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Referendum e banche: cosa succederà il 5 dicembre?

In attesa del giudizio divino di domenica, facciamo una rapida rassegna stampa a commento delle criticità del sistema bancario italiano, alla luce dell’esito del referendum, sempre con la consapevolezza che, se c’è un modo per fare casino con una situazione e trasformarla in un gioco a somma negativa, gli italiani lo faranno. O anche, che se c’è da costruire teoremi e ricette miracolose sulla base di correlazioni rigorosamente spurie, là troverete un italiano intento ad arringare le folle.

Intanto, è un dato effettivamente positivo il fatto che Generali abbia deciso di convertire in azioni i suoi 400 milioni di obbligazioni subordinate MPS. Si può ritenere che la scelta sia stata necessitata, ma la valenza positiva non cambia. Poi, è utile segnalare una notiziola comparsa ieri sul Sole. MPS avrebbe mappato i profili di rischio dei propri clienti possessori del subordinato Upper Tier II maggio 2018, quello emesso per contribuire a finanziare l’acquisizione di Antonveneta e “diligentemente” collocato nei portafogli retail in tagli da mille euro. Ebbene,

«L’obiettivo era la verifica del loro profilo di rischio Mifid nel caso di adesione alla trasformazione dei bond subordinati in azioni. Secondo le fonti, ufficiose, la mappatura dei profili di rischio dei clienti ha dato risposte negative nel 90% dei casi: in sostanza, nove risparmiatori su 10 non possono sottoscrivere azioni senza “andare a sbattere” contro l’innalzamento del livello di rischio Mifid del portafoglio. Un innalzamento che la banca esclude di promuovere»

La banca esclude di promuovere questo innalzamento del profilo di rischio, a fini Mifid. Nessun problema, saranno i risparmiatori retail a “chiederlo”, non preoccupatevi. Il punto primigenio della vicenda è che molti di questi obbligazionisti subordinati non avevano profilo di rischio idoneo neppure per farsi mettere in portafoglio quei titoli, ma le loro firme sono comunque arrivate. Basta una firma, che ci vuole? Poco alla volta, nell’era del bail-in, i piccoli risparmiatori si stanno trasformando in tanti piccoli spekulatori assatanati. Una mutazione spesso obtorto collo, s’intende.

Su referendum e banche, segnaliamo le condivisibili considerazioni di Ferdinando Giugliano su Repubblica, di cui riproduciamo alcuni passaggi:

«La vittoria del Si al referendum sarebbe dunque positiva dal punto di vista della stabilità finanziaria. Tuttavia, quest’auspicio non può essere visto come un endorsement alla politica bancaria fin qui seguita dal governo. Si tratta, piuttosto, della conseguenza degli enormi rischi di cui si è voluta caricare questa tornata referendaria e che non scomparirebbero del tutto, pure con un voto favorevole alla riforma. Le mosse di questi mesi del governo assomigliano infatti alle gesta confuse di un mozzo, che accortosi della presenza di una falla nella nave prova a turarla togliendo del legno dalla parte sana della carena. II risultato è che lo scafo continua a fare acqua, solo da un punto diverso»

Succede, quando si ha un premier che è soprattutto un giocatore d’azzardo. Ancora Giugliano:

«Più in generale, si è fatto di tutto per evitare l’applicazione del cosiddetto “bail in”, che prevede il coinvolgimento degli obbligazionisti nei salvataggi bancari, anche quando questo avrebbe agevolato soluzioni meno rischiose. Una bozza di accordo con la Commissione Europea, che avrebbe permesso una ricapitalizzazione pubblica di Mps, in cambio del coinvolgimento degli obbligazionisti subordinati (temperato da azioni di ristoro) è stata scartata in nome di una soluzione privata. II paradosso è che a questi stessi obbligazionisti viene oggi offerto un “bail in” volontario, tramite la conversione di bond in azioni approvata ieri dalla Consob. L’impressione è che la stabilità finanziaria sia stata usata come schermo per proteggere gli errori dei regolatori italiani e le paure della politica, che voleva evitare scossoni almeno fino al referendum»

Ecco, questo è il punto centrale. Di certo, nei mesi scorsi la stampa è stata inondata di “messaggi” e “suggerimenti” (prontamente ritrasmessi) sulla possibilità di una ricapitalizzazione interamente pubblica di MPS in virtù di una ipotetica rilevanza sistemica della banca, che avrebbe quindi sconsigliato forme di bail-in. Se ciò non è accaduto è probabilmente perché da Bruxelles si è fatto sapere al governo italiano che dal bail-in si sarebbe comunque dovuti passare. Ed ecco quindi che, a luglio, si è inventata la cosiddetta “soluzione di mercato”, che all’epoca fu presentata come protettiva degli obbligazionisti retail, rassicurati circa il fatto che non sarebbero stati costretti a convertire in azioni i loro bond, e che tale destino sarebbe toccato solo agli “istituzionali”. Una panzana assoluta, visto che non è possibile distinguere tra possessori dello stesso titolo se non post mortem, cioè a bail-in accaduto. Sulla propalazione di questa panzana la nostra vigile stampa, usata come buca delle lettere, non ha mai ritenuto di fare autocritica. Lo stesso accadrà quando sarà chiaro (ma ancora non lo è?) che il leggendario “rendimento del 6%” promesso da Atlante semplicemente non è mai esistito. C’è troppa intossicazione dell’opinione pubblica, in questo paese. Tra ignoranza e malafede degli avvelenatori, volontari ed involontari.

Prosegue il commento di Giugliano:

«Se dovesse vincere il No, qualsiasi governo si trovi al potere a Roma dovrebbe agire con criteri diversi da quelli sin qui seguiti. Date le dimensioni di Mps, l’erogazione di capitale pubblico potrebbe diventare necessaria, ma andrà fatta coinvolgendo gli obbligazionisti: questo non solo per ottemperare alle regole europee, ma anche per una questione di giustizia distributiva, che vuole che chi ha prestato soldi ricevendo interessi partecipi alle perdite oltre che ai guadagni. Per le altre banche più piccole, è necessaria un’iniezione di realismo, che eviti di addossare su un sistema sempre più fragile, i costi di un inutile accanimento terapeutico. Nel caso in cui la crisi raggiunga dimensioni sistemiche, facendo allargare a dismisura anche lo spread sulle obbligazioni governative, un salvataggio attraverso il fondo salva-Stati europeo non può essere escluso a prescindere»

Anche qui, non avremmo saputo dirlo meglio. Anche se lo abbiamo detto, più volte: se le cose precipitassero, bail-in per metà della ricapitalizzazione e soldi pubblici per l’altra metà: le norme europee lo consentono. Vi è poi la realistica constatazione che non tutte le banche riusciranno a sopravvivere, e che servirebbe evitare di ammazzare le parti sane del sistema, accollando loro oneri di salvataggi senza speranza. Da ultimo, se serviranno molti soldi, anche il fondo salva-stati potrà servire. Ma soprattutto, aprite bene occhi e orecchie: non c’è nulla, ma proprio nulla, che possa consentire di affermare che, in caso di vittoria del Si, per le parti deboli del sistema bancario italiano ci sarà il lieto fine. Nulla. Renzi ha colpa per le pluriennali porcate dei banchieri e dei gruppi di controllo bancario e per le conniventi dormite dei regolatori italiani? No. Renzi ha colpa per contribuire a fare avvitare la situazione, ed estendere il contagio? Sì, proseguendo su questa strada.

Ultima segnalazione: sul Fatto, Marco Palombi intervista il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia. Che ritiene di avere la risposta alle fibrillazioni dei mercati:

«[…] se il governo fa il suo dovere e dice che l’articolo 47 della Carta vale qualunque sia l’esito del referendum, che lo Stato interviene comunque, i mercati stanno tranquilli e gli italiani possono votare senza ricatti sulla testa»

Boccia dovrebbe sapere che questa è pura retorica: non si può brandire l’articolo 47 quando di quello stesso articolo i banchieri hanno fatto strame, per lunghi anni, inzeppando i portafogli retail di “titoli impropri”, caso unico nel mondo sviluppato o presunto tale. E questo proclama non ha senso, a meno di ritenere che sia possibile stampare moneta per salvare tutto e tutti, anche chi non è salvabile. Ma Boccia pare avere il proiettile d’argento, su modi e quantum del salvataggio:

Lei proponeva l’ingresso di Cassa depositi e prestiti in Atlante.
«Sì, se si riteneva di non voler sfidare le regole Ue con un intervento diretto. Ma non certo com’è stato fatto: servivano 15 miliardi, per metà garantiti da Cdp, per mettere in sicurezza il sistema e assorbire gli aumenti di capitale che il mercato non vuole garantire. E questo andava fatto prima di riformare per decreto le Popolari e le Bcc»

Non è chiaro che significhi “garantire un aumento di capitale”: sottoscrivere a pié di lista l’inoptato? Ma questo è esattamente un intervento diretto. A parte ciò, Boccia dovrebbe sapere che Cassa Depositi e Prestiti in primo luogo non ha i mezzi finanziari per una simile operazione, perché ha trenta miliardi di partecipazioni e ventuno miliardi di mezzi propri. Ma soprattutto, CDP non dispone di licenza bancaria, e di conseguenza non può operare nel modo suggerito. L’Italia morirà crivellata da proiettili d’argento.

Referendum Si o referendum No, nel sistema bancario italiano restano aree di debolezza estrema e parti malate in modo probabilmente non recuperabile: ogni altro tentativo di nascondere la realtà e scalciare la lattina produrrà solo l’estensione del contagio.

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