spiegare al giornalista di Report “non ha un’uva che hai dovuto coltivare per produrre qualcosa di quel vigneto, di quella terra, con quel clima, non hai personalità, non ha importanza..”

I sapori fruttati derivano dunque dalla chimica: un ex cantiniere ha riportato a Report la sua testimonianza di anni di lavoro nelle cantine in Veneto, dove per inseguire i gusti dei clienti si usa la chimica, il mosto rettificato, si aggiunge uva marcia per dare colore.

Secondo il cantiniere sarebbe stato l’enologo della cantina a dare le indicazioni ai produttori, come per esempio quali lieviti usare.
Pesticidi e antiparassitari uccidono i lieviti sulla buccia, così alcuni produttori usano lieviti artificiali.

Ma non fa così Nevio Scala nella sua cantina: hanno eliminato diserbanti, prodotti sistemici, la terra ha dentro i lombrichi, come quella ereditata dai genitori.

L’uva di Scala non contiene pesticidi, usano le erbe come Tarassaco e Trifogli per combattere le malattie delle viti, la peroospera, i funghi, tutto per conservare la biodiversità nei terreni e produrre un vino senza pesticidi.

Pesticidi che poi troviamo nel bicchiere.

Meglio produrre in modo naturale, poche bottiglie ma buone.

BIANCO CANNONE di Antonella Cignarale

I cambiamenti climatici costringono i gestori degli impianti a dover adeguarsi: A Gressoney raccolgono la neve che viene conservata e riutilizzata al 70% l’anno successivo, per un costo da 15 mila euro l’anno. Anche ai piedi del Cervino si segue la pratica dello snow farming per una gara di coppa del mondo: a Cervinia si sono inventati una gara transfrontaliera con la Svizzera, ma in questi due anni la gara è saltata, perché mancava la neve e per il vento.

Si dovrebbe organizzare le gare nei momenti in cui c’è neve, per esempio a fine stagione, come propone la campionessa Federica Brigone.

Perché la neve è diventata merce preziosa per gli impianti sciistici, perno del turismo in montagna: senza neve si deve usare quella artificiale, in un processo che ha bisogno di acqua, di temperature giuste, tutto regolato da un software.
La neve programmata è il business dell’azienda alto atesina Technoalpin: producono neve anche con 10-15 gradi, ma il loro cannone si sa adattare a tutte le temperature, producendo 100 metri cubi di neve all’ora, con neve di tutte le qualità, diversa a seconda che sia per le gare o per i turisti.

Oramai la neve dal cielo scende sempre meno, mentre le vacanze di Natale non possono aspettare la neve: chi lavora col turismo in montagna deve poter programmare l’apertura delle piste, essere pronto per l’arrivo dei turisti e degli appassionati.
Senza neve artificiale la stagione sciistica sarebbe compromessa: la neve programmata contiene più acqua e dunque risulta anche più resistente rispetto a quella naturale.

Occorre però una grande quantità di acqua, che sul Monte Rosa viene presa dal fiume Sesia, per circa il 10% del flusso.

I gestori degli impianti pagano poco per quest’acqua, circa 1000 euro per il comprensorio Monterosa 2000, che ha un fatturato invernale di 4 ml di euro.

Per fare a meno della neve artificiale bisognerebbe cambiare le abitudini dei turisti: chi rischia grosso sono le località sciistiche a media quote, senza neve rischiano di spopolarsi.

Altrimenti si deve diversificare il turismo e la pratica dell’innevamento tecnico non è sostenibile (l’acqua è un bene sempre più scarso), costa e non si può usare a basse quote.

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