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 Home page > Attualità > Economia > Reddito di cittadinanza | Fichi secchi inclusi

Reddito di cittadinanza | Fichi secchi inclusi

Egregio Titolare,

apprendiamo dai giornali che è ormai in rampa di lancio il piano (l’ennesimo) di lotta alla povertà, che ha in dotazione 1,6 miliardi allo scopo di costruire qualcosa che somigli al reddito di cittadinanza, nel tentativo di scardinare uno degli slogan più riusciti dei 5 Stelle.

 

di Luigi Oliveri

Sulla sensazione che la cifra sia ben poca cosa e che, per questo, la platea eccessivamente limitata (infatti, la previsione è di raggiungere 1,7 milioni di beneficiari, contro oltre 4 milioni di persone considerate in povertà), si potrebbe anche sorvolare. Il fatto è che l’iniziativa assomiglia troppo agli ormai ben conosciuti “bonus” di varia natura, elargiti senza troppo successo nel passato triennio.

Ma, attenzione, caro Titolare, il nocciolo dell’intervento è, appunto, che non si tratterà né di bonus, né di reddito di cittadinanza, né di sussidio. Il Ministro del lavoro spiega a Repubblica in un’intervista, che “si tratta di un progetto per includere le persone, non di assistenza passiva”. Tanto è vero che “la persona dovrà impegnarsi a garantire un comportamento responsabile, ad accompagnare i figli a scuola, a sottoporli alle vaccinazioni, a seguire corsi di formazione e ad accettare eventuali proposte di lavoro”.

Appare abbastanza evidente la somiglianza col progetto SIA (sostegno per l’inclusione attiva), già attivato in via sperimentale, con uno stanziamento che nel 2016 è stato di 750 milioni, due terzi circa dei quali, però, destinati a finanziare prevalentemente l’organizzazione del servizio mediante progetti presentati dei comuni ed un terzo per assegnare ai nuclei familiari ammessi una carta prepagata.

Pensi, caro Titolare, che il SIA, allo scopo di non disporre un mero sussidio ma l’attivazione della persona, ha previsto l’indispensabile costituzione di “équipe multidisciplinari”, composte dai servizi sociali dei comuni e da addetti ai servizi per il lavoro, allo scopo di capire se per risolvere i problemi di natura economica di nuclei familiari in povertà possa essere una buona idea cercare di mandarli a lavorare. Allo scopo, si prevede il rafforzamento dei servizi comunali, che potranno assumere assistenti sociali.

Ma, non manca anche il rafforzamento dei servizi per il lavoro. Ricorda, Titolare? Quegli stessi servizi, gestiti dalle province, che sono stati sottratti alle province grazie alla riforma Delrio, nei quali l’attuazione della riforma ha imposto il pensionamento anticipato di 1.000 unità, riducendole da 7.000 a 6.000 circa (contro le 110.000 della Germania), che si sarebbero dovute trasferire all’Anpal (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive per il Lavoro) e che invece sono rimaste un po’ alle province e un po’ alle regioni, in ordine totalmente sparso? Ecco, loro. Il nuovo progetto, si ricorda nell’intervista, rafforzerà i servizi per l’impiego (si tenga forte, Titolare) con ben 600 dipendenti. Non uno di meno, non uno di più.

E, pensi, caro Titolare: si tratterà di 600 “tutor” che seguiranno gli individui per facilitare loro appunto la ricerca attiva di lavoro. Con l’invidiabile rapporto di 1,7 milioni di persone destinatarie/600 addetti, pari a 2.833 persone da seguire per addetto. Un carico di lavoro leggerissimo, non trova? Tenendo presente che se anche facessero da tutor tutti gli altri addetti ai centri per l’impiego, il rapporto sarebbe comune 1/257.

Come dice, Titolare? Le pare si stia trattando di nozze con i fichi secchi? Pensi che, oltre tutto, il rafforzamento dei servizi per il lavoro con le 600 unità avverrà attraverso assunzioni a tempo determinato. Il che, per un verso, dà fiducia: si ha, evidentemente, la convinzione che entro 36 mesi (tanto può durare inizialmente un contratto a termine) il problema della povertà sarà risolto.

Per altro verso, rimanendo il sospetto che alcuni maligni potrebbero avanzare e cioè che il piano, per quanto possa aiutare le persone in difficoltà, difficilmente potrà incidere sulla povertà (anche perché, per trovare lavoro alle persone occorre che vi sia una domanda di lavoro forte), queste assunzioni per “rafforzare” i centri per l’impiego domani potrebbero a loro volta essere un problema. E sì, caro Titolare. Scaduti i contratti a termine, si porrà ovviamente il problema della stabilizzazione dei 600 nei ranghi della PA.

Insomma, il progetto, ovviamente meritorio nei suoi fini, rischia di creare l’ennesimo bacino di precariato pubblico, da dover poi stabilizzare con infinite proroghe contrattuali o con sanatorie normative, come troppo spesso avvenuto in passato. Ma, soprattutto, evidenzia che al di là delle bellissime formule “inclusione attiva”, “équipe multidisciplinari”, “tutor”, se non vi sono risorse e mezzi sufficienti a cogliere gli obiettivi, questi difficilmente potranno mai essere raggiunti per intero.

È evidente che l’Italia non può permettersi di assumere ex novo 110.000 dipendenti da adibire ai servizi per il lavoro, né il modello delle politiche attive previsto dal d.lgs 150/2015, che privilegia la cooperazione tra pubblico e privato, lo richiede. Tuttavia, non è difficile comprendere perché se si paragona l’efficienza dei servizi per il lavoro italiani rispetto a quelli europei, i risultati sono deludenti: le risorse in campo sono vistosamente sproporzionate.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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