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Ramadan: sentenza sul digiuno del figlio minore

Una madre si rivolge a un tribunale italiano per impedire che al figlio minorenne sia imposta l’osservanza del digiuno del Ramadam, come invece pretende il padre musulmano. La corte le dà ragione, ma alcuni punti della sentenza lasciano perplessi. Ripercorre la storia, in punta di diritto, la responsabile iniziative legali Uaar Adele Orioli, sul numero sul numero 3/22 di Nessun Dogma.

Di recente una vicenda balzata agli onori della cronaca ha visto una madre impedire al figlio minorenne di osservare i precetti che il mese del Ramadan comporta. Uno su tutti il digiuno, l’obbligo cioè di astenersi dal consumo di cibo e bevande dall’alba a fin dopo il tramonto.

Passo indietro. I genitori, sposatisi solo civilmente, hanno avuto due figli e successivamente si sono separati con affido condiviso della prole. Il padre, non italiano e da mesi residente all’estero, per quanto assente è riuscito a esercitare un condizionamento sufficiente sul figlio più grande, di tredici anni, tale da imporgli il digiuno «disinteressandosi della contrarietà della madre e in aperta conflittualità con quest’ultima».

Madre che è quindi costretta a ricorrere al tribunale per ottenere un provvedimento urgente volto a impedire giudizialmente il prosieguo del digiuno. Il ragazzo è in procinto di affrontare gli esami di terza media e già i primi giorni lo hanno debilitato, tra calo di zuccheri che provoca deficit dell’attenzione e difficoltà nell’attività scolastica, il carente apporto proteico, l’impossibilità di recuperare adeguatamente attraverso i giocoforza disordinati pasti notturni.

Il tribunale ordinario ha agito ex articolo 337 ter del codice civile che prevede l’intervento decisorio in caso di disaccordo dei genitori per tutelare l’integrità psicofisica del minore; il criterio da seguire è quindi quello del diritto della prole a una crescita sana ed equilibrata.

Leggiamo nell’istanza richiamata nella decisione come «una simile disciplina alimentare, già di difficile applicazione in una realtà come quella occidentale, che prevede impegni, anche significativi, durante la giornata, può avere gravi ripercussioni». Fin qui, a parte il sospetto che sostenere che nella “realtà orientale” durante il giorno si giochi a pettinare bambole possa risultare un pelo razzista, nulla da eccepire, anzi.

A mettere paura è che, seppur incidentalmente, a sostegno della sentenza venga riportato quanto affermato dalla Associazione degli imam e delle guide religiose in Italia. Il digiuno giornaliero è molto lungo ed è per questo quindi possibile che «i digiunanti incorrano in malori, specie se bambini». E continuiamo così, facciamoci del male? Sì, anche se è specificato come «il digiuno non è obbligatorio per i bambini e per gli adolescenti che non siano nell’età dell’obbligo dalla pratica religiosa (quest’ultima coincidente con l’età dello sviluppo)».

Vietare sarebbe stato certo più salubre di “non obbligare” e l’indefinita età dello sviluppo in realtà non protegge certo tutti i tredicenni, che, come è noto, spaziano dall’infante imberbe all’adolescente peloso. Un’ultima clausola di salvaguardia: se l’adolescente è in età di obbligo di digiuno ma la pratica lo debilita o influenza il suo rendimento scolastico, specie nel periodo di esami, può interromperlo e recuperare i giorni persi in altro periodo dell’anno. Fortunello.

Ora, a prescindere da ogni possibile considerazione su quanto sia davvero necessario imporre (anche agli adulti) una pratica tutt’altro che salubre (considerazioni che comunque pretenderebbero razionalità nell’irrazionalità ontologica del precetto religioso), spaventa che ciò che suggeriscono esponenti religiosi venga posto a sostegno di una qualsivoglia decisione di un tribunale italiano. Preti, rabbini o imam che siano, e pur se quanto sostenuto può essere, come qui, interpretato favorevolmente alla soluzione più equa e tutelante.

Perché è proprio così che si introducono le eccezioni religiose, le scusanti di culto. La shari’a o il diritto canonico da precetti confessionali a normativa statale. Precetti tutti peraltro in conflitto con gli stessi poteri istituzionali globalmente intesi, non fosse altro perché non coincide la suprema autorità. Lo stato da un lato, un’entità dall’incerta esistenza dall’altro.

Adele Orioli

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