Regno Unito, l’eccezione religiosa ormai fa la regola
Il multiculturalismo confessionale in Gran Bretagna ora fa breccia anche negli ambienti di lavoro. Per la prima volta due dipendenti della Tesco di fede islamica, Abdirisak Aden e Mahamed Hasan, hanno vinto una causa per discriminazione religiosa. La diatriba riguarda l’accesso alla sala per la preghiera presente in azienda, concessa nel 2008 dopo le pressioni degli islamici. Nel 2012 erano state definite nuove linee guida per regolamentarne l’accesso, allo scopo di evitare abusi o scorrettezze, ed era previsto che i lavoratori informassero i manager che intendevano recarsi nella saletta uno alla volta, chiedessero a loro la chiave e compilassero un registro.
Secondo Christopher Fray, responsabile per il Northamptonshire Rights and Equality Council (NREC) che ha rappresentato i due, la sentenza crea un precedente legale. Sostiene che questa regolamentazione dell’accesso alla sala era ritenuta da diversi islamici una forma di monitoraggio e addirittura di “harassment”. “È una vittoria non solo per i musulmani, ma per tutte le persone che vogliono pregare mentre sono al lavoro”, aggiunge, “uno dei primi casi di discriminazione religiosa che ricorrenti islamici abbiamo mai vinto in Gran Bretagna”.
Il presidente della National Secular Society, Terry Anderson, avverte però – in attesa delle motivazioni – che la sentenza “può creare caos sul posto di lavoro”. Inoltre, “sembra porre i credenti in una posizione più forte, tale da minare l’efficiente conduzione del lavoro se si ostacolano le loro credenze religiose”. “Questi due musulmani sono riusciti dove gli attivisti cristiani hanno fallito, cioè guadagnare diritti speciali sul posto di lavoro”, aggiunge. “Se gli impiegati religiosi vogliono una pausa per pregare, dovrebbe esserci solo se può ragionevolmente venir pianificata dagli impiegati e sulla base delle condizioni di lavoro. Questa pausa non dovrebbe essere pagata, altrimenti quelli che non ne usufruiscono verrebbero svantaggiati”, conclude.
Ancora una volta siamo dunque in presenza di un caso di favor religionis in Gran Bretagna, perché certo non si concede analogo privilegio a chi ha ben altre “fedi”, come per esempio i tifosi del Manchester, del Liverpool o del Chelsea, o ai pastafariani. Un fatto che rischia di dare la stura ad altre richieste e pretese in nome della religione e per il rispetto di un malinteso politically correct, non solo da parte dei musulmani.
Ormai è diventata un’abitudine anche tra i commentatori inglesi tacciare di islamofobia o razzismo chiunque contesti l’invadenza dell’integralismo islamico. Ma questa mistica del multiculturalismo confessionale, che sempre più mostra le proprie falle e viene sconfessata da più parti, non risolve i problemi causati dalla preferenza per la religione, ma finisce anzi per moltiplicarli per il numero delle religioni che “accedono” al sistema. Alla lunga questo sistema non sarà sostenibile: non solo per i datori di lavoro, ma anche perché dare ragione alle richieste più identitarie e creare ghetti non aiuta certo a creare una società coesa e cittadini consapevoli.
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