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Renzi vs Ue: buttarla in caciara rinvia la resa dei conti

Tra strepiti patriottici e minacce di far saltare un improbabile banco europeo, Matteo Renzi prosegue nel suo “negoziato” con la Commissione Ue. Un’osservazione cinica della vicenda mette a nudo la realtà: e cioè che il nostro premier, in via preponderante, si è messo da solo in un angolo, con una politica fiscale spregiudicata ed una avversione alla realtà che è caratteristica delle cosiddette classi dirigenti di questo paese. Ora la via si è fatta molto stretta e rischia di diventarlo ancora di più, in caso di rallentamento economico globale.

L’antefatto: da quando Renzi ha scalato Chigi ed il paese, la sua politica economica è stata orientata a produrre margini di respiro fiscale, oltre che a instillare “fiducia” negli italiani, spesso con una propaganda al limite del grottesco. Se al primo anno ed alla prima legge di Stabilità tale azione aveva un qualche fondamento, pur se declinata in modo piuttosto inefficiente ed inefficace (con gli 80 euro, ad esempio) al secondo anno Renzi ha letteralmente perso il controllo dei suoi ammiccamenti fiscali d’antan agli elettori.

Misure prive di razionalità economica e di disegno complessivo, assenza di valutazione d’impatto degli sgravi fiscali (qualcuno ha detto Tasi?), demagogia spicciola e spiccioli di mancia al maggior numero possibile di constituencies elettorali, ma soprattutto e su tutto il giochetto del rinvio delle clausole di salvaguardia. Quelle sono il vero colpo da maestro del debitore braccato: “le abbiamo neutralizzate, manteniamo le promesse!”, strillavano i renzisti dandosi il cinque. Peccato che il giochetto fosse banale: spostiamo in avanti di un anno e cumuliamo il sentiero di rialzo delle aliquote.

Non solo: il rinvio delle clausole di salvaguardia implica che ogni anno si debba gonfiare il deficit, assoluto e (soprattutto) quello strutturale, corretto per il ciclo. Cosa che Renzi ha puntualmente fatto già con la Nota di aggiornamento al Def. Perché alzare il deficit-Pil strutturale in un anno di espansione, cioè realizzare una manovra pro-ciclica?, ci chiedemmo all’epoca. Elementare, Watson: per coprire il riporto a nuovo delle clausole di salvaguardia, mentre il buon Padoan giocava all’illusionista affabulando di misure di contrasto al rallentamento internazionale prossimo venturo, e in parte autogufandosi.

Solo che gli interlocutori internazionali dell’Italia non sono gli italiani, sempre pronti ad accapigliarsi e polarizzarsi sul dito nei talk televisivi, ignorando la luna. Già alcune levate d’ingegno del nostro governo avevano suscitato sconcerto, come ad esempio chiedere la flessibilità-migranti per ridurre l’Ires, vero sconcio da treccartari e pure piuttosto scadenti. Poi furono le atrocità terroristiche di Parigi e Renzi inventò “sicurezza & cultura” con la non meno oscena mancia ai neodiciottenni (ma solo di quest’anno, sia chiaro) e gli 80 euro alle forze di polizia.

Un personaggio che passa il tempo a cercare bulimicamente di raccattare a destra e a manca (e con pretesti a metà tra il patetico ed il ridicolo) quegli stessi zerovirgola che imputa “agli ottusi burocrati di Bruxelles” è una macchietta che rischia di diventare pericolosa, per sé, i propri contribuenti e quelli degli altri paesi. E quindi è fatale che finisca all’angolo, anche senza un complotto esterno, come ogni giocatore d’azzardo dilettante che si rispetti. È noto che Renzi sta tentando di farsi ratificare gli zerovirgola di deficit in più sostenendo che il nostro rapporto debito-Pil da quest’anno inizierà a piegare. Ma solo perché è previsto dai nostri eroi, s’intende. Con persistenti rischi deflattivi, e malgrado San Mario Draghiche ci tiene i tassi schiacciati, non è affatto detto che riusciremo a conseguire una crescita nominale del Pil superiore a quella del costo medio del debito. E addio sogni di gloria.

Un vero peccato che la nostra vigile stampa non abbia colto che la posizione fiscale dell’Eurozona quest’anno è diventata espansiva, e non siamo più immersi nella distruttiva austerità Made in Germany degli scorsi anni. Non avendo preso coscienza di questa evidenza, la nostra vigile stampa fa da megafono alle sparate senza costrutto di Renzi, ed abbaia alla luna contro una presunta austerità che semplicemente non esiste più da un paio di anni. Da parecchi trimestri la Germania ha smesso di crescere solo grazie all’export. Da parecchi trimestri la Germania cresce grazie alla domanda interna. Che poi è quello che tutti invocavano, giusto? Eppure, leggendo i giornali ed ascoltando i telegiornali, sembra che Berlino stia soffocando l’Eurozona, di austerità ed export (che poi le due cose convivono assai poco ma sono dettagli, soprattutto nel Belpaese), manco fossimo nel 2011.

Ecco, noi italiani al 2011 rischiamo di tornare se Renzi proseguirà a fare l’imbonitore ed il distributore di caramelle fiscali. Ed anche, temiamo, se la congiuntura globale volgerà al peggio. Ed in quel caso servirà prendersela con qualcuno di più potente del povero Juncker, e cioè col destino cinico e baro. Comunque, abbiate fede: Renzi e la Commissione stanno “negoziando”. Ne uscirà verosimilmente un altro anno per rimettere il barcone in linea di galleggiamento. Ma, vista la cocciutaggine e l’insipienza di Renzi, non scommetteremmo sul lieto fine.

Addendum – Ecco l’ennesima trovata del piccolo e prevedibile Machiavelli di Rignano. Yawn.

Addendum 2 – Mi segnala il dottor Lorenzo Bini Smaghi che la “vigile stampa” aveva segnalato l’allentamento fiscale, vedasi suo pezzo del 19 gennaio sul Corriere,”La fine dell’austerità e la crescita europea che rimane debole“. Verissimo, avevo anche letto quell’editoriale. Ma per “vigile stampa” io intendo propriamente i giornalisti, non i commentatori tecnici. Di seguito alcuni stralci di quell’editoriale:

«A questi tre fattori se ne aggiunge un quarto, spesso ignorato dai commentatori: la fine dell’austerità fiscale. In Europa le politiche di bilancio hanno smesso di essere restrittive e dovrebbero imprimere quest’anno un impulso favorevole alla domanda aggregata […] Anche se le metodologie di calcolo talvolta differiscono, il dato che emerge è chiaro. Nel 2016 l’area dell’euro nel suo insieme dovrebbe ridurre l’attivo primario corretto per il ciclo di 0,3 punti di Pil. In altre parole, la politica fiscale dell’area nel suo insieme è espansiva. Esaminando i singoli Paesi, la manovra più ampia si registra in Portogallo (di 0,9 punti di Pil), a Cipro (0,8), in Italia (0,7) e in Germania (0,5). L’impostazione espansiva è prevista proseguire nel 2017, anche se a un ritmo più contenuto. Peraltro, esaminando con attenzione i dati emerge che nell’ultimo biennio (2014 -2015 ) la politica di bilancio europea è stata sostanzialmente neutrale, e non restrittiva come si sente spesso affermare. Il saldo primario è rimasto infatti sostanzialmente immutato, al netto degli effetti ciclici. Per l’Italia, l’impostazione fiscale è stata addirittura espansiva, con il surplus primario corretto per il ciclo che si è ridotto di quasi un punto tra il 2013 e il 2015»

Ecco, grazie.

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